CHI ERA IDA MAGLI?
   I RICORDI E I PENSIERI DI CHI L'HA CONOSCIUTA


Raffaello Volpe, docente




Dover ricordare Ida Magli all’indomani della sua scomparsa, un genio dell'antropologia, non solo di quella italiana, ci dà la misura dell’odio che i governanti le hanno sempre riservato. È riuscita a rivelare i legami fra sacro e potere e, cosa ancora più grave per il potere, lo ha spiegato e insegnato in una forma accessibile a tutti, il cruccio di una vita. Per questo l'hanno sempre attaccata dentro e fuori delle università italiane. L'Italia non ha avuto antropologi degni di superare i confini nazionali, tranne lei; pur citando l’ottimo Ernesto de Martino, tuttavia egli si fermò alle tradizioni popolari. Niente, insomma, avrebbe fatto pensare che l’antropologia mondiale avrebbe fatto passi decisivi grazie a lei. Degli stessi antropologi nel campo internazionale nessuno è paragonabile a lei, pur essendo stati "grandi" grazie alle ricerche nello studiare i neoprimitivi nel loro ambiente naturale, operazione faticosa e rischiosa. I saggi di Durkheim, Devereux, Benedict, Boas, Van der Leeuw, Hall, Morris e tanti altri, pur straordinari arrancano di fronte ai suoi libri. Contribuì enormemente a un approccio diacronico nello studio antropologico delle culture, di contro all’approccio sincronico degli storici, introducendo una nuova comprensione dei popoli, utile nel tracciarne la “direzione di senso”. Contribuì ad affermare l’idea che la storia dei popoli fosse comprensibile solo nella "lunga durata" del tempo e non per "eventi", visto che i significati simbolici e le personalità dei gruppi sono il loro vero focus esistenziale nei secoli. Ecco perché Ida Magli è stata un genio assoluto: ha fatta propria l’antropologia studiandola come nessun altro, e l’ha superata evidenziandone punti deboli, sviste, ingenuità, anzi, pardon, le "ovvietà" alle quali nessuno di noi sfugge e che hanno ingannato studiosi del calibro di Levi Strauss. È stata lei infatti a teorizzare l'"ovvietà culturale", quell'automatismo mentale che in ogni cultura porta a "guardare" il nostro quotidiano in maniera scontata. Superato il muro invisibile dei piccoli gesti quotidiani, Ida Magli aprì le porte alla loro comprensione più profonda.

Grazie all’analisi dello scienziato, è stata la prima ad aver posto il legame fondativo fra mani, encefalo e pene in relazione alla postura eretta. Le culture sono state fondate dai maschi, diceva sempre: in relazione al concetto di “potenza”, l'onnipresente valore simbolico del "pene" ne è la prova. Le società matriarcali non sono mai esistite, aggiunse, mandando Bachofen in soffitta: la qual cosa provocò gli strali e l'odio imperituro delle femministe. La sua duttilità in qualsiasi tipo di studi, dalla filosofia alla linguistica, dalla letteratura alla musica, la portarono a una sorta di "antropologia musicale". Intuì per prima il legame fra musica e antropologia, da qui la capacità di leggere qualsiasi cultura come un’opera musicale, quasi fosse un piano concerto da studiare. La Musica, espressione sonora potente dei sentimenti, rivelò d’ora innanzi la personalità dei popoli. Dimostrò che, nello “spiegare” la morte attraverso l’idea del "tempo", l'Uomo dà un senso alla vita, la “fonda”, rivelandoci anche il perché senza le religioni le culture muoiano. Ha difeso la scienza antropologica, ribadendo quanto fosse vitale il concetto tyloriano di “cultura”, che, in quanto a definizione di “insieme organicamente complesso e interrelato”, consente di studiare il tutto insieme dell'Uomo. Denunciò la banalizzazione strisciante del termine "cultura" da parte del potere, il quale - non accettando di essere “studiato” – ne ha fiaccato volutamente il senso con definizioni quali: "cultura dell'accoglienza", "della legalità", "della sicurezza". Troppo scomoda la parola "cultura" in un mondo votato alla distruzione dei popoli e alla globalizzazione plutocratica: Unione europea docet.

Ci ha detto così tanto sulle culture primitive, da includerci paradossalmente fra quelle che stanno per scomparire. Per prima applicò il metodo antropologico all’Occidente cristiano, scoprendo una cultura morente di fronte all’avanzare dell’Islam. Tentò di essere come quel medico che diagnostica la malattia del paziente cercando di curarla, solo che “curava” i popoli. A noi Italiani ha tentato disperatamente di evitarci la catastrofe, amandoci come pochi altri. Si, noi, quel popolo che siamo, che ha fondato l’Occidente a dispetto di tutti ma che meno di tutti sa d’essere stato il primo a creare il pensiero laico-scientifico. Per questo ammirò i romani e li difese dall'imperante disprezzo dell'ideologia di sinistra in scuole, università e salotti pseudointellettuali. Altro che baroni, altro che intellighenzia elitaria: il loro era ed è svilimento della nostra storia, patria, identità, intelligenza, della lingua che parliamo. Ci rivelò la sacralità potente della parola, e da qui ne scaturì la denuncia di soprusi e menzogne, anche nelle loro forme meno evidenti o apparentemente “laiche”. Governanti nostrani e Unione europea le hanno giurato vendetta per questo: la damnatio memoriae è stata emessa venti anni fa, quando previde in Contro l’Europa la sovietizzazione europeista e l’invasione islamica. Ciò che ha scritto nel suo Gesù non è separabile da ciò che ha scritto Contro l’Unione europea. Grazie alla complicità della Chiesa nel porre sullo stesso piano Vangelo e Antico Testamento, l’Unione europea vuole cancellare la forza dirompente delle parole di Gesù, così "vere", lontane dalle “parole inutili” delle preghiere rituali e da quelle "marxiste" dei governanti bruxsellesi.

