Editoriali  Il Giornale 

Così muore l'Europa
che avevamo sognato

 
di Nicola Matteucci
Il GiornaleLunedì 30 settembre 2002DALLA PRIMA


La collaboratrice del Giornale Ida Magli è una valente e stimata antropologa. Mi ha scritto una lettera garbata, ma ferma, per il mio entusiasmo per l’Europa che secondo lei ci porterebbe alla fine della nostra storia. Non per amore di polemica vorrei muovere alcune riserve alle sue affermazioni: il bello in politica è di potere dialogare e cioè comunicare e chiarire i problemi. Ma queste riserve. mi servono anche per mostrare tutto il mio scetticismo sul modo con cui oggi si vuole costruire l’Unione europea. La Magli teme che l’Unione europea distrugga il pluralismo e la cultura delle diverse nazioni, perché non esiste un popolo e quindi una nazione europea. Ieri gli europeisti si batterono contro lo Stato-nazione, che era stato la causa di tante guerre. Oggi si battono per l’Unione europea perché la politica ha bisogno di spazi più grandi non più offerti dallo Stato-nazione. Ma l’Unione europea non è una nazione, perché vuole abolire gli Stati-nazione, non - come vedremo - la nazione. Certo c’è una cultura politica comune: i diritti dell’uomo, il pluralismo, la democrazia costituzionale. Ma ci sono comuni origini storiche: basta leggere lo stupendo libro sul Medio Evo di Giorgio Falco dal titolo Santa romana repubblica. Santa, perché il Cristianesimo ha improntato la vita di tutti i Paesi europei; romana, perché il diritto romano è stato all’origine di tutti i diritti europei; repubblica, perché l’ideale ciceroniano ha continuato ad alimentare la volontà di chi voleva un miglior ordine politico. Tuttavia su questo punto la mia risposta non è completa. Ida Magli teme che l’Unione europea porti a una forma di omologazione delle diverse culture (la parola cultura va intesa nel senso più vasto). Il problema è più complesso. E' vero che la commissione (la vera nemica dell’Unione europea) con procedure burocratiche e autoritarie ha tentato questo, imponendo la lunghezza delle zucchine o cercando di proibire il lardo di Colonnata. Inoltre c’è l’effetto della globalizzazione, per cui nei cibi (vedi Coca­Cola e McDonald’s) stiamo diventando tutti eguali ma non per colpa dell'Unione europea. Per fortuna c'è chi resiste: non è lo Stato-nazione, ma la piccola patria La piccola patria è una realtà vivente, perché è una comunità: vive con le sue tradizioni, con le sue feste e con i riti religiosi per i suoi santi, con le sue bande, ma anche difende i suoi diversi cibi è i suoi vestiti tradizionali, e ama il suo dialetto. Basta discutere con termini astratti e burocratici come quello di regionalismo, bisogna ripristinare l’antico concetto settecentesco di piccola patria. L'Unione europea non è nemica delle piccole patrie perché rappresentano una ricchezza e una vitalità. Ha ragione Ida Magli nel non provare nessun entusiasmo per l'Europa. Proprio quando la Commissione presieduta da Valéry Giscard d’Estaing si appresta a preparare una bozza per una Costituzione dell'Unione europea. Una Commissione - giova sin d’ora ricordarlo - non nominata dal popolo europeo ma dai singoli Stati. Dai pochi resoconti dei giornali ci si accorge subito che in questo progetto rimane il vizio o la contraddizione di fondo dell’attuale Unione europea. La contraddizione consiste nel seguire insieme la logica dello Stato federale e quella dello Stato confederale: per chiarirci meglio, nel primo il vero sovrano è al centro, nel secondo abbiamo una semplice alleanza tra gli Stati.

Nel ’45 si lottava per distruggere lo Stato nazionale sovrano fonte di contrasti e di tensioni tra gli Stati europei. Questo Stato sovrano ha ceduto un solo diritto, quello dibattere moneta, e così si è affermato l’euro, che certo non scalda i cuori. Ma questo Stato sovrano non ha ceduto il suo diritto nella politica estera e nella conseguente politica militare. Nello stesso tempo si è affermato il Parlamento europeo eletto a suffragio universale dai Paesi aderenti all’Unione europea che ha visto lievemente accresciuti i suoi poteri dopo Maastricht. In questo Parlamento gli eletti si dividono in una Destra e in una Sinistra, in conservatori e progressisti, non secondo le appartenenze nazionali. Ma nel governare l’Unione europea ci sono ancora gli Stati sovrani: infatti nel Consiglio dei ministri, nel Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo ma anche nella, per me, giustamente vituperata commissione, comandano ancora gli Stati. Le decisioni devono essere prese quasi sempre all’unanimità si creano paralisi ma non si eliminano i conflitti fra gli Stati (si parla tanto di un asse franco-tedesco, non dell’Europa). Non era più semplice trasferire la politica estera e la politica militare al Parlamento europeo, dandogli il diritto di eleggere un governo e un premier? Ma gli Stati ancora sovrani sono restii a cedere il loro vero potere e sembrano vedere l’organo unificante nella Commissione, composta da una burocrazia tecnocratica. Questa sovranità ripartita fra l’Unione europea che ha una sua legittimazione democratica e i diversi Stati sembra continuare proprio in settori così delicati come la politica estera e la politica militare, nei quali l'Europa, in questa crisi internazionale, non ha ancora una sua voce unitaria e responsabile. Forse questa è la morte dell’Europa quale l’abbiamo sognata. Chi spera ancora si ricorda di una vecchia canzone inglese secondo la quale "è lungo arrivare a Tipperary". Forse soltanto allora avremo un’Europa «forza gentile», che Tommaso Padoa Schioppa, autorevole esponente della Banca centrale europea, vede quasi realizzata.

Nicola Matteucci

 

 

  SOMMARIO