In Polonia un lavoratore su cinque è legato alla terra e l'onda
lunga dei campi si fa sentire anche tra i grattacieli della capitale, dove
invece di sgranocchiare cipster i ragazzi divorano i lamponi acquistati per
quattro zloty alle bancarelle. E l'onda verde penetra ovviamente anche la
sede della Fondazione per lo sviluppo dell'agricoltura polacca, think tank
finanziato del Centro Rockefeller di New York: "non può immaginare cosa
abbiamo
provato quando abbiamo saputo che i nostri contadini avrebbero ricevuto solo
un quarto, forse un ottavo dei sussidi degli occidentali" dice la responsabile.
"A queste condizioni, entrare nell'Unione sarebbe un
suicidio." All'Est pensavano che l'Occidente fosse il regno della concorrenza, ma si
stanno accorgendo che qualcuno è più "concorrente" degli altri:
in barba alla new economy, l'Unione europea destina infatti circa 44 miliardi di euro,
quasi la metà del suo budget, a sovvenzionare agricoltura e zootecnia. Con
dieci Paesi candidati alle porte, i contributi a favore della terra
rischiavano di raggiungere importi semplicemente impresentabili nell'anno del
Signore 2002.
Vista l'incapacità di riformare il sistema, si sono quindi formate
due scuole di pensiero: seconda la prima, ai nuovi membri spetterebbe il
25 per cento dei sussidi; la seconda invece non intende concedere nulla. Con
i suoi due milioni di aziende agricole, la Polonia è il Paese più colpito
dai diktat di Bruxelles. E qui la scuola di pensiero è una sola:
"Sono proposte indecenti".
Nei media occidentali i contadini polacchi fanno spesso la figura
dello zoccolo duro xenofobo e arcicattolico. Ma quando il cronista chiede
se l' Europa faccia paura, anche perché lì i preti contano molto meno che
in patria, si sente rispondere: "Cosa c'entra, stiamo parlando di agricoltura: noi vogliamo la concorrenza". A parlare è Ilona, contadina e
moglie di
contadino, madre di due bambini e padrona di cinquemila tacchine.
"Abbiamo passato anni terribili, chiedevamo prestiti con tassi che
arrivavano tra il 60 percento all'anno e il 40 per cento al mese. Ma ce l'abbiamo fatta e
ora non abbiamo nessuna intenzione di soccombere a Bruxelles". A un
referendum
sull'Europa, Ilona voterebbe "no"; alle elezioni per il
Parlamento ha votato Sarbobrona, il partito dei contadini che lo scorso ottobre ha
conquistato il 10 per cento dei suffragi e nei sondaggi ora vola verso quota venti:
"Se arriva al 25, è la rivoluzione". Se invece rivoluzione non
sarà perché Andrzey Lepper, leader del partito, incubo della Varsavia bene,
irruente semplificatore che impasta la farina dello scontento con il lievito
del risentimento, ha modi da spaccone e finisce per far paura ai suoi
stessi seguaci di campagna: ""Heil Lepper!" ha titolato il
periodico più diffuso del Paese, attirandosi una querela ma interpretando sentimenti
diffusi.
Come è possibile che milioni di contadini raramente xenofobi mediamente
avveduti e serenamente cattolici si facciano rappresentare da un politico che
sa dire solo "no" all'Europa? Il fatto è che Bruxelles l'ha fatta
grossa, attirandosi gli strali di una categoria fiera di aver resistito alla collettivizzazione comunista, ma per nulla sicura di poter reggere
l'urto di tonnellate di grano latte carne dopati dai sussidi per miliardi di
euro: "Se dovessimo entrare in Europa a queste condizioni", fa un vecchio
dagli occhi tristi e dalle mani enormi da icona espressionista "davvero non
ci sarebbe gara: qui in giro chiuderemmo tutti". Lì in giro c'è un
villaggio che non è più un villaggio, cinque case senza nemmeno la chiesa e le rovine di un
kolchoz: segni di un Paese che in questi anni sta cambiando pelle e, nelle
campagne, lo fa soffrendo più che altrove.
Attorno a Barczewo la disoccupazione tocca il 28 per cento e colpisce anche
i giovani: "In tanti continuano ad andare all'estero" dice
il contadino espressionista. "Ma spesso tornano dopo due o tre mesi, perché
non si fidano a fermarsi senza visto". È un momento difficile in Polonia:
dopo dieci
anni di corsa, il Paese arranca tra un debito fuori controllo e un mare di aziende in difficoltà. In tanti si aspettavano la frenata, ma
nessuno pensava che sarebbe stata Bruxelles a dare il colpo di grazia. Eppure
si va avanti: in autunno ci sarà l'ultimo round di negoziati, poi
bisognerà siglare gli accordi in tempo utile per la data fissata per
l'adesione, il primo gennaio 2004. Si farà? Salterà? Certo è che in questo clima
il referendum di ratifica da marcia trionfale rischia di trasformarsi in
un tonfo colossale. "Per noi l'Europa è solo un problema"
grida un contadino circondato da un mare di tuberi. "Tenetevela e prendetevi i
frutti della nostra terra".
Raffaele Oriani
© "Io donna" del Corriere della Sera 7 settembre
2002