A Francoforte si racconta un aneddoto che risale a oltre due anni fa,
quando il presidente della Banca centrale europea Wim Duisenberg,
preoccupato dalla congiuntura sfavorevole, decise il suo primo taglio dei
tassi: prima della riunione del direttivo, lo zar dell’euro chiamò il
presidente della banca centrale di uno degli Stati periferici dell’Unione,
che viaggiava in pieno boom economico, per comunicargli la sua intenzione.
La prima reazione del banchiere fu un’angosciata domanda: "Non
vorrai tagliarli anche nel mio Paese?".
La storiella, che racchiude in sé tutto il dramma della convivenza
forzata nello stesso club di membri con esigenze contrapposte, potrebbe
valere tale e quale anche oggi, a tre anni dalla fondazione della Bce e
alla vigilia della scadenza più delicata nella storia dell’unione
monetaria. Nel frattempo, però, al quadro globale si sono aggiunti alcuni
fatti nuovi: mentre i magnifici Dodici si avviano al changeover in
ordine sparso, la locomotiva americana rallenta fino a fermarsi e venti di
guerra soffiano potenti sul Vecchio e sul Nuovo Mondo.
Non a caso chi analizza le attese degli operatori sul tasso di cambio
euro-dollaro registra un brusco aumento dell’incertezza. Secondo uno
studio dell’Igier, l’istituto di ricerca dell’università Bocconi,
il range di oscillazione dell’euro rispetto al dollaro è divenuto molto
più ampio nelle ultime due settimane, seguo che i mercati non vanno verso
una stabilizzazione ma verso una volatilità sempre più accentuata.
"La fotografia dei sentimenti del mercato - spiega l'economista Carlo
Favero, coordinatore dello studio - non potrebbe essere più chiara. Da un
lato il range dell’euro si è ampliato, dall’altro la distribuzione
dell’oscillazione si è spostata verso un apprezzamento del dollaro. Il
fatto che il range dell’euro sia ben più ampio rispetto a quello del
dollaro indica che gli operatori si fidano molto di più della Fed che
della Bce. Se poi si va a guardare i titoli a lunga scadenza, si scopre
che l’andamento del Bund e del Treasury è identico, come se la politica
monetaria mondiale fosse fatta da una banca centrale sola. Non è
difficile indovinare quale".
La maggioranza degli economisti è ormai concorde nel ritenere che la
congiuntura europea seguirà fedelmente quella americana. Se è vero che
negli ultimi due trimestri del 2001 l’economia Usa entrerà in
recessione, c'è da aspettarsi la stessa cosa anche da questa parte dell’Atlantico,
magari dopo qualche mese, come del resto dimostrano gli ultimi dati sul
forte rallentamento della produzione in Germania.
E dietro alla congiuntura rotola anche la fiducia nell’autonomia
decisionale di Eurolandia: "Le aspettative del mercato – precisa
Favero – sono che la politica monetaria europea segua la Fed con un
certo ritardo". Non è un’esagerazione sostenere che gli unici
momenti in cui gli investitori amano l’Europa è quando la crisi
americana diventa palese: guardando alla curva dei tassi di cambio, tutti
i sussulti positivi dell’euro - peraltro sempre brevissimi –
corrispondono all’uscita di dati particolarmente negativi sulla
congiuntura Usa o di eventi come l’attacco terroristico dell’11
settembre. Ma non appena il panico cala, gli operatori si ricompongono e
mollano l’Europa nel bel mezzo della pista da ballo per rivolgersi di
nuovo all’America, consacrando così il nostro ruolo di eterni secondi.
In questa cornice anche la speranza nell'effetto spinta del changeover
si va affievolendo, tanto da far temere un ulteriore tonfo,
soprattutto se il gran momento dell’arrivo dell’euro nelle tasche
degli europei coinciderà con un attacco americano in Asia centrale. E’
stato proprio il grande manovratore dei flussi valutari mondiali, George
Soros, a evocare nei giorni scorsi lo spettro di una nuova scivolata:
secondo il finanziere, l’euro potrebbe scendere fino a 70 cent. Ma la
Banca centrale ha in serbo qualche misura per affrontare questa
eventualità? Antii Heinonen, direttore del dipartimento economico della
Bce, sembra tranquillo: "Siamo consapevoli dei rischi e abbiamo piani
adeguati per far fronte a tutte le evenienze". Naturalmente i piani
sono segreti e l’ostentazione di sicurezza fa parte della campagna d’immagine
in corso, mirata a riappacificare i cittadini europei con la loro
vacillante moneta: nel febbraio del ‘99, infatti, il 66% della
popolazione europea aveva fiducia nella moneta unica, mentre oggi quella
percentuale si è ridotta ai 46%. Molto poco per una valuta fiduciaria, il
cui valore non è legato a una quantità di qualcos’altro ma solo alla
fiducia che riesce a riscuotere.
In questi giorni, del resto, Francoforte sembra una cittadella
assediata: man mano che si avvicina la scadenza, si alzano sempre più
frequenti e preoccupante le voci di coloro che di fronte alla gravità
della crisi in atto preferirebbero fermare il conto alla rovescia e
tornare alla fluttuazione libera dei cambi. I più combattivi sono proprio
gli euroscettici tedeschi, in lutto per l’agonia del marco: nel loro
libro "Die Euro-illusion", appena uscito e già popolarissimo, i
quattro economisti Wilhelm Hankel, Karl Albrecht Schachtschneider, Joachim
Starbatty e Wilhelm Noelling mettono in luce tutta la debolezza di una
moneta "politica" gettata nella fossa dei leoni di un’Europa
che di politicamente unito non ha ancora nulla.
Elena Comelli