Bioetica

Bollettino O.M.C. e O. O. Roma, Novembre n°10 2000

 

Persistere nella organo-terapia
mediante trapianti interumani
o passare
all’auto-cellulo-organo-terapia?

 

di Massimo Bondì

 

Nata come uno scoop di un chirurgo sudafricano allevato nella scuola cardiochirurgica di New York, la terapia dei Trapianti non aveva basi biologiche sufficientemente convalidate, ed ancora oggi a oltre trenta anni dal suo inizio, problemi come il rigetto e la pesante patologia del trapianto non sono stati risolti. Ogni terapia deve considerare i benefici che determina insieme ai rischi costituiti dalla compatibilità e dall’assorbimento, eliminazione e tossicità dei farmaci associati.

Nella terapia dei trapianti, oltre agli svantaggi costituiti dai farmaci anti-rigetto e dalla patologia del trapianto (immunodepressione, infezioni, neoplasie) si deve considerare la insolubile questione della incompatibilità immunologica, insita proprio nella errata impostazione biologica che sin dall’inizio aveva trascurato tale fondamentale principio.

E da ricordare inoltre il problema della cosiddetta morte cerebrale a cuore battente che consente il prelievo di organi vivi da soggetti dichiarati morti in base a discutibili e fluttuanti criteri climici.

Solo l’autopsia del cervello potrebbe chiarire la sua più o meno recuperabilità, ma è ovvio che la si può eseguire solo su cadaveri freddi. Last but not least la carenza di organi. In definitiva la terapia mediante trapianti di organi (allotrapianti) è antiscientifica, antietica, antisociale.

Antiscientifica. La cosiddetta morte cerebrale non è scientificamente dimostrabile (ne fanno fede le 503 autopsie riportate da G.E Molinari in The NINCDS Collaborative study of Brain Death, No. 24, Nation. Instit. of Heaith, 1980, pag. 1-32).

Antietica. Il prelievo di organi a cuore battente costituisce un vero intervento chirurgico in corpore vili, vivisezionista, non accettabile dal principio medico fondamentale: primum non nocere.

Antisociale. La terapia mediante trapianti non è come qualunque altra terapia "standardizzabile" e la carenza di organi la rende elitaria.

Quanto detto è noto e deve spingere la ricerca a rendere attuabile al più presto l’auto-cellulo-organo-terapia.

Un tempo ebbe un certo successo l’autoemoterapia, ma decadde poiché all’epoca non vi erano fondate basi biologiche. Nel 1956 sperimentando su sierose peritoneali umane, affermavo che stimoli cronici ripetuti potevano metaplasizzare e sdifferenziare alcuni elementi cellulari verso forme cellulari pluripotenti (Rendiconti Ist. Sup. Sanità, XIX, 1956).

L’auto-cellulo-organo-terapia, cioè il prelievo di cellule staminali pluripotenti, asessuate, dallo stesso soggetto, coltivarle mediante particolari e successivi passaggi in vitro, e costituire agglomerati cellulari specializzati e sufficienti a ricostruire, se pure parzialmente, l’organo, ci sembra sia la strada da seguire con coraggio ed entusiasmo, poiché basata su basi biologiche sere e promettenti. Per clonazione si intende una divisione cellulare asessuata, quindi della stessa costituzione genetica, mentre la parola embrione si riferisce solo all’incontro di due cellule di sesso diverso, quindi geneticamente diverse. Questo è un concetto fondamentale, che non si può contraffare. Ai Soloni di una etica disinformata proponiamo il seguente interrogativo:

E più etico prelevare milioni di cellule componenti un organo, da una persona in difficoltà di vita o di morte, per trapiantarle e aiutare a vivere un’altra persona sofferente, in lista d’attesa, oppure prelevare poche cellule asessuate dallo stesso soggetto da curare e moltiplicarle in maniera mirata in vitro, e poi reimpiantarle nel suo organo malato, settorialmente sezionato?

Uniquique suum, senza rigetto e patologie secondarie.

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