VERTICI SPUNTATI

Ida Magli

da il Giornale, lunedì 11 Agosto 2001

 

Proviamo a fare dei discorsi di solo buon senso. Perché mai si dovrebbero tenere a Genova, a Roma, a Napoli, dei megavertici politici? La risposta di coloro che sostengono che questi raduni servono a tenere alta l’immagine di una città, fa veramente morire dal ridere. Queste sono riflessioni buone per località come Seattle, come Goteborg e via dicendo che si sforzano di far sapere al mondo la loro esistenza...! Smettiamola, dunque, di dimenticarci che è la nostra storia: civile, artistica, culturale, architettonica, letteraria, musicale, ad aver fatto grande l’Italia e che è per questo che l’immagine dell’Italia non può essere cancellata nella memoria di nessun popolo. I «vertici» non ci servono.
Passiamo a un secondo punto di buon senso. Il governo Berlusconi, in quanto governo liberale, si trova nella morsa di due forze contrapposte che tendono a distruggerlo. Queste due forze sono di tipo sia interno che esterno al Paese. All’interno c’è poco meno di un terzo degli italiani che condivide la visione del mondo comunista.
Una visione del mondo che nessun Muro di Berlino ha potuto eliminare, né prima né dopo della sua caduta, proprio perché l’ideale dell’uguaglianza e della messa in comune totalitaria dei beni e delle idee non era realizzato dall’Unione Sovietica. La caduta dell’Impero sovietico, perciò, ha reso più forte e più libero il comunismo universale come idealità, cosa che, per quanto in apparenza assurda, si trova a coincidere con la famosa «globalizzazione».
E' questo il motivo per il quale il liberalismo berlusconiano ha difficoltà a difendere la globalizzazione. Liberalismo, infatti, significa primato del soggetto, primato della libertà individuale, primato delle persone nei confronti dello Stato, primato delle differenze fra le persone e fra i popoli. La globalizzazione, invece, per quanto affermi di limitarsi ai mercati, alla comunicazione, al movimento delle notizie e delle merci, di fatto implica (e nessuno oggi lo ignora) il condizionamento delle idee, l’unificazione dei costumi, la violenza insita nel concetto stesso di libertà dei mercati. A questo punto, quindi, i contestatori della globalizzazione, pacifici oppure no, si trovano a volere, sia pure per motivi diversi, le stesse cose che vogliono i globalizzatori. Portiamo i farmaci ai Paesi poveri senza farglieli pagare? Benissimo, purché si sia ben consapevoli che portare i farmaci significa portare noi stessi e la nostra civiltà.
Problemi terribilmente complessi, che implicano studi e previsioni sul futuro dei popoli che nessun «vertice» può far credere di poter risolvere nel giro di due o tre giorni riunendo, fra sorrisi, strette di mano e amene libagioni, capi di Stato o capi di governo assunti a demiurghi del genere umano. Il governo italiano offra, dunque, non la messa in atto della «forza dello Stato», suggerita, un pò’ incautamente - ci sembra - dal ministro degli Esteri tedesco, dimentico che viviamo in una democrazia; ma il sereno buon senso di un Berlusconi, esperto più di qualsiasi altro capo di governo delle immense possibilità offerte oggi dalla tecnologia per scambiarsi idee, informazioni, compromessi diplomatici, senza dover fisicamente raggiungere «Trento», come è successo ai poveri cardinali e consultori del Concilio, che infatti hanno impiegato cinque anni per riuscire a controbattere alle tesi di Lutero.
Tutti gli Stati saranno grati all’Italia di offrire loro un modo per uscire da una istituzione - quella dei «vertici -che ha ormai chiaramente fatto il suo tempo. La forza di uno Stato democratico consiste nel rispetto per la casa e per il benessere dei suoi cittadini. Questo significa, prima di tutto, che le porte non sono aperte indiscriminatamente a chiunque ci voglia entrare perché già questo (come è successo a Genova) è illegittimo e violento, che si sia oppure no armati di pietre o di bastoni, quando ci si dà appuntamento in migliaia a casa d’altri. Ogni popolo è come un individuo: il suo territorio è suo. Se viene meno questo principio, come vorrebbero i globalizzatori della non globalizzazione, non possiamo aspettarci altro che guerre civili.

Ida Magli

 

 

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