"Poveri umani. E poveri anche i diritti"

di Alessandra Nucci
Tempi, 17 Maggio 2001

Gli Stati Uniti sono stati cacciati dalla Commissione delle Nazioni Unite per i diritti umani, di cui invece sono entrati a far parte paesi come il Sudan, in cui lo schiavismo è parte integrante della politica di governo. Questa notizia è stata inizialmente del tutto sottovalutata dalla stampa italiana, poi, quando a questa umiliazione se n'è aggiunta un'altra per gli americani, quella dell'esclusione dalla Commissione per il controllo del traffico internazionale della droga, la vicenda ha avuto maggiore attenzione, ma solo per sottolineare le "colpe" del governo di George W. Bush.

Nel fervore del rinnovato anti-americanismo, è passata quindi del tutto sotto silenzio la nuova composizione della Commissione per i diritti umani dell'Onu. Nello stesso giorno in cui gli Usa ne venivano esclusi, infatti, entravano in Commissione il Sudan e la Sierra Leone, che vanno ad aggiungersi a stati membri come la Cina, la Lybia, l'Algeria, Cuba e il Vietnam, che in passato sono stati condannati e censurati da questa stessa Commissione e spesso per iniziativa proprio degli Stati Uniti, che oggi sono riusciti a togliersi dai piedi.

Sul New York Times il celebre editorialista William Safire ha attribuito senza mezzi termini l'esclusione degli Stati Uniti alla Cina comunista e a Cuba, "con la connivenza dei francesi intenti a ingraziarsi i dittatori africani ed arabi". E, se si va oltre gli slogan dell'anti-americanismo conformista e si guarda alle vicende concrete della Commissione, non si fa fatica a credergli. Ne emerge una visione d'insieme che rivela qual è la strada vera che ha imboccato il mondo, che è tutto il contrario di quella della supremazia americana deplorata dai media.

L'anno scorso, in Commissione, Cuba fu denunciata per la repressione dei dissidenti politici e dei gruppi religiosi con una mozione avanzata dalla Repubblica Ceca e dalla Polonia, ma che la delegazione cubana attribuì pubblicamente agli Stati Uniti. In ritorsione, alla prima occasione Cuba arrestò due attivisti cechi i quali, liberati un mese dopo, rivelarono che con la loro detenzione Castro aveva voluto lanciare un monito agli Stati Uniti. Così, l'estromissione degli Usa dalla Commissione che aveva condannato Castro costituisce un trionfo diretto del dittatore, del resto tenuto in tale stima da certa parte della comunità internazionale da essere stato candidato in marzo da un politico norvegese per il Premio Nobel per la Pace!

Ma la vera potenza mondiale che contrasta con successo gli Stati Uniti e gli contende in maniera reale la guida del pianeta è la Cina, che nell'ultimo decennio, cioè dai fatti di Piazza Tienanmen, è riuscita costantemente a sconfiggere i tentativi americani di far censurare il suo totale disprezzo per lo spirito e la lettera di ogni codice dei diritti umani. Dove sta la forza della Cina? Sta nei profitti lucrati dai paesi che ottengono l'accesso al gigantesco mercato cinese, che paradossalmente riesce ad operare con i prestiti dello stesso occidente, America compresa. E sta nell'ideologia sessantottina, che se ha dovuto cancellare come "esperimento fallito" l'esperienza dell'Unione Sovietica, non ha mai chiaramente rinnegato la mitizzazione della Cina.

Montagne di articoli vengono dedicati a ogni singolo condannato a morte in America, paese in cui il diritto al giusto processo, con giuria popolare, è uno dei capisaldi della costituzione stessa. Ma di quello che succede in altri paesi si parla in maniera impersonale, con cifre all'ingrosso e a sentenza eseguita, come nel caso della Cina, la cui recente campagna contro la criminalità ha portato ad almeno 480 esecuzioni dallo scorso 11 aprile. Se si giudicasse con un unico metro, allora l'esecrazione generale che si diffonde per la condanna di uno solo negli Stati Uniti dovrebbe diventare in proporzione una protesta infinita e assordante per le repressioni e le violenze della Cina. Ma alzi la mano che ne ha sentito parlare in maniera men che vaga e sostanzialmente assolutoria, per il bisogno di "passare oltre".

