Editoriali
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26 Aprile 2002 |
di Giordano Bruno Guerri
il Giornale |
Venerdì 26 Aprile 2002 |
In un anno nato all’insegna del triplice
e borrelliano “resistere”, e a pochi giorni dalla stonata (anche
politicamente) “Bella Ciao” di Santoro, era inevitabile che si
tornasse a enfatizzare il 25 aprile. Da decenni, ormai, in quella data non
si celebra più - davvero - la vittoria sui fascismi. In base al nemico di
turno più inviso alle sinistre, la nobile data è stata usata per
diffondere panico su un fantomatico “pericolo fascista” costituito di
volta in volta dalla Dc, dal Movimento Sociale, dal Psi, della Lega, da
Alleanza Nazionale, da Berlusconi. Anche l’anno scorso, nell’imminenza
delle elezioni di maggio che avrebbero portato al governo la Casa delle
Libertà, la festa della Liberazione e della Resistenza non fu nient’altro
che una lotta a Berlusconi e ai suoi alleati.
Il Polo vinse, con
democraticissime elezioni e volontà di popolo, né da allora è accaduto
niente che possa far pensare a una diminuzione della libertà, tutt’altro.
Diciamocelo chiaro: anche leggi discutibili (almeno sul piano dell’opportunità
e del gusto), come quella sulle rogatorie o quella sui falsi in bilancio,
non limitano la libertà di nessuno, anzi garantiscono una maggiore
protezione giuridica per tutti. Come del resto l’opposizione a un troppo
generalizzato mandato di cattura europeo. Ora si dice di temere per la
libertà televisiva, che a quanto pare è la vera libertà democratica
moderna. Ma è accaduto che, il giorno dopo l’infelice pronunciamento di
Berlusconi contro Biagi e Santoro, il presidente della Rai Baldassarre (“notoriamente”
scelto dallo stesso Berlusconi), ha detto tranquillo tranquillo che Biagi
e Santoro continueranno a lavorare alla Rai.
Eppure ieri augusti tromboni,
come Oscar Luigi Scalfaro, Tina Anselmi e Luciano Violante - per tacere
degli altri - sono accorsi a ripeterci che la democrazia è in pericolo e
a fare paragoni stanti alla storia come il celebre cavolo alla merenda:
anche Hiller e Mussolini, dicono, arrivarono al potere legittimamente, ma
poi instaurarono una dittatura. Di fronte a simili discorsi - ipocriti,
faziosi, pericolosi - per quanto mi sforzi di trovare pensieri profondi e
immagini alate, mi sembra che la risposta più giusta, ponderata e seria
sia: “E se mia nonna aveva le ruote, era un carretto.” Il vero attacco
alla libertà e alla democrazia sta proprio nell’adottare quel tipo di
terrorismo psicologico e politico che a volte si trasforma pure in
terrorismo vero. E del resto la celebrazione rituale del 25 aprile è
stata quasi sempre usata da un partito - il Pci - la cui vera intenzione
finale era instaurare un regime di segno opposto a quello mussoliniano, ma
ugualmente liberticida e forse più deleterio. Ancora oggi, però, chi
celebra malamente il 25 aprile è colpevole di distogliere l’attenzione
da problemi reali e di utilizzare il ricordo di una tragedia storica per
la più banale e meschina lotta partitica (neanche politica, partitica)
quotidiana.
La migliore celebrazione del 25 aprile come data di libertà l’ho
sentita ieri mattina in una trasmissione radiofonica condotta da Giancarlo
Santalmassi su Radio 24 Ore: invece di ricordare la
vittoria degli americani, dei partigiani, dei russi su altre ideologie
politiche, venivano onorati i dodici professori universitari (12 su oltre
2000) che nel 1931 rifiutarono di prestare un giuramento che li avrebbe
obbligati a “formare cittadini devoti al Regime fascista”. Chi giurò
coprì d’infamia la propria coscienza e il proprio ruolo di studioso, di
docente, di uomo libero. Chi non giurò fece il primo, vero, coraggioso,
utile, disinteressato atto di libertà contro la dittatura. Ebbene, l’Italia
non ha mai celebrato quei dodici in nessun modo, neppure con la più
piccola targa che nelle università ricordi il loro eroismo, il loro
sacrificio, il loro amore per la libertà intellettuale e umana. Perché?
Ve lo dico io perché. Perché sia i liberali, sia i comunisti, sia i
cattolici (nella persona di Pio XI) suggerirono di giurare per non perdere
un ruolo di controllo politico, culturale e politico: ovvero suggerirono
di accettare un compromesso infame. Non c’è riconoscimento possibile,
in Italia, per chi non appartiene a qualcosa o a qualcuno, lobby, fede o
partito che sia. Non c’è riconoscimento possibile per chi - con la
parola libertà - intende principalmente quella della coscienza. E’
dunque inutile che io proponga di celebrare la festa della libertà (ormai
festa della faziosità) non nel giorno dei vincitori di una parte sull’altra,
ma nel giorno in cui pochi uomini scelsero la propria intelligenza e la
propria coscienza, fregandosene dei partiti. E’ inutile, ma lo faccio lo
stesso: quella data è il 20 novembre, giorno entro il quale i dodici
dimenticati - volutamente dimenticati - eroi, scelsero di essere uomini
liberi. Soprattutto da chi crede o finge di credere di possedere la
verità.
Giordano Bruno Guerri