il Giornale    LA PAROLA AI LETTORI

Data
24-06-2003
 
 
 
Gli euronodi vengono al pettine

Carissimo Dott. Granzotto,

ho visto sulla sua rubrica "gli eurotalebani". So bene che Lei è sempre stato lungimirante sulla questione dell’Europa. Ma adesso che la meta della nostra distruzione come popolo, come patria, come indipendenza, come libertà è quasi raggiunta, non so spiegarmi il silenzio, il consenso, anche di quei pochi italiani che sono in grado di parlare. A Roma è stata addirittura inaugurata la mostra sull’ “identità italiana”, come accade normalmente per i popoli morti, o in via di estinzione. Perché, perché ci si deve ridurre ad una lettera per parlare della più atroce violenza che sia stata mai perpetrata contro gli Italiani? Per quante dominazioni straniere ci siano state imposte durante i secoli, nessuna è mai giunta a cancellare il nostro nome, la nostra lingua, la verità della nostra storia; e mai – ne sono sicura – un governo avrebbe accettato un simile annullamento se fosse stato imposto come condizione di resa alla fine di una guerra perduta.

Come Lei sa io mi sono battuta da molti anni contro l’Unione Europea e, malgrado esista ormai una censura ovunque su questo tema, non accetterò di essere una “collaborazionista”, non tradirò l’Italia, respingerò la cittadinanza europea.

La saluto con affetto

Ida Magli       


 

Carissima Magli,

qualcuno definì l'idealista colui il quale notando che una rosa odora meglio del cavolo, ne conclude che se ne possa cavare una minestra migliore. Da come l’hanno messa, lodata, glorificata, esaltata e osannata, l’Unione europea può sembrare una rosa. Ma anche così, anche profumatissima, non farà mai una minestra migliore del minestrone con tanti sapori diversi che è l’Europa. E fra quei sapori ci siamo noi, sapore antico che ora gli eurotalebani vogliono stemperare fino ad annullarlo nel brodino comunitario. Tutto questo senza chiederci se siamo d’accordo. Sembra sia sufficiente la sgangherata euforia di Romano Prodi a causa del varo della Costituzione per dedurne che anche noi si gioisca nel dare l’addio all’identità nazionale. Cosa da pazzi. In Francia almeno si discute se sottoporre o no la Costituzione a referendum e pare che Chirac non sia alieno dal farlo. Da noi, niente. Non che mi faccia illusioni: nel caso di una con­sultazione popolare il "sì" avrebbe partita facile fra gli elettori euforizzati, drogati dalla grancassa europeista e ignari (volutamente, protervamente lasciati ignari) di che cosa sia nella realtà Eurolandia. Tuttavia, prima di mettere una pietra sopra all’Italia come Stato e come nazione, faccenda un tantinello più importante dell'art. 18 o della servitù degli elettrodotti, buona norma democratica sarebbe sentire il parere del cosiddetto, molto cosiddetto, popolo sovrano. Lo si fece, non foss’altro che per salvare la faccia, con i Plebisciti. Perché rifiutarsi di farlo ora?

Però me lo lasci dire, carissima Magli: io non sono così pessimista.  Gli euronodi stanno venendo al pettine (la spocchiosa tirata d’orecchi della Francia perché Berlusconi non ha voluto incontrare quel mammalucco bombarolo di Arafat non è che un assaggino piccolo piccolo di quel che succederà con Costituzione in vigore. Ci sarà da farsi le matte risate) e venuto il momento le voglio vedere Parigi, Berlino, Londra, Madrid calare il sipario sulla loro storia, sul loro «epos». Nel caso poi mi fossii sbagliato, farò come lei. Se sarò in vita, perché non potrò più dirmi italiano, nessuno mi obbligherà ad essere ciò che con tutte le mie forze non voglio essere e rifìuterò di ritrovarmi eurocomunitario. In Canada non fanno tanto i difficili per rilasciare un certificato di cittadinanza.

Paolo Granzotto