di Ida Magli
Il Giornale | Martedì
27 Agosto 2002 |
Succede sempre
più spesso che ci troviamo a piangere sulla sorte di qualche donna
musulmana condannata a morte; ma, tanto più forte il nostro sconcerto e
il nostro dolore, tanto più questo significa che non ci rendiamo conto di
quale sia la realtà del mondo quando è diverso dal nostro. E il più
diverso è proprio quello musulmano. Proviamo a fare lo sforzo di
accantonare per un momento i sentimenti, le emozioni, e soprattutto l’illusione,
purtroppo alimentata negli ultimi anni dalla gerarchia cattolica, che il
monoteismo ci accomuni e ci renda simili. Non è così per un motivo
evidentissimo: Gesù di Nazaret è stato condannato a morte per aver rotto
proprio quelle leggi dell’Antico Testamento sulle quali si regge il
Corano. L’episodio dell’adultera che veniva condotta al luogo della
lapidazione e che tutti conosciamo attraverso il Vangelo, è
identico a tutte le lapidazioni che nel mondo islamico si compiono da
1.500 anni sempre allo stesso modo. Si compiono per fedeltà alle norme
dell’Antico Testamento, una fedeltà della quale i musulmani si vantano
in confronto a noi che le abbiamo tradite. Dunque è inutile fingere, per
ogni singolo caso di cui veniamo a conoscenza, che si tratti di episodi
orribili di crimini contro i quali noi ci dobbiamo battere: non c’è
Paese islamico nel quale la legge coranica non venga messa in atto, ivi
inclusi quelli dei quali si parla di meno perché sono retti da governi
forti che non permettono disordini, come per esempio la Libia.
La verità è che l’Occidente, malgrado innumerevoli
errori, conflitti, sopraffazioni, ha messo in atto il divenire della
storia proprio perché, all’inizio, è stato Gesù a rompere la Legge,
ossia a compiere il gesto più difficile per qualsiasi gruppo umano:
cambiare il "sacro". Da lì è iniziata la diversità religiosa
dell’Occidente, una diversità che ha potuto esprimersi soltanto fuori
dalla mentalità orientale, in popoli già adusi al diritto civile e al
concetto di «persona», quello romano, e che hanno continuato a
camminare. «Camminare», ossia muoversi verso il futuro, non stare fermi
nel rispetto del passato.
Oggi, perciò, abbiamo l’obbligo di guardare in
faccia la realtà, la realtà delle «diversità». Non possiamo e non
dobbiamo pretendere, anche se ne siamo convinti, che il nostro sistema di
valori sia il migliore e che pertanto tutti lo debbano adottare. Allo
stesso modo non dobbiamo sperare che con la comprensione, con la
tolleranza, con la bontà, oppure con la supremazia della ricchezza o
della forza, si possa indurre i popoli musulmani a rinunciare alle loro
leggi. Muoversi per salvare qualche singola persona è utile e giusto,
anche se va fatto con prudenza dato che spesso anche le informazioni che
ci giungono non sono esatte. Ma il problema vero siamo noi, il
nostro oggi, il nostro immediato domani. Partendo, prima di tutto, da una
conoscenza e da una riflessione reale, non inquinata da falsi buonismi,
sulle condizioni di molti Paesi musulmani. È soprattutto l’Africa che
è povera? Ebbene l’Africa è diventata povera, a mano a mano che
è stata conquistata dagli arabi islamici e arabizzata anche fisicamente
con l’uso della poligamia e della massima prolificità tipico dei
musulmani. Prima dell’islamizzazione l’Africa era ben organizzata
anche con grandi Stati; Il nord è stato per secoli il granaio di Roma, il
centro e il sud erano ricchi di produzioni alimentari ingegnose e adatte
al territorio, ricchi di produzioni utensili e artistiche. L’islamizzazione
e l’arabizzazione hanno a poco a poco eliminato la civiltà africana in
tutti i campi, ma soprattutto, come è ovvio, in quello agricolo dato il
disprezzo che gli arabi hanno sempre avuto nei confronti dell'agricoltura.
Siccome, però (come noi ben sappiamo per aver quasi annientato le
civiltà indoamericane) i popoli che perdono la propria cultura
originaria, non riescono ad assumerne un’altra in forma efficace, quasi
tutta l’Africa, tranne popoli forti psicologicamente quali per esempio i
Berberi, i Masai e pochi altri, sono caduti in una inerzia dalla quale
escono soltanto per improvvise e feroci lotte tribali. Oppure scappano. E
vengono da noi. Il problema, perciò, è questo. Noi non possiamo e non
dobbiamo accoglierne più neanche uno, se vogliamo sopravvivere come Italiani
e come cristiani (anche prescindendo dalla fede praticata, si tratta di
quella culturale). Forse è già troppo tardi, dato che stanno mettendo in
atto la loro solita strategia: popolare l'Italia, prima ancora di
islamizzarla. visto che sono soprattutto i cattolici a tradire la propria
fede, tocca a noi semplicemente «Italiani», dire basta.
Ida Magli