analisi
e ipotesi per l'evoluzione
del modello culturale
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Il fascino della poesia
e della libertà nell'uomo Gesù |
Testo
trascritto da una conferenza
tenutasi presso l'associazione ALEXIS di Bologna
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di Ida Magli
Pubblicato dalla rivista
Babilonia |
Ottobre 2002 |
Gesù di Nazareth è stato senza dubbio l'uomo più libero che io conosca.
E'
la libertà di quest'uomo che mi ha affascinato e ho tentato di capire dove si
collocasse questa sua libertà. Oggi si sente bisogno di libertà e le strade
che ha seguito Gesù sono così innovative che risultano uniche anche oggi,
dopo duemila anni. Ma quali sono i concetti di rottura che Gesù predicava? La
contestazione verso la famiglia, verso la madre, verso i rituali, i costumi e il
Potere della sua epoca, e infine la contestazione verso l'istituzione gerarchica
della religione. Gesù è stato visto spesso come un uomo femmineo, e così
spesso viene raffigurato in certe opere d'arte oleografica: so che molti gay lo
amano perché pensano che anche lui forse era omosessuale, per lo meno
psicologicamente. Certo, io pure ammetto che fosse anche dolcissimo (e lo
dimostra nei suoi rapporti con le donne); tuttavia è lui ad abolire l'immagine
femminilizzata degli Ebrei quali "sposa di Dio" e a ripristinare, nella sua
aspirazione, quella virilità, quella mascolinità che è la dignità dell'essere
umano - maschio o femmina che sia - perché Gesù da subito mette alla pari
uomini e donne. Spieghiamo questo concetto. La società ebraica era ed è fondata
sui legami di sangue. In particolare, per il Giudaismo rabbinico, si è ebrei se
si è figli di madre ebrea, in quanto mater semper certa (mentre per la paternità
occorre prestar fede a quanto asseriscono le madri). Ma tali concreti legami di
sangue hanno fondato simbolicamente il rapporto del popolo ebraico con Dio. I
maschi ebrei stipulano con il loro Dio un "patto di sangue" mediante la
circoncisione, all'ottavo giorno dopo la nascita e ricordiamoci che "patto"
significa anche "alleanza in guerra" e che il Dio dell'Antico Testamento è
il "Signore degli eserciti". E' ben vero che gli etnologi trovano la circoncisione
un po' dappertutto nel mondo; però presso gli Ebrei essa ha un significato
profondo, diverso da quello degli altri popoli, perché segna il patto con Dio.
Non è un rito di iniziazione alla società maschile degli adulti (come si trova
presso tutte le popolazioni), ma rappresenta un legame strettissimo, un vero e
proprio "patto nuziale" con Dio. Ma allora se il patto con Dio è un patto
nuziale che viene sancito attraverso la mutilazione dell'organo più "potente"
che i maschi possiedono questo significa che gli Ebrei sono concretamente
femminilizzati: divengono la sposa di Dio, in quanto la circoncisione
rappresenta la volontaria privazione, da parte dei maschi, del segno della
propria potenza virile, che viene consegnata, offerta a Dio quale "Sposo".
Quasi a ogni passo nella Bibbia si trovano riferimenti alla "gelosia" di
Dio.
