23 Ottobre 2000, ANNO 0, numero 0

 Editoriali  

L'Unione Europea come Hitler

di IDA MAGLI
 

Dando inizio al nostro giornale, dobbiamo per prima cosa renderci conto che combattere per la libertà degli Italiani, e combattere contro l’Unione Europea, è una battaglia assolutamente proibita. Proibita in quel modo totale che il Potere ha inventato dal momento stesso in cui è nato, e che ha usato sempre, in qualsiasi epoca, in qualsiasi società: l’evitazione, il tabù, la contaminazione. È un meccanismo che i detentori del Potere conoscono bene, anche quando non ne sono tecnicamente consapevoli, perché è sulla sua base che è stato creato il Potere stesso: la delimitazione fra ciò che è sacro e tutto il resto, tutto quello che non lo è. Dunque è per questo che siamo costretti a fare un giornale “da sottosuolo”, utilizzando Internet: quello che diciamo è “nefando”, blasfemo, appartiene al mondo degli inferi cui la luce del sole è proibita.


Non dobbiamo farci nessuna illusione: una volta affermato che in Italia esiste la “democrazia”, come garante della libertà degli Italiani, e che l’Unione Europea è stata creata dai governi “democratici” dell’Europa, chiunque si azzardi a parlarne in maniera negativa (che osi combatterla addirittura, non è “pensabile”) cade sotto la condanna dell’impurità, delle evitazione tabuistica, e di conseguenza della illegittimità.
Affermare che oggi gli Italiani sono privati dell’unica, vera libertà: quella di essere responsabili di se stessi, di poter affermare il proprio Io, sia come individui che come popolo, quella di respingere la creazione di un impero totalitario e distruttivo che porta il nome di Unione Europea, non soltanto non è lecito, e pertanto non trova nessuno spazio legittimo dove esprimersi, ma viene negato con il procedimento della tabuizzazione.
La tabuizzazione è ben altro che un divieto codificato, una censura concreta, un reato che comporti la prigione. È quello che stiamo sperimentando con la fondazione di un giornale su Internet: la libertà della comunicazione globale è il ghetto della non-comunicazione “reale”, il vuoto della parola impotente, l’assegnazione del nostro discorso alla improduttività ed alla insignificanza, al campo che in psichiatria si chiama “insalata di parole”.
Sui significati di Internet naturalmente torneremo più volte. La premessa fatta oggi con queste poche parole serve soltanto a farci capire che la battaglia è quasi impossibile e che richiede tutto il nostro coraggio, tutta la nostra volontà, tutte le nostre energie, tutta la nostra intelligenza. Il coraggio e la determinazione non ci mancheranno soltanto se saremo assolutamente convinti di una cosa: che il nostro è il tentativo che avrebbe dovuto essere fatto e che non è stato fatto negli anni in cui si andava preparando l’impero hitleriano. Se allora qualcuno avesse provato a discutere in termini “culturali” e non immediatamente politici il significato di quello che stava avvenendo, se qualcuno avesse tentato di combattere le idee del Potere e non la legittimità del Potere (il Potere non è mai legittimo), forse sarebbe stato possibile evitare la seconda guerra mondiale. E se non proprio tutte, almeno qualcuna delle conseguenze più catastrofiche del desiderio di onnipotenza dal quale Hitler era mosso. Un desiderio di onnipotenza e di conquistare dell’ Europa analogo a quello che spinge oggi i politici alla costruzione dell’Unione Europea.
Nessuno si lasci ingannare dalle apparenze. Non si vedono le armi, ma la violenza con la quale vengono privati i popoli della propria identità, della propria libertà, è analoga. E finirà con le armi. Il detto del nostro tempo è: se vuoi la guerra, prepara la pace.
Anche di queste analogie, naturalmente torneremo a parlare nel giornale che inizia oggi la sua difficile ma esaltante vita. Vogliamo essere più concreti possibile, malgrado la impalpabilità del mezzo. E dunque diciamo chiaramente che chiederemo, con la forza che ci verrà da tutti coloro che sia in Italia che negli altri Paesi sudditi dell’Unione, guardano con il senso della propria responsabilità al futuro dell’Europa, che non si passi alla moneta unica e che il trattato di Maastricht venga sottoposto a referendum popolare.
 

Ida Magli

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23 Ottobre 2000, ANNO 0, numero 0

 

Il mito dell'Europa democratica

di GIORDANO BRUNO GUERRI
 

La democrazia di cui possiamo godere in quanto italiani viene accresciuta dall' appartenenza all'Unione Europea?

