ATTUALITA' DEL NAZARENO
Sono passati molti anni dalla prima edizione di questo libro; ma
le sue tesi di fondo, lungi dall’essere invecchiate, appaiono
oggi perfino più chiare e più sicure di quando sono state
formulate in quanto hanno provveduto gli avvenimenti a convalidarle.
E’ evidente, infatti, che se la Chiesa si sforza di
ricongiungersi con l’Antico Testamento, con
l’ebraismo e con il musulmanesimo, è perché
l’opera di Gesù, come affermato in questo libro, non
è stata capita nel suo aspetto eversivo nei confronti
dell’ebraismo nemmeno dai suoi primi seguaci; ed oggi si giunge a
negare (pur senza ammetterlo), a svuotare di senso il lancinante
messaggio di rottura gridato con tanta violenza da Gesù.
Il dialogo interreligioso costituisce in realtà il
ritorno al “sistema del sacro”, un sistema che è
presente, anche se con innumerevoli varianti, in tutte le religioni, ma
che nell’ebraismo si trova nella forma più stringente a
causa di un fattore essenziale: la proclamazione che esiste un solo
Dio. E’ questa unicità che costringe gli elementi dispersi
qua e là nelle singole credenze sacrali a concentrarsi in una
logica assoluta, mettendo in luce così il principio fondante del
rapporto di ogni gruppo umano con ciò che lo trascende, che lo
supera e che lo intimorisce: il principio del sacrificio. Sacrificare
significa uccidere, offrire la morte al creatore della morte. Era stato
proprio questo: il passaggio immediato, con Gesù e dopo
Gesù, dalla concretezza dell’uccisione degli uomini (la
sacralità della guerra è appunto un sacrificio fra
uomini), dell’uccisione degli animali, della mutilazione del pene
al simbolismo del pane nella Messa e dell’acqua nel battesimo a
connotare la diversità radicale dei popoli mediorientali da
quelli dell’Occidente. Gesù ha segnato questa
diversità e per questo è stato subito ucciso. Le
religioni, infatti, quali che siano le spiegazioni che ogni singolo
popolo ne dà, rivelano la psicologia collettiva,
l’atteggiamento verso il mondo, verso la natura, verso la propria
vita che contraddistingue ogni gruppo umano in confronto agli altri e
coprono perciò anche gli aspetti più lontani dal centro
logico di fondazione di una cultura. Naturalmente i membri del gruppo
di solito non sono per nulla consapevoli di questa interconnessione
logica di cui sono portatori; ma ciò non toglie che essa agisca
in modo coercitivo proprio perché è “ovvia”.
L’ovvietà acceca anche le menti più critiche tanto
che solo i massimi geni, quelli che per la loro assoluta unicità
sfuggono perfino alla definizione di “genio”, si avvedono
dei significati della cultura nella quale si trovano a vivere.
Gesù è appunto un genio assoluto, e ha
applicato la sua immensa capacità critica là dove nessuno
ha mai provato a farlo: i mattoni di fondazione del “Sacro”
nell’ebraismo (come in tutte le religioni), ossia il sacrificio,
l’uccisione di una vittima, il dono della morte. E’ questo,
dunque, per Gesù il vero nemico dell’umanità;
l’unico, insuperabile ostacolo alla libertà di ogni uomo
così come di ogni gruppo: l’uccisione sacrificale.
Uccisione:
è questo il problema fondamentale dell’uomo. Dover
uccidere per poter vivere dato che questo è il meccanismo che
regge la Natura; e al tempo stesso impedirsi di uccidere per poter
vivere in gruppo. Il Potere nasce da lì: qualcuno ha assunto su
di sé il diritto e il dovere di uccidere e di far uccidere, e lo
ha messo al sicuro facendolo dipendere dalla Divinità. Il Sacro
e il Potere perciò sono inscindibili; o meglio Sacro e Potere
sono una cosa sola, nascosta sotto due termini che in apparenza
rinviano l’uno all’altro in un sistema circolare infinito
privo di responsabilità. Neanche le rivoluzioni più
violente e radicali, comunque rarissime nel lungo itinerario della
Storia, sono mai riuscite a interrompere il sistema
“uccisione-potere-sacralità”. Una volta giunte ad
uccidere, infatti, le rivoluzioni ricodificano il sistema, spostandolo
semmai da un ente ad un altro, da una classe ad un’altra, da una
autorità ad un’altra. L’unica rivoluzione che ha
permesso di intravedere dove fosse collocato il centro del potere
è stata quella di Gesù; e malgrado gli enormi,
innumerevoli, errori compiuti dai suoi seguaci, l’Occidente
rimane (o forse dobbiamo dire rimaneva dato che l’unificazione
europea tende a far prevalere l’Oriente) ancora l’unica
speranza di coloro che vogliono liberarsi dalla sacralità del
potere.