Dio accusa Israele di essere un'adultera e una prostituta che si vende, che si dà
a tutti: tipica terminologia della gelosia di tipo amoroso e sessuale che
individua il Dio-sposo nei suoi rapporti con gli Ebrei maschi. E ribadisco che
si tratta dei maschi ebrei: le donne non c'entrano niente. Il fatto che gli
Ebrei si pensino con un'immagine femminile nei confronti di Dio spiega anche una
caratteristica del popolo ebraico che lo contraddistingue ancora oggi: gli Ebrei
si ritengono l'unico "popolo eletto" perché loro sono la sposa di Dio, e Dio
certamente non è poligamo. Ma anche viceversa: Dio è uno solo perché il
popolo eletto è uno solo. Io sono convinta che l'idea del monoteismo, e cioè che
esista un solo dio, nasce dall'idea che è uno solo il popolo eletto da Dio. Da
ciò seguono conseguenze enormi che spiegano l'ossessività dei rituali di
purificazione del corpo degli Ebrei. Gli Ebrei ortodossi sono una sposa che deve
essere sempre purificata, mai contaminata, e quindi nella loro pratica
quotidiana si accumulano i gesti di purificazione, perché il loro è un corpo
che deve riuscire gradito alla divinità. Tale dialettica femminilità/mascolinità
nel rapporto con Dio del popolo ebraico fu recepita ma ampiamente fraintesa nel
Cristianesimo: tant'è che nei primi secoli della nostra era c'è stata una forte
tendenza a proporre come tratto distintivo dei Cristiani la rinuncia totale al
sesso (uno dei motivi, questo, che li ha fatti percepire come pazzi). Non
sapendo più chi fossero, i primi Cristiani avevano deciso che tanto valeva che
i maschi rinunciassero alle proprie caratteristiche virili, le donne entrassero
in convento e così il problema del sesso era risolto. E questo problema del
sesso il Cristianesimo se l'è trascinato dietro fino ai nostri giorni: un
problema che non concerne tanto l'uso concreto del sesso, quanto la proiezione
della nostra identità (quella dell'Occidente) nella sfera del genere sessuale:
così noi non sappiamo ancora se siamo femminili o maschili davanti a Dio. La
Chiesa e la gerarchia cercano di volta in volta di rivestire tutte queste
polarità sessuali: la Chiesa è presentata come "la Sposa di Dio", Gesù
è "lo
sposo della Chiesa"; il papa poi sebbene non si sappia né se sia lo sposo o
la sposa, né di chi, è tuttavia "nostro padre", con un intreccio
inestricabile di immagini sessuate che tutte hanno avuto origine da lì, dal
fatto che Gesù ha cancellato l'immagine del maschio ebreo come "sposa di Dio".
Gesù, però, come dicevamo, elimina la necessità della circoncisione e abroga
tutte le cerimonie di purificazione esteriore. Ma non basta. Fatto questo,
strappa del tutto le radici dell'Ebraismo annullando l'eredità del sangue.
Pensiamo a quanto egli afferma contro la parentela di sangue. Quando incontra il
giovane che dice: "Voglio seguirti, però devo andare prima a seppellire mio
padre", Lui risponde: "Lascia che i morti seppelliscano i loro morti": frase
terribile, perché ancor oggi i morti sono sacri. Maltrattare il cadavere è cosa
che non pare giusta neanche a me che trovo repellente e distruttiva dell'umano
la pratica dei trapianti. Poi nella cultura ebraica toccava ai figli maschi sia
custodire il cadavere del padre, sia celebrare per una settimana i suoi riti
funebri. Era quindi un dovere sacro dell'Ebraismo e obbligatorio per Legge.
Quando però Gesù afferma: "Non lo fare, perché sono i morti a seppellire i
loro morti", implica che coloro che osservano il rituale sono dei morti. C'è poi
un altro passo che abroga i legami di sangue della società ebraica. Quando gli
riferiscono: "Guarda che tua madre e i tuoi fratelli ti stanno cercando", Lui
risponde: "Chi è mia madre? Chi sono i miei fratelli?". Si guarda intorno e,
accennando ai discepoli astanti dice: "Questa è mia madre, questi sono i miei
fratelli". Non si creda che intenda dire, come si interpreta di solito svilendo
il senso della pericope, che sono "il prossimo". Poiché non è vero che
"il
prossimo" siano davvero "i nostri fratelli": e comunque lui non intendeva
questo; intendeva - a mio modo di vedere - che non è il legame di sangue che
fonda il rapporto, l'affetto, il rispetto delle persone. E' la responsabilità