Una leggenda continentale - falsa quanto le leggende metropolitane - sostiene di sì. Però è, appunto, una leggenda. Anzitutto nessuno di noi ha potuto esprimere la propria volontà di entrare o meno a far parte dell'UE: un preciso e antidemocratico articolo della nostra Costituzione impedisce che si possano tenere referendum sui trattati internazionali. Né vi fu e vi è mai stato un reale dibattito politico fra i partiti sull'opportunità o meno di entrare nella Comunità. L'Italia degli anni Cinquanta era appena uscita sconfitta dalla guerra e aveva un'economia nascente e debole: sembrò un grande vantaggio associarsi a Stati più forti e ricchi, e tutti i partiti, soprattutto quelli della destra temettero - se avessero messo in discussione l'Europa - di essere bollati di obsoleto nazionalismo, volontà autarchica e addirittura di fascismo. Nessuno dunque prese davvero in considerazione i rischi che avrebbero corso la nostra autonomia nazionale e tantomeno i limiti che la democrazia italiana avrebbe dovuto subire, come quella degli altri Paesi. 

Tanto per cominciare, l'elezione di un Parlamento comunitario era prevista già nel trattato di Roma del 1957, ma le prime elezioni ci sono state soltanto nel 1979. In quei ventidue anni un ristretto gruppo di eurocrati, più interessati al loro traguardo e all'economia che alla democrazia, hanno costiituito una struttura portante che riduce alla base la democrazia e indebolisce governi e parlamenti nazionali. Per esempio la Corte di Giustizia della Comunità dichiarò già nel 1964 che i primi trattati europei    vincolavano gli Stati e i loro abitanti a un sistema di diritto estraneo a ogni nazione. 

In quegli anni venne anche fatto in modo che il Parlamento europeo - poco rappresentativo ma unico organo dell'UE nel quale i cittadini possano influire con il voto - avesse meno peso e poteri, soprattutto decisionali, di altre istituzioni che non rappresentano la volontà popolare di nessun Paese e sui quali la possibilità di controllo dei popoli europei è limitatissima, come la Commissione, il Consiglio e la Corte di Giustizia. 

La quale Corte di Giustizia nelle sue sentenze ha sempre favorito non i singoli Stati e i loro cittadini, bensì l'accrescimento dei poteri della Comunità, per cui ha anche stabilito che - in caso di constrasto con le norme nazionali - prevale il diritto comunitario. 

Questo significa che le leggi e le norme del nostro Parlamento (è quel che è, ma almeno viene eletto da noi), insomma le decisioni prese dagli italiani per gli italiani, hanno meno valore. Di conseguenza anche la volontà popolare ha meno valore e non uno ma due poteri incombono sulle nostre teste, quello nazionale, che ci siamo scelti, e quello comunitario, che non ci siamo scelti. 

Il nostro ruolo di cittadini nella vita pubblica comunitaria è quasi azzerato, siamo meno padroni delle nostre esistenze, sottoposti a un potere semisconosciuto che governa da Bruxelles, dirige l'economia da Francoforte, giudica in Lussemburgo. 

Il potere è sempre più nelle mani del Potere e sempre più lontano dalle nostre. La Commissione Europea, definita "motore della Comunità e custode dei trattati dell'Unione", è composta da membri non elettivi e ha poteri enormi, amministrativo, esecutivo e normativo, di controllo, iniziativa e proposta, rappresentanza e vigilanza. 

La Commissione è anche associata ai lavori nel settore della Politica Estera e della Sicurezza Comune, della Cooperazione Giudiziaria e degli Affari Interni, ma non ha una responsabilità o un indirizzo politico nato dal voto popolare e dalla dialettica fra partiti. Nel Consiglio, composta da ministri dei vari Stati, vengono prese decisioni importantissime - spessissimo a maggioranza - da politici d'altri Paesi, di partiti ignoti a noi italiani, responsabili di fronte a istituzioni a noi sconosciute, provenienti da culture    che, per quanto europee, ci sono estranee, come quella svedese o, quando l'Unione si sarà allargata, quella ungherese, turca, lettone, eccetera.

E che dire della Banca Centrale Europea? È svincolata dai governi e dai parlamenti - ovvero è del tutto irresponsabile politicamente - benché gestisca già, e sia sempre più destinata a farlo, la ricchezza di noi tutti.

Il Comitato delle Regioni, che dovrebbe dare luogo all'Europa delle Regioni, più vicina ai cittadini, non ha poteri, è solo consultivo e comunque non elettivo. Lo stesso vale per il Comitato Economico e Sociale, composto appunto da rappresentanti delle varie categorie della vita economica e sociale e che - proprio per questo - è ridotto al rango di bella statuina.

Va da sé, infine, che nell'ambito dell'Unione Europea non è previsto che i cittadini possano esercitare la democrazia diretta attraverso referendum o iniziative popolari. 

Prima che l'adozione reale dell'euro (di cui stiamo sperimentando la debolezza) ci vincoli ulteriormente dobbiamo ripensare l'Europa e la nostra partecipazione all'Unione Europea. 


 
Giordano Bruno Guerri

Editoriali
del primo numero
di ItalianiLiberi

Il mito dell'Europa democratica

di GIORDANO BRUNO GUERRI

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