I contestatori del G8, invece di preparare
armi (letteralmente) e bagagli per Genova, dovrebbero essere già all’Aja.
E’ il processo a Milosevic, infatti, il vero e brutale tentativo di
globalizzazione che sta avvenendo sotto gli occhi soddisfatti di quasi
tutti. Se "globalizzare", nel linguaggio, dei contestatori,
significa togliere ai popoli la loro identità nazionale, cos’altro è
quello che sta avvenendo all’Aja?.
Anni fa un gruppo di nazioni, fra le quali
l’Italia, decise per conto proprio dove si dovesse intervenire "per
motivi umanitari", fra le tante zone dove ce ne sarebbe bisogno. Poi l’ex
capo serbo è stato sottratto al giudizio del suo popolo – il più
legittimato a processarlo – con uno spudorato ricatto economico. Infine,
Milosevic verrà condannato, non tanto perché è colpevole (e lo è) ma
perché così è già stato deciso. Tutto ciò va ben oltre la perdita dell’identità
nazionale lamentata dai contestatori del G8: è la perdita dell’indipendenza
reale da parte di uno Stato, che fra l’altro soltanto così potrà
accedere a quella non indifferente perdita di indipendenza e di identità
che è l’Unione Europea.
E non si facciano paragoni con Norimberga,
processo-simbolo posto a chiusura di un cataclisma mondiale dove si erano
combattute diverse concezioni della vita associata, la democrazia e il
comunismo contro il nazismo. All’Aja, piuttosto, si sta stabilendo il
diritto del più forte – che si autoproclama nel giusto - a intervenire
con le armi e con l’economia contro il più debole, colpevole o no che
sia. Proprio come faceva Milosevic.