L 'economia viene dopo

Geminello Alvi

da CorrierEconomia
Corriere della Sera, lunedì 17 Settembre 2001

Noi calmi ce ne stavamo ragionando sui giornali, con minuzia calcolavamo la tenuta di consumi e produttività in America. E ci pareva cosa ovvia che fosse quella la misura del mondo. La vita negli Stati Uniti ormai ci pareva da anni il più operoso tentativo di conquista della felicità, cui dare come sola misura il denaro e le Borse. Potevamo forse dubitarne, biasimare i corsi gonfiati, deridere i profeti dell’economia nuova. Ma nei nostri pensieri, ottimisti o critici che fossero, New York era il centro dell’economia e del mondo. Dopo l’11 settembre tutti, e non solo le menti raffinate chiuse trai libri, ci accorgiamo che quello era solo un modo di pensiero tra gli altri. Per quanti hanno precipitato i due aerei sulle Due Torri, e per milioni di altri nel mondo, New York era soltanto una città del Medio Oriente. Città di ebrei e di infedeli satanici, il cuI centro meritava perciò d’essere ridotto in macerie, d’assomigliare a Beirut. Ecco rovesciata l’energia che l’Occidente applicava alla conquista della felicità attraverso l’economia. Con la stessa abitudine con cui noi calcolavamo numeri, altri accumulavano odio e pensieri impensabili. Com’era per noi impensabile che essi potessero mutarsi in una devastazione così immane. Ed è questa intrusione di un modo di pensiero estraneo la questione. Quella che rende inadeguato mettersi adesso ad aggiornare i calcoli di sempre sullo stato del ciclo in America. Come sarebbe sciocco misurare gli intenti dei fanatici nemici dell’Occidente sulla base di calcoli razionali. Essi ragionano per immagini. La distruzione delle Due Torri pare a costoro una visione incarnata, come nella Bibbia il crollo delle mura di Gerico. Il pensiero profetato non è pensiero: è solo immagine, afferrabile da noi al più come simbolo o finzione. E perciò l’accaduto ci pare rassomigliare non alla vita, ma ad un film. Ci hanno sorpreso immagini dal Medioevo desuete in Occidente. Ma sono il modo di pensiero, sia detto senza ipocrisie, di parte dell’Africa e dell’Asia musulmane, anche di quella che biasima Bin Laden. Civilizzazione opposta alla nostra, ma così potente, se vuole, da ridurre il centro di New York alla periferia di Beirut. Altro che pensare al ciclo americano, ed interrogarsi su quanto l’evento renda più verosimile e seria una recessione. E’ ben altro a essere mutato. Ci accorgiamo che il mondo non è tutto compreso, comunque coinvolto, nella globalizzazione, come ci avevano detto. Le guglie distorte delle Due Torri distrutte sono la prova di uno scontro di civiltà che, per il suo solo porsi, contraddice la globalizzazione, assai più della peggiore delle recessioni. La bolla speculativa già aveva svelato fragili tante promesse. Ma era ancora bene o male nel gioco, nei nostri modi di pensiero. Il disastro di New York no. Anche perché, parlando di civiltà, si parla di qualcosa di più di singoli Stati. Una guerra con Saddam è facile, può quantificarsi nei suoi effetti, pure economici. Ma cosa può dire l’economista dello scenario che si profila? Se è onesto molto poco. Perché il motore degli eventi non è più l'economia come era fino a ieri normale, La guerra santa non vuole più soldi o reddito; come invece farfugliano i sempre più ottusi terzomondisti di casa nostra. l terroristi e gli islamicl che li approvano perseguono ovunque una civiltà che annienti la nostra. E come far finta di niente, andare in aereo, parlare di società multi-culturale, visto quello di cui sono capaci? La globalizzazione era un aprirsi; gli eventi implicano un qualche inevitabile chiudersi. Di cui la reazione militare sarà un episodio, e neppure il più grave, Da variabile indipendente che causa le altre, l’economia torna causata. Dipende dalle forme politiche e culturali in cui questo chiudersi agirà, e reagirà, nelle menti di tutti. I centro delle ansie non è più l’economia, ma come difenderci, e per farlo ci ancoriamo non alle Borse, ma alla nostra civiltà. E’ quanta ricolloca le vite in ansie molto diverse da quelle economiche. Ci scopriamo in pensieri inattesi, politici, forse spirituali, assai poco economici, impensabili, fino a ieri, nella globalizzazione.

Geminello Alvi

 

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