del volere morale. Questo significa che io posso e devo amare mio padre, mia
madre, i miei fratelli non perché facciano parte del "mio clan", ma perché li
amo prima di tutto come persone integrali e libere, li rispetto prima di tutto
come persone autonome da me. E oggi invece è gravissimo che - ribaltando l'insegnamento
evangelico - si parli della "famiglia umana", che si sostenga che "siamo
tutti fratelli". Che ciò sia terribilmente grave e carico di conseguenze
negative lo dimostra il fatto che al giorno d'oggi i legami di sangue e di
parentela si rivelano sempre più sfibrati e inconsistenti nella Cultura
occidentale. Gesù, stando alle testimonianze evangeliche, è particolarmente
duro nei suoi rapporti con la madre. Ancor oggi i filologi non riescono a
spiegarsi perché lui la chiamasse "donna", invece che "madre". Lui si ostina
a chiamarla "donna" persino sulla croce: "Donna, ecco tuo
figlio!". Ma perché
la chiama così? Secondo me, Lui si ostina per irritazione verso di lei, perché
lei si rifiuta di prenderlo seriamente, di capirlo "come persona", in quanto per
lei è semplicemente "suo figlio". Forse un estraneo lei l'avrebbe preso più
sul serio; ma un figlio, il suo bambino! E' solo un ragazzo sventato! Cosa
vuoi che abbia capito? E poi forse Gesù ce l'aveva con sua madre anche perché
in realtà Maria era una pia donna ebrea osservante. La donna ebrea non contava
nulla: era contaminata dal sangue mestruale, era impura, non poteva aprir bocca
di fronte all'uomo. Allora, una donna ebrea in che cosa poteva trovare una sua
dignità? Nell'osservanza perfetta del rituale, della preghiera, del ruolo che
le imponevano le istituzioni. E quanto più lei era una donna osservante, ligia,
perfetta, tanto più dava sui nervi a lui, cos“ insofferente e contestatore"
Gesù rompe con il Sacro, e così facendo si è posto probabilmente, agli occhi
dei suoi connazionali, come un "terrorista" che opera la rottura dei vincoli e
degli strumenti di coesione sociale. Se ci pensiamo, Egli ha compiuto azioni che
in quell'ambiente culturale comportavano la pena di morte. Di solito non viene
sottolineato, ma è così: rompere il riposo del sabato comportava la pena di
morte, raccogliere delle spighe e sbriciolarle fra le mani in giorno di sabato
comportava la pena di morte, non compiere i rituali di purificazione comportava
la pena di morte: azioni da terrorista agli occhi di chi lo guardava, anche per
i suoi discepoli. Me li immagino traumatizzati, ipnotizzati, soggiogati da un
fascino tutto suo, di quell'uomo singolarissimo; loro, poi, così pavidi e
conformisti, che, appena morto lui, si sono dimostrati dei bei vigliacchi! E il
Sacro è potente e si infiltra dappertutto, anche dove non ci rendiamo conto che
è presente. Persino noi, che al Sacro oggi sembriamo pensare poco, in realtà
attribuiamo valore sacrale (e quindi dei tabù) ad alcuni ambiti ideologici, con
concretissime ricadute pratiche e sociali. Pensiamo ad esempio cosa è diventata
per noi un'idea astratta come "la Democrazia": a parlarne contro, si prova come
un senso di disagio, un pudore, quasi una sensazione di colpa e di timore di una
punizione. La verità è che questo concetto per noi comporta della sacralità!
Ma rompere il Sacro non significava solo rompere tutto il sistema di credenze
degli Ebrei; significava anche rompere la coesione sociale della società
ebraica, perché - come abbiamo visto - il gruppo individuava se stesso, la
propria identità, la propria storia nel "rapporto matrimoniale con Dio". Gesù
scaccia dal tempio i venditori di colombe; e a mio parere lo fa perché ai suoi
occhi non era più necessario il sacrifico delle colombe. Sacrificio: termine
fondamentale. Qui è stato perpetrato il maggior tradimento all'insegnamento del
Cristo. E' stato un tradimento dettato dalla volontà di fondare il Potere, il
quale ha come necessaria base, simbolica e concreta, il sacrificio, che consiste
nell'uccisione di una vittima più debole e vicaria al posto di quella umana
originaria. La vittima è necessaria per fondare qualsiasi Potere. E' per questo
che Gesù non voleva vittime. E la Chiesa invece ha addirittura teorizzato Gesù
stesso quale "vittima sacrificale". Io sono convinta che Gesù non voleva
