Editoriali  

L'azione di Wojtyla
e i fallimenti del Cristianesimo
di Ida Magli
ItalianiLiberi | 17 Novembre 2002
 

Il totale, servile consenso che è stato dimostrato dai politici verso Wojtyla, in occasione della sua “visita” al Parlamento, è stata una ulteriore conferma che noi, poveri Italiani, siamo inermi strumenti del mostruoso progetto di “armonizzazione” (la delicatezza dei termini ne fa parte) di tutti i Poteri nel dominarci, impedendo qualsiasi possibilità di critica. Di Wojtyla si è fatta l’esaltazione, enumerando i suoi “primati” numerici, come si fa con l’Auditel per le trasmissioni televisive. Quanti chilometri ha percorso, quanti milioni di persone ha incontrato, quanti Santi ha canonizzato... Nessuno, però ha tratto la conclusione dell'enormità del suo fallimento, in termini di cristianesimo, in rapporto a un tale mastodontico battage pubblicitario. Una conclusione inevitabile, che la Chiesa stessa non si accorge di trarre quando afferma che l'Italia e l’Europa sono ormai "terre di missione", in quanto scristianizzate. Ma c’è da aggiungere la ormai quasi completa conversione all'Islam dell’Africa, perfino di quella piccola parte un tempo cristiana; dell’Est eurasiatico dove, sulle strade aperte da Roma, erano giunti i primi evangelizzatori; per non parlare poi della riduzione ai livelli più bassi della religiosità anche in quei gruppi rimasti nominalmente cattolici ma che ne tradiscono la spiritualità servendosene soltanto per quei bisogni comuni a tutti gli uomini quali l’affidamento magico a qualche santo o a qualche guaritore o esorcista (Milingo insegna).

Dunque il frenetico agitarsi di Wojtyla non ha portato a nulla sul piano della fede. L’ossequio che il mondo dei governanti e dei politici gli tributa ovunque è il riconoscimento dei detentori del potere verso chi sa usare molto bene il potere, rafforzando così quello di tutti gli altri e, al tempo stesso, la fiducia che l’assolutismo con il quale ha concentrato su di sé perfino l’idea di "Chiesa", impedendo qualsiasi dissenso teologico, è il più utile per governare centinaia di milioni di persone ormai non più credenti dato che, comunque, di una religione qualsiasi il governo ha bisogno. Detto dunque in altri termini: nell’Unione Europea il “sonno della religione” farà buona compagnia al sonno della democrazia e al sonno della libertà.

Ma quanto potrà durare questo stato di cose? Ci sono almeno due fattori che inducono a sperare in un sussulto delle intelligenze e nella necessità di una reazione. Il primo consiste nell’inevitabile ritorno degli uomini, uomini che non sono mai mancati anche nei peggiori momenti della storia in Italia e nell’Occidente europeo, a “pensare”, a riflettere, al di là e contro l’ovvio conformismo, a dubitare, a discutere, a giudicare. Costringere gli uomini a non giudicare significa ucciderli. Come è possibile credere in una storia religiosa nella quale, malgrado gli orrori dell'inquisizione, dei roghi, hanno alimentato i propri dubbi uomini come Agostino, Lutero, Pascal, Savonarola, Kierkegaard, non si alzerà presto qualcuno a protestare contro il numero delle Ave Marie? Come è possibile che non ci si accorga dell'enorme menzogna con la quale si è attribuita a Wojtyla la caduta del comunismo proprio in quella Unione Sovietica in cui gli è stato impedito di mettere piede, e che rimane fedele ai propri patriarchi ortodossi, gli stessi che erano presenti durante l'era comunista? In realtà Wojtyla viene tanto omaggiato perché, senza volerlo, è servito all’omogeneizzazione indispensabile al progetto di unificazione europea favorendone la deriva verso l'Est.

L’altro fattore cui accennavo, che forse costringerà qualcuno a scuotersi è la guerra dei musulmani contro l’Occidente. E’ un gravissimo errore, errore che fa il loro gioco, parlare di gruppi terroristici. E’ la guerra strategicamente più adatta per vincere contro nazioni allenate e armate per altri tipi di guerra, tanto da non riuscire neanche a riconoscerla come "guerra". La vittoria finale dei musulmani è facilmente prevedibile perché non è l’America che vogliono conquistare, ma quei territori che sono già in parte loro preda con migliaia di “stazioni” sparse qua e là: l'Europa, l’Africa, il Medio Oriente, l’India. Si tratta sia di Stati veri e propri, sia di gruppi camuffati nelle maniere più diverse come in Europa: lavoratori regolarizzati, clandestini, rifugiati politici, gruppi finanziari, industriali, perfino squadre di calcio. Ci stringono, perciò, da tutte le parti, da dentro e da fuori. Non fanno l’errore di Napoleone o di Hitler nell’allontanarsi dal proprio centro: i loro “centri” sono ovunque . Alla fine non avranno che da unificarli.

 Ida Magli
 Roma, 17 Novembre 2002

 



 

 

 

 

  SOMMARIO