Gesù dunque è stato ucciso in base alla
necessità logica della “vittima sacrificale”; quella
stessa logica che in nessuna religione è stata mai esposta con
tanta chiarezza quanto nell’ebraismo, nel racconto, privo di
veli, dell’uccisione di Isacco. Uccidere il “figlio”,
ossia uccidere la prosecuzione della vita, il futuro del gruppo.
Gesù è stato sconfitto, ma ha costretto il sistema del
sacro a spostarsi in Occidente, dove l’amore per la bellezza, per
la rappresentazione della bellezza, presente nei Greci e nei Romani,
rendeva impossibile accettare la concretezza delle mutilazioni, il
divieto di qualsiasi simbolismo. Qui, dunque, anche se il sistema del
“Sacro-Potere” non è stato infranto, si è
però verificata una rottura epistemologica nei significati
culturali, tracciando un abisso fra l’Antico Testamento e i
Vangeli. Chi, del resto, potrebbe ingannarsi, leggendo i Vangeli, sulla
loro assoluta novità poetica, sulla loro appartenenza al mondo
di chi ama la rappresentazione della bellezza? Per questo, nessuno,
credente e non credente, ignorante e colto, è mai riuscito a
prendersela con Gesù: in Occidente l’amore per il bello
è più forte di qualsiasi cosa.
Oggi, però, la Chiesa sta compiendo il passo
più pericoloso: togliere al cristianesimo anche quel piccolo
granello di senape che Gesù vi ha posto senza che i suoi seguaci
abbiano saputo farlo crescere e sviluppare: la rottura con
l’Antico Testamento. E’ soprattutto la Chiesa wojtyliana
che lavora in questa direzione, seguendo due tracciati in apparenza
diversi ma alla fine convergenti. Il primo è esplicito e
dichiarato: ripartire dal “Padre Abramo” affermando che,
nel monoteismo, siamo tutti uguali e fratelli. Il secondo è,
viceversa, molto nascosto e forse addirittura inconsapevole. Celebrare
il massimo della sacrificalità nell’indicare in ogni
individuo il sacrificatore e la vittima, spronando tutti al
“dono” di sé come dono all’altro uomo, senza
più passare attraverso Dio. Difficile capire se Wojtyla creda di
poter sopperire in questo modo alla mancanza di fede, o almeno a quella
che lui ritiene mancanza di fede, nell’Occidente cristiano. Sotto
questo aspetto il cristianesimo si riassumerebbe nelle sole
“opere di bene”, prive di Dio.
Un errore così tragico non era mai stato compiuto
dalla Chiesa, neanche nei suoi momenti peggiori. Il sacrificio della
vittima riusciva almeno a tenere a freno l’aggressività
dell’uomo scaricandola, sia pure ingiustamente, su di un solo
individuo e dando un minimo di respiro al potere della morte dal
momento che lo poneva sotto il controllo della divinità. Fare,
invece, di ogni singolo uomo il sacrificatore e la vittima
dell’altro, eliminando la trascendenza, eliminando il timore
della morte come base della religione, significa consegnare gli uomini
alla più feroce delle distruttività, ristabilire la legge
dell’Homo homini lupus. Una delle conseguenze più
immediate la si è vista nella rapacità sul cadavere, poi,
inevitabilmente, sul “morto ancora non morto”, infine sul
vivo cui si strappano organi, con il denaro o per “dono”,
ossia per “sacrificio”. L’esortazione, assillante al
punto da diventare coercitiva, a “donare gli organi”
è l’estremo limite di una sacrificalità senza
trascendenza, senza altra passione che la morte dell’altro per la
vita terrena, la sopravvivenza biologica di uno per se stesso. E’
la fine del cristianesimo; la fine di qualsiasi possibilità di
religione in Occidente. Ma anche, forse, una volta uccisa la religione,
la possibilità di ricominciare da Gesù.
Ida Magli
Roma, 4 novembre 2003
ItalianiLiberi - Roma, 22 Marzo 2007
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