STAMPA


Ricordando Ida Magli

di Paolo Quinto
l'Unità
| 27.02.2016


  Ho conosciuto Ida Magli quando preparavo una tesi sul tema della mentalità popolare nel medioevo. La Magli era allora docente di Antropologia Culturale all’Università la Sapienza di Roma. Avevo sentito molto parlare di lei: da chi la odiava ferocemente, gran parte del mondo accademico, e da altri che l’amavano alla follia, gli studenti. Mi trovai davanti a una signora già anziana, minuta, dallo sguardo pieno di curiosità, con un’ombra di malinconia. Mi raccontò che la sua prima passione era stata proprio la storia medioevale, mi parlò del suo primo libro, Gli uomini della penitenza. Mi ascoltò con attenzione, poi mi parlò del tema che le era più caro, della “donna” e del “femminile”, secondo lei era da questo vertice che si doveva partire per qualsiasi tipo di ricerca, perché la donna era “il simbolo”. “Studia il simbolo e capirai l’uomo”, mi disse. La donna è il simbolo sul quale si fonda il potere maschile, rappresenta la porta sacra che mette in comunicazione la vita con la morte, per questo è stato necessario reprimerla e privarla della sua concretezza materiale per confinarla nell’idealità del “di-là”. Da qui i suoi studi sulla Madonna e su Santa Teresa di Lisieux, simboli di trasfigurazione del femminile. Mi parlò del concetto dell’ovvio, ciò che all’apparenza conosciamo, senza saperne cogliere, però, il significato. Prese l’Islam come esempio: le donne islamiche portano il velo, questo è ovvio, tutti lo vedono e lo accettano, pochi si chiedono quale significato sia veicolato da quel potente (e ovvio) significante: strumento di repressione ed esaltazione del potere maschile. C’è poi l’ovvietà dei riti comuni, mi fece l’esempio battesimo, un rito di iniziazione che sancisce il passaggio dalla naturalità (della nascita) alla cultura,   attraverso l’appropriazione del naturale da parte del potere costituito. Mi raccomandò di leggere: Kroeber, Mauss, Tyler. Non amava invece Levi-Strauss, dal suo punto di vista un antropologo doveva essere controcorrente e Levi-Strauss non lo era stato, ben accetto dalla cultura egemone: occupandosi di matrimonio e parentele aveva dato “ragione” al potere maschile fondatore di una cultura basata sulla concezione della donna come bene di scambio. Così si definì lei stessa: scomoda. Con ciò si svelava l’ombra nei suoi occhi: era scomoda per il mondo accademico. Pochi anni dopo, caso raro nel mondo universitario, si dimise dall’insegnamento. “Scomoda” lo fu per tutta la vita. Negli ultimi anni cominciò una sua personale “crociata” contro l’Islam, ma anche contro l’Unione Europea. Ancora più scomoda; fu insultata, le fu detto: razzista, fascista, pazza. Pochi comprendevano che nelle sue critiche, volutamente eccessive e provocatorie, Ida Magli partiva da lontano, da dove aveva iniziato, dalla prospettiva di una storica, di una medievista. Ida vedeva e conosceva profondamente la storia di un’Europa che fu teatro di un feroce scontro tra due poteri, quello di Cesare e quello di Pietro. Vinse Cesare a differenza di quanto contemporaneamente accadeva in Islam e nacquero la laicità, l’Umanesimo, le rivoluzioni. Questo lungo percorso la Magli lo vedeva minacciato da poteri oligarchici interni e da forze oscurantiste esterne. Forse sbagliava, esagerava, forse no, in ogni caso pensava, si interrogava,  e l’esercizio del pensiero critico, mi disse l’ultima volte che la vidi, rende l’essere umano più libero, consapevole della fragilità delle strutture culturali che lo determinano, dal momento in cui un ominide scoprì la morte come fatto opposto alla vita e ne rimase sconvolto.

Paolo Quinto
 

 
 
 
 

 

 
 
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