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lunedì , 22 ottobre 2001 |
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QUESTA EUROPA
PRIVA DI FORZA |
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Ernesto Galli Della Loggia |
La crisi mondiale di queste settimane ha indicato ancora una volta come
l' Unione Europea non sia capace di muoversi sulla strada di una politica
estera e di una politica militare comune, cioè sull' unica strada che la
porterebbe ad esistere come vero soggetto politico, ad esistere davvero
come Stato. Nulla di più ovvio perciò che quando si arriva, come in
questi giorni, alle scelte decisive l' Europa conti poco o nulla. Così
come poco o nulla, peraltro, contano Parigi e Berlino, a dispetto delle
loro illusioni e di tutti gli incontri di Gand possibili e immaginabili;
mentre appena qualcosa conta Londra ma, paradossalmente, solo nella misura
in cui essa non si identifica con il continente e con le sue vicende
antiche e recenti. I fattori che ostacolano la nascita di una vera Europa
politica sono stati ricordati infinite volte: la mancanza di una lingua
comune, la presenza di passati storici tanto diversi, da qualche anno,
infine, il processo di allargamento ad una decina e più di nuovi Stati.
Tutto vero, tutto giusto. Ma tutto, forse, anche un po' superficiale. C'
è sicuramente qualcosa d' altro infatti, di più profondo, che impedisce
la fondazione politica dell' Europa: qualcosa che sta nelle fibre della
sua storia, e insieme anche qualcosa che riguarda il modo in cui vengono
alla luce soggetti politici come gli Stati. Gli Stati di solito non
nascono in modo spontaneo, come i cavoli e le zucchine; nascono all'
insegna delle «eccezionalità». Fondare una polis è un gesto carico di
significato simbolico, è un gesto che rompe con il passato, che spezza un
equilibrio arcano, è una sfida rivolta all' avvenire (ed è per questo
che in tanti miti, come quello della fondazione di Roma, esso è legato
alla violenza). Fondare una polis equivale a suscitare dal nulla un cosmo,
un ordine, equivale a proclamare il senso non perituro e per mille legami
vincolante di una appartenenza, di una identità. E' a causa di tutto ciò
che tanto spesso l' eccezionalità che presiede alla fondazione degli
Stati si traduce nella dimensione della forza. La forza della violenza già
ricordata, ma anche, mischiata ad essa, quella forza particolare che è la
forza della disperazione di chi sa di essersi bruciati tutti i vascelli
alle spalle: come i Pellegrini del «Mayflower» sbarcati sulle coste del
Massachusetts, i rivoltosi irlandesi della «Pasqua di sangue» o gli
ebrei che richiamarono alla vita Israele nel 1948; la forza della violenza
rivoluzionaria, infine, all' origine di tanti soggetti politici statali di
ieri e di oggi. Il che ci ricorda che per fondare uno Stato bisogna anche
credere in qualcosa di grande, bisogna credere in modo assoluto in alcune
buone ragioni, nelle «proprie» buone ragioni, nel carattere ultimativo
delle scelte che esse sembrano comandare. Si capisce allora perché è così
arduo far nascere uno Stato politico europeo. Sarebbe stato forse facile
nella disperazione e tra le macerie del 1945, non oggi quando, dopo le
tragedie del ' 900, l' Europa ha celebrato un divorzio ormai all'
apparenza definitivo dalla dimensione della forza e della decisione, cioè
dal cuore duro di un' autentica dimensione della politica. Se non vogliamo
sentir parlare di guerra è appunto anche perché abbiamo rinunciato alla
politica; e viceversa. Ma come si può fondare un soggetto politico senza
la politica, prescindendo da essa? Diversamente dalla democrazia
americana, che n on si è mai separata dalla dimensione della potenza e da
un' orgogliosa idea di sé e della propria appartenenza identitaria, le
nostre culture democratiche postbelliche conoscono solo il consenso, la
solidarietà e l' individualismo. Credono poco in qualunque cosa, e men
che meno sono disposte a vendere cara la pelle per essa. Stiamo bene così:
e l' Europa può attendere.
E. Galli della Loggia
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