di Giordano Bruno Guerri
Il Giornale |
Giovedì 8 Agosto 2002 |
Che Marettimo sia una isola di insolita bellezza va da sé, e non ci
insisterò più di tanto. Selvatica e rocciosa, nel corso dei millenni è
riuscita a raccogliere solo un paesino incantato e - al momento - pochi
turisti. Chi la chiama "la Capri delle Egadi" le fa torto
perché, anche volendo, Marettimo non riuscirebbe a diventare quell'agglomerato
di lusso e densità abitativa della più nota cugina napoletana. Marettimo
è una di quelle isole che, magicamente, non consistono nella loro terra,
ma nel loro mare, un mare straordinario che in pochi chilometri di costa
esibisce una quantità incredibile di grotte magiche a pelo d'acqua, di
fondali pesciosi da fare invidia alle Maldive, di spiaggette da spot
pubblicitario. Come se non bastasse, i marettimani se ne fregano
abbastanza di tutto ciò, come nel 1870 se ne fregarono della gran moda di
allora (Roma all'Italia) e elevarono l'unico monumento dell'isola non
all'Unità ma a un santo, per una pesca miracolosa. Erano difatti grandi
pescatori e quando furono costretti all'emigrazione fondarono una colonia
diventata famosa in California, a Monterey, entrando persino nelle pagine
di John Steinbeck. Oggi trovano quasi tutti più comodo occuparsi dei
pochi turisti, i pochi visitatori in tre millenni di storia che non
vengono qui a comandare bensì per ubbidire.
Queste rocce hanno 200 milioni di anni, ma si staccarono dalla Sicilia
appena 600mila anni fa. Ci sono piante che si trovano qui e non altrove.
In questi mari i Romani affrontarono per la prima volta i Cartaginesi
sull'acqua, nel 410 a.C., e li vinsero con la semplice e geniale
invenzione dei rostri, se no adesso - forse - saremmo tutti nordafricani
preoccupati degli extracomunitari inglesi e svedesi. Allo storico piace
soprattutto pensare a quest'isola - punta estrema della Sicilia, quindi
dell'Italia e dell'Europa - come l'affacciarsi al balcone di una conquista
conclusa da parte di tanti popoli: i Romani, certo, poi i Vandali, i Goti
e gli Ostrogoti, via via fino alla modernità cugina degli Aragonesi.
Popoli duri che, come si usava prima degli aliscafi e degli elicotteri,
vedevano nelle isole appunto luoghi di isolamento, perfetti come avamposti
e prigionie crudeli. Una delle più crudeli ch'io sappia fu quella che i
Borboni, molli e feroci, inflissero a Guglielmo Pepe. C'è, sulla punta
estrema dell'isola, un castello fatato e inespugnabile, dotato di una
cisterna d'acqua, dotato di una cisterna dell'acqua in caso di assedio.
Svuotata la cisterna, l'antro divenne la più tremenda delle prigioni,
dove Pepe venne rinchiuso per anni, al buio, finché venne estratto verde
e con la pelle attaccata alle ossa.
Ma la storia più fascinosa che riguarda Marettimo è quella di un
inglese moderno e di qualche antico greco. Samuel Butler era tutt'altro
che uno stupido. Era nato a Langar-cum-Barnstone, (Nottingham) e,
destinato dal padre alla carriera ecclesiastica, studiò a Cambrige.
Annoiato dalla vita che gli avevano scelto, fuggì in Nuova Zelanda, dove
divenne allevatore. La sua opera più famosa rimane Erewhon (1872),
racconto ambiantato in un immaginario paese che ricorda, e ridicolizza,
l'Inghilterra bigotta e devota al dio denaro del suo tempo. Fun un maestro
amato da scrittori inglesi suoi contemporanei e successivi, da Wilde fino
a Joyce. Anch'io, che l'ho scoperto grazie a Marettimo, lo amo. Si può
non amare l'autore di frasi come queste? "C'è una sorta di rispetto
e di deferenza nel mentire. Ogni volta che mentiamo a qualcuno, gli
facciamo il complimento di riconoscere la sua superiorità". "La
gallina è soltanto lo strumento usato da un uovo per fare un altro
uovo". "A parte l'uomo, tutti gli animali sanno che lo scopo
principale della vita è godersela".
Butler, che morì esattamente cent'anni fa, scoprì Marettimo, e il
resoconto del suo primo viaggio venne pubblicato dal periodico Il
Lambruschini di Trapani: vi si dimostra che anticamente era un'isola
fortificata, cinta da mura, ma nessuno finora ha effettuato una seria
campagna di scavi che potrebbe dimostrare l'esistenza di antiche civiltà.
Il bello, però, deve ancor venire. Butler, studioso profondo della
storia, della lingua e della mitologia greca, dette per certo che -
problema ancora dibattuto - Iliade e Odissea non sono dello
stesso autore. Di più: come altri studiosi individuò Trapani e il
Mediterraneo occidentale come luogo di svolgimento dell'Odissea.
Non è il solo, verità. Alla stessa conclusione sono arrivati anche
altri studiosi, come Robert Graves, che insiste in particolare sulla
funzione antifenicia dell'opera pseudo-omerica, Butler spinge la sua
analisi fino a specificare che proprio Marettimo era Itaca, che i Ciclopi
si trovavano a Erice, e che il vero autore dell'Odissea fu una
donna, una principessa trapanese, Nausica, probabilmente figlia del re
Alcinoo di Scheria: gli indizi storico - geografici - antropologici che
Butler individua sono numerosissimi, troppi per indicarli qui, ma
abbastanza per venire voglia di leggere una recente ristampa del suo
saggio L'autrice dell'Odissea (Edizioni dell'Altana, 262 pagine, 20
euro).
E' un argomento di cui pochi studiosi (perlopiù anglosassoni) si
occupano. Butler, sperando di accendere qualche passione fra i trapanesi,
donò il manoscritto della sua opera alla biblioteca di Trapani, ma la
cultura della città ha avuto a lungo a che fare con Proci moderni.
Chissà che, in questo centenario dimenticato, non possa cambiare
qualcosa. Se no, pazienza, Marettimo rimarrà lì, per chissà quanti
anni, a fare l'isola che c'è solo per chi c'è.
Giordano Bruno Guerri