affatto essere ammazzato: e non solo non lo voleva perché, nel suo cuore d'artista
- come dirò in seguito - amava la vita per la bellezza della vita terrena, ma
non lo voleva anche perché proprio lui aveva negato la necessità del
sacrificio. E se negava la necessità del sacrificio animale, tanto più
aborriva il sacrificio umano. Non voleva essere ucciso, e mi sembra demenziale
pensare che lui si ritenesse vittima sacrificale necessaria alla salvezza degli
uomini. Le vittime sono una forma di ricatto per la salvezza degli altri, dell'integrità
del gruppo sociale, e io credo che Gesù avrebbe rifiutato un simile affronto
alla dignità e all'unicità di ogni essere umano. E tuttavia il Potere ha
immediatamente rifondato il sistema sacrificale, e tutta la storia dei primi
secoli del Cristianesimo è imperniata su quel sacrificio umano che sono i
martiri. I martiri sono appunto le vittime necessarie per la fondazione della
struttura gerarchica, la struttura delle chiese. La Messa cattolica, poi, è un
sacrificio continuamente rinnovato. Credo che molti si siano allontanati dalla
pratica religiosa perché l'idea di mangiare l'ostia come carne della vittima
sacrificale ripugna alla sensibilità moderna. Eppure la Chiesa Cattolica ha
sempre rivendicato la concretezza del sacrificio eucaristico, che per essa non
è soltanto simbolico, contrariamente a quanto sostengono molte confessioni
protestanti. Cosa rimaneva allora del nucleo centrale dell'Ebraismo nella
visione di Gesù? Quasi niente, per quanto riguarda il rapporto con Dio. Ma Gesù
ha liberato il concetto di tempo dall'impasse del tempo sacrale ciclico, del
ripetersi dell'avvenimento delle origini, e ha dato vita al divenire, al tempo
storico che è il nostro valore, quello della Civiltà occidentale. Nell'Ebraismo,
infatti, contrariamente alle altre culture, c'era una strana concezione del
tempo, derivata dal fatto che il popolo ebraico ha rivendicato su se stesso la
colpa originaria della morte nel mondo. Nessuna cultura ha mai creduto che la
morte sia "naturale". Ancor oggi, anche nel Cattolicesimo, nell'ultima edizione
del Catechismo, si afferma che Dio non ha creato la morte. Per spiegarne la
presenza, quindi, si è sempre stati costretti a ricorrere al pensiero che si
tratti di una disgrazia, di una fatalità, o di un "tiro mancino" di qualche
essere superiore dalla natura ambigua. Gli Ebrei invece hanno affermato: "Siamo
stati noi la causa della morte nel mondo: noi abbiamo disobbedito a Dio e a
causa nostra è arrivata questa punizione". La forza degli Ebrei è proprio
questa: sono un popolo che ha guardato la morte in faccia, e ha detto: "Siamo
stati noi a introdurla in questo mondo". Ma questa "colpa originale", con il
suo corollario di una "responsabilità originale", ha avuto un profondo impatto
anche sulla concezione del tempo: contrariamente a tutti gli altri popoli, che
immaginano che, con la ciclicità dell'eterno ritorno, la morte venga superata -
come accade per la vegetazione, che si rinnova ogni primavera - nella
religione ebraica c'è una frattura con il mito d'origine, con la perfezione
originale. Non potendosi ormai più ripristinare quel mito, quella perfezione,
non potendosi più rimediare alla morte col rifarsi alle origini - ormai
infatti siamo stati esclusi dal Giardino dell'Eden e un cherubino con una spada
fiammeggiante ne custodisce l'ingresso - si crea davvero un tempo con una
freccia unidirezionale, che non torna più indietro. Si valorizza perciò non più
il passato - divenuto irraggiungibile - ma il futuro verso il quale è diretta
la nostra esistenza, come individui e come gruppo. Dal tempo scaturisce perciò
l'attesa: attesa del futuro come promessa di un recupero di un bene e di una
felicità perduta. Attesa che si concretizza storicamente nella speranza del
Messia. Gli Ebrei hanno creato e vissuto, e vivono, un tempo che non è propriamente né il passato né il futuro,
è l'attesa. E che tempo è l'attesa?
Prima di tutto: è davvero un tempo? In fondo no: se aspetto, sono proiettato sul
futuro, e mi disinteresso del presente che mi circonda, quasi lo salto. Pensiamo
a come ci si sente quando uno aspetta la persona amata che tarda
all'appuntamento.
