Editoriale 

11 Settembre 2002

 
di Giordano Bruno Guerri
il Giornale | Giovedì 12 Settembre 2002

L’11 settembre è anche il compleanno di mia madre però (scusami mamma), ormai la prima cosa che mi viene in mente a sentire quella data sono le due torri. Ieri guardando alla televisione le rievocazioni, il dolore di quel giorno, l’angoscia, i perché senza risposta si sono riaperti nella mia mente come un anno fa. Fra tutti il più rabbioso è: come si fa a continuare a compiacersi di essere antiamericano - anzi a esserlo di più - proprio vedendo quelle immagini? Me lo chiedo da un anno, quando dalla mezzanotte alle 6 dei 12 settembre condussi una diretta radiofonica per commentare gli avvenimenti: fu incredibile la quantità di ascoltatori che telefonò per dire che “Gli sta bene agli americani, così imparano a voler fare i padroni del mondo.” A un anno di distanza era lecito aspettarsi che, almeno, la riflessione degli intellettuali andasse oltre quei barbari pensieri di occhio per occhio, di vendetta cieca contro migliaia di innocenti.

 Ieri pomeriggio, 18,30, sono andato in via Asiago, Roma. Sergio Valzania, direttore di Radio 2 e Radio 3, che sta tentando fascinosi esperimenti fra cinema e radio, offriva una visione anticipata di 11 settembre 2001, undici episodi realizzati da undici registi di tutto il mondo (l’Italia non c’è) per rievocare liberamente quel giorno. Nell’intervallo fra i due tempi me ne sono andato, anche se avrei voluto vedere tutto, per scrivere questo articolo. All’uscita, accasciato (ebbene sì, accasciato) sui gradini davanti alla strada c’era Vittorio Sgarbi, che stava vedendo il film con me e se n’era già andato. Benché lui e io cerchiamo sempre - per gusto di polemica, per stimolo d’intelligenza - di cercare e esibire il poco che ci divide ignorando il molto che ci unisce, è bastato uno sguardo per capirci e dire all’unisono le stesse parole: “Sono tutti antiamericani!”

 Come si fossero messi d’accordo, ogni regista mostra i dolori del proprio Paese, attribuendone in un modo o nell’altro la colpa agli Stati Uniti, e quindi arrivando all’implicita conclusione che “Gli Usa se lo meritavano.” L’episodio afgano mostra una maestra - una dei tre milioni di afgani profughi - che spiega con dolore l’avvenuto ai suoi bambini; però il vero messaggio è che quei bambini minuscoli sono costretti a fabbricare mattoni per un’improbabile difesa contro un probabile attacco atomico statunitense. L’episodio del Burkina Faso mostra un’appena inferiore miseria di bambini che sarebbero disposti a catturare Bin Laden per ricevere la taglia americana, oppure a rapire Bush per chiedere un riscatto, ma concludono di scartare l’ultima ipotesi, “Perché poi l’America ci bombarda.” Il film inglese rappresenta la lettera di un esule cileno a Londra ai familiari delle vittime dell’11 settembre. Racconta che anche il Cile ha il suo 11 settembre, quello del 1973, quando Pinochet rovesciò Allende: la colpa è tutta degli Stati Uniti. L’episodio girato in Bosnia Erzegovina racconta la storia di vedove, mutilati e profughi (a causa delle bombe americane), che ricevono come aiuti umanitari rossetti e ciprie. Il film francese, dell’insopportabile, bravissimo (è il pezzo migliore) Claude Lelouch, non avendo povertà e torti da rivendicare, biascica che l’amore e i dolori della condizione umana sono più tragici di quel che avvenne a Manhattan. Infine, la ciliegina avvelenata sulla torta velenosa: un regista egiziano spiega le ragioni dei kamikaze palestinesi contro Israele e gli Stati Uniti, di fatto giustificando, se non esaltando, ogni ritorsione terroristica.

 E’ l’episodio più rivelatore. Accusa gli Stati Uniti di voler imporre al mondo la propria cultura, prima ancora che la propria potenza. E’ vero, perché in ogni epoca e in ogni luogo la cultura dominante ha voluto diffondersi con ogni mezzo. Ma la cultura dominante è sempre stata, nel mondo, la più avanzata da quando - milioni di anni fa - una tribù di uomini-scimmie scoprì il fuoco e con il fuoco si impose alle tribù vicine. Dopo centinaia di migliaia di anni l’Uomo ha anche creato dei freni al potere del più evoluto, ovvero del più forte (oggi gli Stati Uniti devono rivolgersi all’Onu prima di attaccare ancora l’Irak), l’attacco gratuito non è più permesso, e ciò è un bene.

 Quel che dobbiamo chiederci davvero però, è se - sottoposti ad attacco da parte di culture meno evolute, nate da religioni immutate da 1400 anni - dobbiamo per questo rinnegare tutto quello che abbiamo conquistato in millenni di studi, errori e progresso: la laicità, la libertà religiosa, l’avanzare delle scienze, l’esaltazione dell’individuo contro le regole di masse immobili.

 Io dico di no. L’11 settembre è un attacco della barbarie contro la civiltà. Per questo piango insieme agli americani.

Giordano Bruno Guerri

 

 

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