Istruzione
Occorre una rivoluzione della scuola
di Giordano Bruno Guerri
dal Giornale,
14 dicembre 2000
Finalmente c’è stato uno sciopero
degli insegnati, voluto da tutti i sindacati, contro le cervellotiche
e inutili riforme della scuola: uno sciopero contro il governo che ha
seguito di pochi giorni, forse non a caso, le dichiarazioni del
ministro De Mauro sull’analfabetismo di ritorno degli italiani,
ovvero la prova dell’ormai antico fallimento della nostra scuola. E’
un fallimento che conoscono bene quei genitori (quasi tutti) che
tentano di aiutare i figli a fare i compiti, delle medie o delle
superiori, senza riuscirci. E’ la dimostrazione più palese che è
proprio la scuola a creare ignoranza di ritorno, perché se un
genitore non ricorda quanto ha appreso a scuola per trasmetterlo al
figlio, vuol dire che gli è stato insegnato male, o che si è
trattato di un insegnamento inutile, da dimenticare senza problemi
nell’età adulta.
La scuola ha bisogno di una rivoluzione
alla quale si devono applicare le migliori menti del Paese. Non
pretendendo di essere fra queste, voglio proporre alcune idee nate da
un lavoro fatto tempo fa con Ida Magli.
Organizzazione del sapere.
Presso tutte le popolazioni arcaiche o primitive, la prima cosa che si
insegna ai nuovi, piccoli, membri del gruppo è il sistema di valori
di quella società, i costumi, le tradizioni, i riti, le tecniche. I
grandi insegnano loro come si fa per vivere e per morire, per
sposarsi, per rispettare i parenti e gli amici, per difendersi dai
nemici. Insomma tutto il patrimonio della cultura utile ad addestrare
il nuovo membro a vivere in quel gruppo. Questo tipo di insegnamento
serve davvero a rendere lo "scolaro" autonomo e in grado di
padroneggiare il suo mondo.
Nella nostra società, invece, ha
prevalso l’apprendimento senza perché: fin da piccolissimi ai
bambini si insegnano le cose (per esempio a usare il cucchiaio) senza
dire loro il perché. All'asilo il bambino impara cos’è un cerchio,
un quadrato, ma non gli si spiega che si tratta del modo con il quale
abbiamo definito la realtà, e a che cosa serva per imparare a vivere.
Alle elementari imparano a leggere, scrivere, far di conto e poi, se
vanno avanti, un po' di letteratura, un po' di geografia, un po' di
storia, un po' di matematica e così via. Chi si ferma alle medie ha
soltanto delle nozioni frammentarie, chi va alle medie superiori
approfondisce questo tipo di conoscenza in una direzione che in
realtà è il non-sapere. Per questo ci si dimentica quasi tutto
quello che si è imparato a scuola, perché ciò che ti dà la scuola,
non te lo dà mai in maniera funzionale: ti insegna a fare le
equazioni e non ti dice a che cosa servono. Non è vero che servono a
imparare a ragionare, servono per capire le leggi della fisica, quelle
per le quali apri il rubinetto e scorre l'acqua, quelle che reggono
tutto ciò che ci sta intorno: se non mi dici qual è il sistema, è
inutile che mi insegni le equazioni. Lo stesso discorso vale per tutto
quello che si studia. A scuola pretendono di darti praticamente tutto
- chimica, matematica, fisica - ma non è utile, non è abbastanza
pratico da poterlo utilizzare nella vita concreta, né abbastanza
teorico da poterne dominare i presupposti.
Sembra incredibile ma noi non
conosciamo quasi nulla delle cose che facciamo come ovvie: credo che
nessuno di noi, che non si occupi di questi campi, sappia come
funziona la corrente elettrica o un televisore. Anche la conoscenza
del nostro organismo è vaghissima. (A cosa serve la milza?) Conoscere
l'organismo significa capire cos'è la specie umana.
La scuola ti dà le cose che non
servono: l'Eneide, l'Iliade, quel po' di latino
insegnato in modo da non farti neanche capire cosa sia il latino, e
non parliamo del greco. Ti spiegano l’Aurora dalle rosee dita ma non
ti dicono, dandolo per scontato, perché i vincitori si
impossessassero delle donne dei vinti.
C’è da chiedersi se un simile
massacro dell'intelligenza non sia voluto. Il cervello è come tutti
gli altri organi: quando non viene attivato o è stimolato male,
funziona male. Quindi la scuola serve a paralizzare la capacità di
comprensione, non a svilupparla.
La scuola è autoritaria.
Hai la pausa per andare a fare la ricreazione, devi chiedere il
permesso per andare al bagno, non puoi uscire, devi entrare all'ora
precisa, non puoi parlare. E’ un carcere, dove consegni il tuo corpo
all’autorità. E’ autoritaria la gerarchia insegnante-allievo,
l'insegnante è un'autorità, non è per nulla pensato come funzionale
al discente. Infine la scuola italiana è autoritaria perché si fonda
sui precedenti, sul passato: non ha ancora preso atto che, da quando
è nato il metodo scientifico, il sapere è in divenire e non fissato
nel passato. La cosa principale perciò è insegnare all'allievo che
quello che lui ritiene giusto oggi, può darsi lo debba mettere in
discussione domani. Ognuno dovrebbe farlo, in ogni attività, ma
questo comporterebbe anche ridiscutere la posizione raggiunta: se so
ormai tutto della Divina Commedia e dei Promessi sposi
non li metterò mai in discussione come argomento di studio perché
devo salvare loro per risparmiare me.