Aspettare è un "tempo forte" e un "tempo debole" contemporaneamente. E' un tempo
forte perché si vive un po' sull'acceleratore, si focalizzano le forze in un
punto di tensione. Al tempo stesso, però, non si vive appieno il tempo che è di
volta in volta presente in ogni singolo istante, perché si sta aspettando un
bene che ancora propriamente non è. Comunque, il tempo dell'attesa è un'innovazione
concettuale e culturale propria solo agli Ebrei. Ma prescindiamo dalle
religioni: una cultura senza una concezione forte del tempo non può
sopravvivere. La concezione del tempo è talmente fondamentale per una civiltà
che, ad esempio, il tempo "in divenire" tipico della cultura occidentale è
stato il presupposto indispensabile per il sorgere della "scienza", uno dei
tratti forti e distintivi dell'Occidente rispetto al resto del mondo. La
scienza è per essenza "in continuo progresso". E' anche sotto l'aspetto della
concezione del tempo che sono assolutamente convinta che sia una grossa
turlupinatura affermare che noi Cristiani (e nella Civiltà Occidentali non si
può fare a meno di essere in qualche modo Cristiani) siamo uguali agli Ebrei e
ai Musulmani. Una turlupinatura ai danni prima di tutto di Gesù, perché Gesù
è proprio colui che ha rotto quell'unità iniziale! L'Islamismo ha una concezione
del tempo fondamentalmente diversa da quella occidentale, per certi aspetti
ancor più arcaica di quella dell'Antico Testamento: non ha neppure il concetto
di "attesa" perché afferma che Maometto è l'ultimo profeta. E l'attesa si
è dimostrata storicamente un concetto forte, forse perché se uno aspetta,
resiste, esiste. Gli Ebrei, depositari dell'attesa, esistono come gruppo. E' stato fatto di tutto per eliminarli, ma loro resistono. Perché l'attesa
è un
tempo praticamente indistruttibile: chi aspetta non è davvero presente, ma
sempre proteso nel futuro. In questo modo, chi aspetta è irraggiungibile dalle
armi del presente. Maometto, invece - uomo poco intelligente e che non aveva
nessuna creatività religiosa - ha preso l'Antico Testamento in tutta la sua
rozzezza. Lui non era capace di metafore; e non ha cambiato nulla della sostanza
rituale ebraica. E poi, avendo affermato di essere lui "l'ultimo dei profeti",
ha chiuso l'attesa. Nell'Islamismo, dunque, non si dà un Salvatore nella
storia, come nel Cristianesimo, ma non c'è neanche l'attesa degli Ebrei. Se
Maometto è l'ultimo, infatti, non c'è più niente da aspettare. Così sono
rimasti fermi. Sono lontanissimi dalla Cultura occidentale proprio per questo, e
ritengo che la confusione culturale per cui Cristiani e Musulmani sarebbero
"fratelli" non ci aiuti per nulla nelle decisioni politiche concrete.
