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Il cristianesimo
ucciso dalla pace


di Ida Magli
30 Aprile 2001

Finalmente un grido di allarme sulla fine del cristianesimo in Italia! L'ha lanciato il vescovo di Como, Monsignor Alessandro Maggiolini, in una intervista al Corriere della Sera che anticipa i contenuti di un libro di prossima uscita dal titolo appunto "Fine della nostra cristianità". Un'affermazione che non può in nessun modo essere smentita dato che già da molto tempo il cristianesimo è entrato a far parte del bel paesaggio italiano, oggetto di conservazione fra i tanti del Ministero dei Beni culturali, privo di vita propria. Ci si potrebbe meravigliare, semmai, che una preoccupazione così grave non sia sentita dai 250 Vescovi e dai circa 54.000 sacerdoti italiani, e neanche dal Papa, che pure è il Vescovo di Roma e il Primate d'Italia e che, quando lancia i suoi messaggi d'esortazione alla cristianità non sembra particolarmente allarmato per la situazione italiana.

Invece è proprio qui, in questo tranquillo silenzio, uno dei sintomi, e al tempo stesso delle cause, della malattia mortale che sta uccidendo non soltanto il cristianesimo, ma la società, il popolo italiano. Un tranquillo silenzio dettato dalla volontà di conservare la "pace", di indurre, anzi, a ritenere la "pace", esaltandone la bellezza come il massimo piacere, il migliore dei sistemi sociali e politici, di cui godono gli italiani e possibilmente dovrebbero godere tutti gli uomini. Bisogna, dunque, intendersi sul concetto di pace. Il vescovo Maggiolini accenna alla "noia di una cristianità che se ne va dalla Chiesa senza sbattere la porta... che appare desiderosa di omologarsi alla cultura della nostra società affluente, nauseata e dimissoria, desiderosa di estenuarsi e di estinguersi...". Tutto giusto, tutto vero. Ma bisognerà pur chiedersi di chi siano le responsabilità maggiori di un tale stato di cose e se esso non abbia le sua radici proprio in quel concetto di "pace" che ha condotto la Chiesa Cattolica a un tragico ripensamento di se stessa. In altri termini si tratta dell'errore, troppo facile, per il quale si ritiene che si possa non farsi la guerra soltanto cercando "ciò che ci unisce piuttosto che ciò che ci divide"; slogan fatto proprio anche dai Capi politici, non soltanto in Italia ma in tutta l'Europa. Da qui l'ostinata volontà di attenuare il più possibile la frattura-differenza fra l'ebraismo e il cristianesimo, operazione cominciata in sordina dal Concilio Vaticano II, ma poi esplosa con l'opera totalitaria di Wojtyla tesa a includere anche l'islamismo nell'idea che ciò che ci unisce è il monoteismo, il padre Abramo. Wojtyla ha annullato così qualsiasi dinamica nelle religioni, con la stessa sicurezza con la quale ha ritenuto di poter annullare a suo piacimento la "storia", semplicemente chiedendo scusa, cosa di cui a ragione si lamenta Maggiolini.

Da questo falso concetto di pace discendono due gravissime conseguenze. La prima è la riduzione al minimo comun denominatore di qualsiasi fenomeno umano, una riduzione che elimina l'intelligenza, il pensiero, la ricerca, la critica, la differenza, il nuovo, il difficile, il "meglio", insieme allo sforzo, alla passione, al sacrificio per conquistarlo. L'altra inevitabile conseguenza, connessa alla prima, è la "noia" di cui parla il Vescovo, la tendenza al suicidio, all'estinzione. Il conflitto, la tensione, la volontà di agire, di raggiungere una meta e di affermarla come giusta e vera davanti a tutti, è la vita dell'uomo, quello che lo caratterizza e lo definisce come l'attività del pensiero (capire significa sempre andare al di là di un confine). Fare della "pace" uno stato di inerzia, di immobilità, di conservazione dell'uguale, porta all'entropia, impedisce la voglia di vivere, toglie la speranza di un futuro cambiamento, uccide il contrasto delle idee lasciando questa possibilità soltanto a coloro che governano, ben felici di questo comodo modo di gestire il potere. In Italia questo è successo sia nell'ambito politico che in quello religioso. Nessuno si azzarda a discutere, neanche i sacerdoti e i vescovi, consentendo a priori con quello che dice il Papa, cosa che ha comportato la cancellazione di una forte personalità e di una reale presenza dei sacerdoti, al di fuori della funzione "amministrativa" con incluse le buone parole.

Non è forse anche per questo motivo che il Vescovo Maggiolini appare così privo di speranza? Sarebbe indizio di vitalità l'esistenza di qualche movimento ereticale piuttosto che la "pace" dell'indifferenza. Ebbene, non tutto è perduto, purché si lasci agli italiani sia nella società politica che in quella religiosa una libertà "vera", non gestita attraverso i rappresentanti. E' la libertà propugnata per primo da Gesù di Nazareth quando ha consegnato ogni singolo uomo alla responsabilità di se stesso.

Ida Magli

 

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