L’autorità deve essere sostituita
con il rispetto. Il rispetto nasce dal sapere. L'istruttore di nuoto
ha un modo autoritario di dare i comandi, fischia, ordina seccamente
"fai questo", "fai quest'altro": nessuno di noi si
azzarderebbe a trattare un bambino in quel modo. Ma l'istruttore è
rispettatissimo, perché il bambino sa che solo obbedendo impara
davvero a stare a galla. Si fida e gli piace fidarsi, ma solo se è
sicuro delle competenze dell'altro. Se invece di un sapere-non sapere
arido - il bambino sa benissimo che è un non-sapere, perché non gli
è utile, non gli piace – si danno allo scolaro dei contenuti che
gli servono, che desidera, allora non c'è bisogno di gridare per
farsi obbedire.
Le tecnologie.
La scuola si deve servire dei mezzi tecnici di cui oggi disponiamo.
Probabilmente saranno i grandi editori internazionali a occuparsi
dell'organizzazione didattica. Il ripensamento globale del sapere
riguarda tutti i Paesi, per cui gli editori internazionali saranno
interessati a produrre lezioni in cd-rom già pronte nelle varie
lingue. Saranno chiamati i maggiori specialisti del mondo a insegnare
fisica, matematica, biologia ecc.: allora sì che saprai a cosa
servono le equazioni, anche se non le sai fare. Capirai anche - se le
equazioni ti appassionano - quale dovrà essere la tua strada.
L'insegnante che starà in aula,
allora, dovrà solo essere in grado di commentare quello che viene
proiettato. La solita lezione, perciò, non esisterà più: è assurdo
costringere ancora i ragazzini a sentire per ore una persona che parla
quando sono abituati a guardare la televisione, strumento di gran
lunga più efficace. Il mondo di molti ragazzi - attraverso i
computer, i cd-rom, Internet ecc. - è già molto più avanti della
scuola. Per cui un ragazzo che disponga degli strumenti idonei,
apprende di più, se vuole, a casa propria. Quando tutto ciò sarà a
disposizione di ogni tasca, per le nuove generazioni frequentare una
scuola come quella di oggi sarebbe un regresso.
Privato o pubblico?
Bisogna che tutto, o quasi, sia privato, tutta la scuola deve essere a
libero mercato. Certo, privatizzare la scuola significa consegnarla in
gran parte alle istituzioni cattoliche, ma bisogna accettare questa
sfida. Lo Stato dovrà garantire l'insegnamento dell'obbligo, che
però va ripensato con la proposta di varie scelte, perché già a
dieci, undici anni molti ragazzi non sopportano lo studio soltanto
teorico. Se lo Stato vuole stare sulla piazza a libero mercato, lo
farà. Come? Occorre pensarci, porsi il problema. Lo Stato dovrà
anche trovare un sistema per il quale possano studiare anche quelli
che non hanno i soldi, concedere prestiti, premi, borse di studio.
La selezione delle intelligenze.
E’ indispensabile, anche se a dirlo si viene accusati di classismo,
anzi di "razzismo". Si pensi piuttosto a quanto è ingiusto
costringere a studiare fino a tot anni anche chi non ha attitudini
sufficienti. Chi ha scarsa intelligenza soffre molto, a scuola, anche
perché, con un uso distorto del concetto di uguaglianza, si fa finta
che le differenze intellettuali non esistano. Il quoziente
intellettuale è un dato naturale, biologico, come essere alti o
bassi. Si può fare molto per permettergli di svilupparsi al meglio ma
è difficile aumentare il potenziale di partenza, almeno per ora. Si
pensi anche a quanto è ingiusto costringere le persone che hanno
maggiore potenziale intellettuale a non usarlo, visto che le classi
scolastiche procedono alla velocità dei meno capaci. Bisogna
ipotizzare una scuola nella quale non ci siano "anni"
prefissati, ognuno andrà avanti a seconda del suo apprendimento.
Si potrebbero differenziare molto le
scuole, già alle medie e poi, per chi vuole, anche alle superiori, in
modo da imparare a fare dei lavori concreti, uscire dalla scuola
pronti e capaci per determinati mestieri e professioni. Per molti
l'attività concreta delle mani, la percezione della materia da
trasformare, è molto più gratificante che non il lavoro riflessivo
del pensiero. Assecondare le diverse attitudini degli individui è una
delle forme migliori di rispetto per la libertà.
Insomma, bisogna scuotersi
dall'atmosfera di morte, di alienazione, di condanna, in cui sono
sprofondate le nostre scuole, e i ragazzi con loro. E bisogna mettere
gli studenti, di fronte al sapere, in modo critico. Il potere sa bene
che non gli conviene che i sudditi sappiano di poter pensare, di poter
capire, di poter e dover mettere in dubbio tutto quello che invece
viene loro inculcato come ovvio e immutabile.
Ma tutto ciò interessa al ministro De
Mauro?