E' per
questi motivi che ritengo che i Musulmani non potranno mai integrarsi con la
nostra cultura senza rinunciare a se stessi - cosa che tra l'altro credo
estremamente improbabile. Gesù invece ha chiuso con l'attesa, perché ha chiuso
con tutti i rituali: non c'è assolutamente nulla da fare per il futuro, se non
cominciare a viverlo in prima persona. E con ciò ha rotto le basi stesse della
società ebraica in cui viveva. E' chiaro che io ritengo che questa "chiusura
dell'attesa" non fosse - nel pensiero di Gesù - come dovuta al fatto che
fosse alfine arrivato il Salvatore, cioè lui stesso, Gesù Messia. Quella, io
credo, è la conclusione che hanno tratto i discepoli, probabilmente
fraintendendo il senso dell'annuncio di Cristo. Avranno pensato: se lui dice che
non c'è più niente da aspettare, significa che il Salvatore è arrivato, e sarà
lui stesso! Ma questo non era, a mio parere, il pensiero di Gesù. Gesù ha
tolto di mezzo tutte le strutture che avevano creato gli Ebrei, dicendo ai suoi
contemporanei: da adesso in poi viviamo; questa è la nostra Storia, questa è la
nostra realtà, amiamoci nel rispetto della libertà di ciascuno e della sua
dignità; quello che conta è quello che pensiamo, la verità che diciamo, quello
che facciamo. I discepoli hanno tradito il suo messaggio. Hanno subito ricreato
una struttura di potere, con gerarchie che si sono arrogate l'interpretazione
autentica delle sue parole. Hanno elaborato un rito simbolico, il battesimo. Ma
non era quello che voleva Gesù, perché Gesù aveva detto che nessun rituale
esteriore poteva togliere le colpe che nascevano all'interno dell'uomo. Da
questo "tradimento" sono scaturiti - è vero - anche alcuni fondamenti della
nostra cultura occidentale. Ad esempio, hanno trasferito tutto il messaggio di
Gesù dal concreto al simbolico. E questo è il passaggio fondante nell'elaborazione
di ogni Cultura. Sono certa che la Storia dell'Europa cristiana è stata la
storia della massima estrinsecazione della scienza, dell'arte, della musica,
della bellezza, proprio grazie a quel passaggio al simbolico. Però in tal modo
i discepoli di Gesù hanno anche ricreato la sacralità del Potere, e questo è
ciò che io non posso perdonare loro. Sorge qui un nuovo problema: è veramente
possibile organizzare una società, e quindi anche un Potere, senza renderlo
sacro? E con sacro non si intende solo ciò che rientra nella sfera del "religioso":
come abbiamo visto, il Sacro può anche circondare e rendere tabù un concetto
apparentemente laico e politico come "democrazia", ed ecco allora che l'effetto
necessario è che non posso più parlar male della Democrazia, cioè in sostanza
smetto di trattarla come un concetto "umano", perché non posso più indagarlo
con gli strumenti della "critica". A questo punto non si può eludere un'ulteriore
domanda che io mi sono posta spesso. Che è la seguente: come sarà mai venuto
in mente a Gesù una serie così drastica di tagli col passato e col suo "presente", tagli che gli sono costati tanto cari? E mi sono data anche delle
risposte. Ad esempio: che Gesù era un grandissimo poeta, un genio, un artista
che amava la bellezza. Pensiamo alla luce dei suoi paragoni: i gigli del campo,
gli uccelli del cielo, la dura roccia che rende infecondi i campi così
faticosamente coltivati col sudore umano. Lui guardava la natura attorno a sé
con l'occhio dell'esteta che vede la bellezza nelle cose. Io credo che, amando
la bellezza, si possa arrivare in fondo alla verità delle cose con molta
semplicità, senza tanti passaggi. Gesù non era un logico che costruiva le sue
strutture mentali con faticose connessioni, passo dopo passo. Ad esempio, quando
voleva trasmettere alla folla qualche concetto, Lui, prima e semplicemente,
compiva dei gesti. Solo in seguito, e spesso solo in privato, li spiegava. E la
bellezza che lui coglieva nelle cose escludeva le forme ripetute. L'Arte non può
mai essere ripetizione; il rituale è invece ripetizione e come tale è morto,
mentre l'arte è cosa sempre viva. Un'altra risposta, collegata alla precedente,
è che la bellezza non può mentire, non può essere ipocrita - e lui infatti
condanna l'ipocrisia. Ma forse non perché quelli che aveva intorno fossero
realmente ipocriti, nel senso che pensiamo noi: erano forse solo persone che
ripetevano le preghiere senza saperne neanche il senso. Ma "ripetere uccide" e
questo è anche il senso profondo dell'insegnamento di Gesù: la lettera uccide,
è lo spirito quello che anima. Ma non vi pare che ci sia l'artista in tutto
questo? Io credo che lui sia arrivato prima di tutto attraverso l'emozione della
bellezza a capire cosa fosse falso e ingiusto intorno a lui. Duemila anni di
Storia forse erano indispensabili per capire il messaggio di quest'uomo
eccezionale. Chi è credente lo farà da credente, chi non è credente può
comprenderlo aggrappandosi al sentire di un uomo che ha amato la libertà, che
ha rifondato il concetto di libertà e di dignità dell'uomo.
Ida Magli
Babilonia, Ottobre 2002
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