Editoriale  

Intellettuali di destra

 
di Giordano Bruno Guerri
20 Giugno 2002

 Se dovessi definire con una sola parola l’intellettuale di destra, quella parola sarebbe snob. Non soltanto perché conosce De Maistre e ama Nietzsche, cita a memoria Pound e libri che nessun altro ha letto. La cultura di destra oggi è snob perché ha dovuto vivere per anni nelle “fogne” cui l’aveva costretta un antifascismo feroce, e soprattutto perché a riportarla alla luce non è stata la “sua” cultura bensì la destra liberale e liberista che si riconosce in Berlusconi e nel berlusconismo, nella destra liberale, liberista, filoamericana, popolare e un po’ libertaria. Gli intellettuali “aristocratici”, elitari ed “eroici” che non si trovavano a loro agio - tutt’altro - neanche nel vecchio Movimento Sociale hanno subito come un affronto il fatto di essere stati sdoganati dalla appena nata e trionfante destra politica, economica, pragmatica, che ha trovato il modo e il coraggio di unire le proprie componenti, nonostante ogni diversità: Forza Italia, Alleanza Nazionale, Lega, destra cattolica.

 In parte ha dunque ragione Marcello Veneziani, nel suo La cultura della destra, lamenta che da quella confluenza sia rimasta esclusa la destra culturale (citando però, e qui sbaglia, Fisichella e Malgeri, l’uno vicepresidente del Senato l’altro deputato e direttore del Secolo d’Italia: per il ministero dei Beni culturali e la presidenza di una rinata Accademia d’Italia hanno tempo). Se i Veneziani, i Tarchi, i Bernardi Guardi, i Buttafuoco, i Solinas, gli Accame - e via elencando - sono stati sostituiti, nella destra al potere, da intellettuali del liberalismo liberale o del radicalismo è perché hanno un sacro orrore di sporcarsi le mani (le menti) con la politica, con un governo che non è l’adamantino parto delle loro teorie, ma il frutto di necessità storiche e politiche oggettive.

 Non so, per la verità, se a qualcuno di loro siano stati offerti incarichi o ruoli, probabilmente no. Ma se questo non è avvenuto è perché il loro rigore ideologico (detto altrimenti anche puzza al naso), espresso in mille articoli e prese di posizioni apolitiche, se non antipolitiche, non ha permesso di farlo.

 D’altra parte sbaglia anche la cultura di destra ufficiale al potere, quando si propone di produrre un manifesto che nasca dalla cultura “nazionale, cattolica, liberale e riformistica”. E se uno è internazionalista o è cattolico o non riformista, che gli succede: viene d’ufficio dichiarato ignorante? O non di destra? Stesse barriere vengono elevate dagli antimanifesto, come Veneziani, che nel suo libro liquida la destra filoamericana, libertaria e radicale come un possibile “suicidio politico-elettorale del centrodestra”. Lo so che adesso è minoritaria, ma se fosse proprio quella - sta cominciando a vincere in America - il futuro della destra italiana? Lo si nega a priori esclusivamente perché non fa parte del suo passato, con un atteggiamento del tutto antiscientifico.

 Vedremo. Per adesso è certo che nella cultura di destra non ci si rende conto che stiamo vivendo una situazione eccezionale. Il centrodestra ha conquistato il potere, per la prima volta, ricevendo dagli elettori il mandato di modernizzare il Paese nella pubblica amministrazione, nelle strutture, nell’economia. E certi dibattiti che hanno un che di isterico non fanno bene né alla cultura né al governo, dove non si reggono neanche - figuriamoci - le stravaganze, a volte geniali, di Vittorio Sgarbi.

 Che la destra culturale, dunque, prosegua i propri dibattiti, utili e belli come quello in corso. Che cominci ad assumere ruoli nelle università, nei giornali, nelle strutture di potere intellettuale, visto che ora si può. Alla conquista del potere ha contribuito pochissimo, e non ha senso che al potere arrivi subito. Finché andrà a “cercare farfalle sotto l’arco di Tito” (Benito Mussolini) senza capire che la cultura - in politica - è sì libera ricerca, ma anche “unione d’intenti” (Giuseppe Bottai), è meglio per tutti che la destra intellettuale e snob elabori le sue teorie, con la massima libertà e il massimo ascolto da parte del Potere, non dentro ma fuori del governo. Perché al governo, con queste premesse, ci andrebbe soltanto per affossarlo.

Giordano Bruno Guerri

 

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