Quanto all'Unione europea, è fortemente indiziata di aver votato contro gli Usa perché erano quattro i paesi in lizza per i tre posti in Commissione assegnati ai paesi occidentali e i voti sono confluiti sugli altri tre, Francia, Svezia e Austria. Cosa può aver indotto dei paesi dell'UE a preferire agli Stati Uniti perfino L'Austria, che l'anno scorso avevano sanzionato e isolato per aver eletto un governo col partito di Haider? Cosette come il contratto di vendita di Airbus francesi alla Cina per 2,5 miliardi di dollari, ad esempio. Sul fronte economico infatti l'Unione è da anni in dura competizione con gli Usa, una battaglia combattuta a colpi di contratti per "scambi preferenziali" stipulati dall'Unione europea con paesi di tutto il mondo per cercare di scalzarvi gli Stati Uniti. Pronta sempre a profferire parole di sostegno e fedeltà all'alleato atlantico, nella pratica però l'Europa dimostra sempre di più che la sua indipendenza avrà il volto della sommatoria degli anti-americanismi dei vari stati membri. Basti dire ad esempio che è in fase di concreta attuazione il progetto per una forza militare europea distinta dalla Nato. E che cos'è una forza militare europea se non la Nato senza gli Stati Uniti?

In palio inoltre può esserci anche l'appoggio per entrare nel Consiglio di Sicurezza, meta cui mirava l'Italia dell'Ulivo soltanto un anno fa e che gli Stati Uniti, che non si abbassano a negoziare alleanze e voti di scambio ma continuano a confidare negli accordi sui principi, col loro unico voto non possono assicurare.

L'assurdo di una Commissione per i diritti umani che annovera fra gli onorati soci delle dittature sanguinarie permette dunque di richiamare l'attenzione sui veri motivi dell'anti-americanismo oggi dilagante. I temi dati in pasto al pubblico infatti sono le presunte colpe degli Stati Uniti riguardo all'ambiente, il disarmo e la giustizia sociale, questioni che rimbalzano da un giornale all'altro quasi esclusivamente nei termini voluti dalla sinistra. In realtà quello che avviene nel mondo segue invece delle linee che ormai trascendono i confini nazionali. E che non contrappongono capitalismo a comunismo ma, come nel modello cinese, capitalismo coniugato a comunismo da una parte, e società libera dall'altra. Come spiega l'ex prigioniero politico cinese Harry Wu, alle aziende occidentali conviene che in Cina rimanga al potere il Partito comunista, meglio se rafforzato, "perché così non devono preoccuparsi di fare delle concessioni ai lavoratori o di dover affrontare degli scioperi." Wu lancia un appello che chiarisce il connubio odierno fra capitalismo e comunismo: "La comunità internazionale deve dire chiaramente alla Cina che vuole una Cina pacifica, prosperosa, libera e democratica, non una Cina prosperosa e stabilmente comunista". Ma, come prova la vicenda della Commissione diritti umani la comunità internazionale pare voler mandare il messaggio esattamente contrario.

La linea di demarcazione per i dissidenti e i popoli oppressi in tutto il mondo è la libertà, parola cara agli americani ma non più molto in uso nell'Unione europea, dove da tempo i tre ideali "liberté, égalité, fraternité" si sono compendiati nel solo concetto di "giustizia sociale", cioè nell'egualitarismo socialistico imposto per legge. Non a caso l'Unione europea sulle censure alla Cina trascina i piedi, rifiutandosi ancora l'anno scorso di co-sponsorizzare la mozione di condanna promossa dagli Stati Uniti. Come ha spiegato tempo fa Massimo Cacciari in una conferenza a Bologna, l'Unione europea non deve "annettere" i paesi dell'Est europeo, il che sarebbe un comportamento "da imperialisti", ma "farsi arcipelago dell'Asia" e quindi guardare alla Cina, con la cui civiltà, a sentire Cacciari, l'Europa trova la sua vera affinità e vocazione.

 

© Tempi 17/5/01

Alessandra Nucci

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