IDA MAGLI   SALVARE L'ITALIA PRIMA CHE SCOMPAIA

 
 

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 pace, la resistenza irachena o l’intifada palestinese? E’ evidente che nulla è più ambiguo che il concetto di “pace”. Tanto ambiguo che noi, per esempio, ci scontriamo all’interno del nostro gruppo, difendendo il diritto degli altri alla pace, con una violenza terrificante e sempre sul punto di prenderci a botte (come prova lo schieramento della polizia in assetto antiguerriglia quando ci sono simili manifestazioni).
Cerchiamo, quindi, di analizzare i vari significati che il concetto di pace ha avuto in passato e che continuiamo a trascinarci, ponendo l’accento ora sull’uno ora sull’altro, con una totale confusione mentale e affettiva.
Nell’Antichità lo stato di guerra verso i popoli esterni era normale e considerato indispensabile. Inutile dilungarsi sulla storia notissima delle guerre in Egitto, in Mesopotamia, in Siria, in Iran (alcune delle quali descritte anche nella Bibbia), in Persia, in Macedonia, a Sparta, ad Atene. I “giochi” olimpici, tanto per fare un solo esempio di cui tutti oggi hanno dimenticato il significato, erano spettacoli di guerra (ce ne rimane una pallida idea, forse, nelle nostre parate militari o nelle esibizioni dei corpi speciali). Le “discipline” nelle quali gli atleti dovevano eccellere, non erano sport, ma strumenti indispensabili per combattere al meglio, per vincere in battaglia, e per salvarsi la pelle: la resistenza alla marcia, la velocità nella corsa, la precisione e la distanza nel tiro con l’arco, la forza nel lancio delle pietre, tanto per

 fare soltanto alcuni esempi, erano le tecniche con le quali si combatteva. Ulisse, come sappiamo, era famoso per la sua forza e la sua precisione nel tendere l’arco e scagliare il giavellotto, ma appunto per questo il miglior combattente, l’Eroe, che puntualmente stermina, al suo ritorno a casa, tutti i suoi nemici. La scena in cui i Proci, non appena riconoscono dal suo modo di tendere l’arco con chi hanno a che fare e impallidiscono, sicuri di non avere scampo, sembra il prototipo di una di quelle scene western nelle quali tutti scappano all’arrivo del ben noto e infallibile pistolero. Del resto, nell’unico trattato che possediamo sulla guerra nell’antichità, quello dello scrittore latino P. Flavio Vegezio intitolato L’arte della guerra romana (BUR, Milano, 2003), un trattato che è stato studiato durante tutto il medioevo e nell’epoca moderna fino a Napoleone e Clausewitz, si elencano appunto gli esercizi indispensabili per addestrare le reclute (e si afferma che l’esercito si chiama così proprio perché si “esercita”): marcia, corsa, salto, nuoto, lancio delle frecce, lancio delle pietre a mano e con la fionda, trasporto di grossi pesi, ecc. Tutti esercizi analoghi a quelli delle milizie greche e che erano obbligatori nelle gare olimpiche, perché dimostravano ai cittadini la loro capacità bellica. Per questo le Olimpiadi appartenevano talmente alla Nazione da scandirne il calendario, la storia: dal 776 a.C., anno dello svolgimento ad Olimpia della I^ Olimpiade fino al 393 d.C. quando il calendario