Al contrario di Freud, Jung e altri “maestri”, "osservò" i propri "discepoli", così come studiò gli apostoli di Gesù. Dopo di lei sarà possibile solo studiare, fare ricerca, proseguire le strade che lei ha aperto, ma nessuno più potrà dichiararsi suo "discepolo" o di altri. Non ci saranno più "allievi" ma "persone", ognuna con la propria identità e responsabilità, persone più o meno capaci di usare la logica come un "maglio" da abbattere contro il muro dell'incomprensibile: la sua, che fu, adesso è la nostra personale lotta titanica del Pensiero umano contro la Morte. Per comprendere Ida Magli, cosa ardua, non potremo catalogare le sue poliedriche ricerche secondo i periodi della sua vita di studiosa. Ciò che ha scritto agli inizi non si può scindere da ciò che ha scritto negli ultimi anni, essendo il risultato dell’applicazione di un metodo tanto nuovo quanto efficace. Ciò che ha scritto sul popolo americano o russo non è mai stato scritto da nessuno. Nessun americano ha descritto così profondamente il proprio popolo, né alcun russo comprese così distintamente il popolo russo come lei in Dopo l'Occidente. Pagine commoventi, perché rivelano la sua capacità di essere empaticamente vicina ai popoli, così come agli uomini. Mi duole profondamente parlare di lei in questo momento, perché desidero serbare tante cose come un segreto, ma di uno devo parlarne, per far capire, nel piccolo dei rapporti umani, la sua enorme capacità di cogliere l'anima delle persone al pari di quella dei popoli. Le bastava porsi dal punto di vista del bambino, come guardandosi intorno per la prima volta e chiedersi: “perché?”, ma con ostinazione scientifica. È il “segreto” del suo ultimo libro, Figli dell'uomo - Duemila anni di mito dell'infanzia, indissolubilmente legato a uno dei suoi primi, Santa Teresa di Lisieux, figura alla quale era legatissima per via della sensibilità di Teresa, la stessa che fece sua e sublimò in quotidiana sofferenza personale. "Vedere" il mondo da piccola "figlia dell'Uomo" conducendo l'uso della logica fino a estreme conseguenze la fece soffrire: nessuno più di lei. Il suo ultimo lavoro è la summa delle sue sofferenze, monito agli adulti affinché non facciano violenza ai figli. Al telefono mi chiedeva sempre di mia moglie e mia figlia. Desiderava che parlassi di loro per consolarla.

Il suo acume e la sua durezza nell’indagare le forme del mondo non le impedirono di essere una persona dolcissima, coraggiosa, umana. Lo sanno le persone che l’hanno conosciuta, dai suoi primi studenti agli ultimi compagni di battaglia. La conobbi a Milano, a una riunione di ItalianiLiberi, associazione alla quale mi sarei legato negli anni successivi pur vivendo a Bari. Dopo il mio intervento su come la logica fosse "trattata" nelle scuole italiane - io insegno, lo so bene - a fine incontro si avvicinò e mi accarezzò. La sera in cui mangiammo la pizza tutti assieme fui l'unico ad assecondare la sua richiesta di offrire a tutti, cosa che non le fu permessa. Io la osservai e mi accorsi che era dispiaciuta. Ci scambiammo i numeri, la chiamai dopo due mesi. Mi dovetti fare coraggio per farlo. Temevo che una persona così straordinaria non avesse tempo per me. Mi sbagliavo. Mi chiese di darle del "tu”. Quando, cinque anni dopo, persi mio padre, mi spiegò che alla morte del “padre” non esiste parola consolatrice perché è una morte "ovvia", pur essendo la sua figura fondativa della famiglia, che a sua volta è modulo base per la sopravvivenza dei gruppi umani: e mi rammentò dell'episodio in quella pizzeria. In quel momento doloroso per me, mi spiegò il senso di quel mio unico “si” alla sua richiesta di offrire a tutti quella sera a Milano: che ci vuole più coraggio ad accettare l'amore degli altri che a voler amare, perché si corrono più rischi; che questo i cristiani non l'avevano mai capito. Mi confidò che quel mio "gesto" l'aveva commossa, che non lo aveva mai dimenticato e me ne sarebbe stata grata per sempre. Così è stato. Ecco, la sua esistenza è stata un "gesto" durato tutta una vita, anche prima che la conoscessi. Con questa semplicità, questa profondità.

Raffaello Volpe




 
 
 

 

 
 
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