5 Gennaio 2002

IL DUBBIO
Serve un passo indietro
per amore dell'Italia

 
di PIERO OSTELLINO
Corriere della Sera | sabato 5 Gennaio 2002 

 Caro Renato (ambasciatore e ministro degli Esteri Ruggiero), quando ho letto la tua intervista sul Corriere di giovedì ho pensato di telefonarti. Sarebbe stata una chiacchierata privata fra due vecchi soci del club degli ex moscoviti. Ma tu sei un uomo pubblico e anch'io, in un certo senso, lo sono. Così, ho optato per la lettera aperta. Avevo da tempo la sensazione che la tua stagione da ministro degli Esteri di questo governo fosse finita; ora ne ho la certezza. Per l'amicizia e la stima che ho per te, me ne rammarico con tutto il cuore. Come cittadino, altrettanto sinceramente, ti dico però che, nell'interesse del Paese, è meglio che, a questo punto, il nodo sia reciso. Tu dici di non vedere "continuità" nella politica estera del governo e tanto meno "una politica bipartisan per l'Unione Europea e l'Alleanza atlantica". Credo che tu abbia ragione. La discontinuità c'è e si vede. Ma non tanto sull'europeismo e sull'atlantismo, che non mi sembrano francamente in discussione, quanto sui modi di intendere l'interesse nazionale nel contesto dell'uno e dell'altro. Si può infatti dissentire sull'idea che l'attuale governo ha dell'interesse nazionale. Ma non si può negare che esso lo difenda con ruvida franchezza e - pur fra troppi strappi al galateo internazionale - lo persegua con un certo coraggio. Se il ministro della Difesa Martino non ritiene conveniente per l'Italia partecipare al consorzio europeo per l'Airbus militare, lo dice. Se i ministri della Giustizia e degli Interni, Castelli e Scajola, giudicano pericoloso il mandato di cattura europeo, non lo nascondono. Lo stesso fa Berlusconi per la assegnazione dell'Authority alimentare. Che piaccia o no, e a te palesemente non piace, ne abbia o no la forza, e tu probabilmente pensi che non ce l'abbia, il governo di centrodestra non è intenzionato ad andare a rimorchio dei suoi maggiori partner europei. La politica estera di Berlusconi guarda a Londra e a Madrid, piuttosto che a Parigi e a Berlino come aveva fatto quella dei governi precedenti; si affaccia sull'Atlantico, cercando una sponda a Washington, dove l'elezione di Bush ha cambiato le regole del gioco; scompagina equilibri preesistenti e rimette in discussione consuetudini e interessi consolidati. Ciò non piace a molti. Diversa è stata la politica estera del centrosinistra, che tu chiami bipartisan. Essa ha identificato l'interesse nazionale nella concordia con i tradizionali partner europei. La sostanziale subalternità all'asse franco-tedesco è stata il prezzo che i post-comunisti, al governo del Paese, hanno pagato per la propria legittimazione internazionale. Dicono gli inglesi: "Dopo l'intervento nel Kosovo, l'Italia avrebbe potuto chiedere quello che voleva e lo avrebbe ottenuto. D'Alema si è accontentato di una pacca sulla spalla". L'accusa che ora il centrosinistra fa al governo Berlusconi di compromettere il prestigio internazionale dell'Italia conferma la diagnosi di Londra. Ma se, per il centrosinistra, il prestigio internazionale dell'Italia dipende dalla benevolenza dei suoi partner, diventa allora lecito il sospetto che il centrosinistra soffra ancora della sindrome del brutto anatroccolo. Caro Renato, temo che, per eccesso di realismo e per diplomatico amore del dialogo, ne soffra anche tu. Del resto, non solo la Francia e la Germania, ma anche altri nostri partner europei hanno subito adottato nei confronti del governo di centrodestra la stessa strategia che aveva "pagato" con il centrosinistra. Farlo sentire in debito di legittimazione. La tua nomina a capo della Farnesina ha avuto perciò lo scopo di rassicurarli sulla continuità della nostra politica estera. Ma non solo non è bastata, bensì ha finito col trasferire all'interno del governo le frizioni inter-europee.

postellino@corriere.it

 
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