Adolescenti: non il Diavolo ma la malattia mentale di Ida Magli, da "Il Giornale" del 27 Febbraio 2001 E' davvero impressionante constatare come gli inquirenti, ogni volta che si trovano di fronte a terribili delitti nei quali sono coinvolti adolescenti di sesso femminile, diano credito con facilità a ricostruzioni poco attendibili, accettando subito come validi motivazioni e comportamenti assurdi e abnormi. Mi riferisco (ma sono soltanto alcuni dei casi più recenti) agli omicidi di Novi Ligure, di Chiavenna, di Castelluccio dei Sauri. Vorrei richiamare l'attenzione proprio su questo punto: se non si trattasse di "ragazze", tutte ancora adolescenti, non si troverebbe "logico", e tanto più quindi mostruoso e oggetto di smodata curiosità da parte del pubblico, nessuno dei moventi di cui parlano le supposte assassine. Si ha l'impressione di un atteggiamento particolare degli inquirenti (seguito abbastanza passivamente dai mezzi d'informazione), dettato da antichi stereotipi, quelli con i quali venivano condotti i processi medioevali di stregoneria a carico di "ragazze", possedute dal demonio, che udivano "voci" o avevano "sogni" o visioni che le spingevano a compiere efferati delitti contro i parenti e i compagni di giochi. Nel medioevo è stato necessario che prendesse la parola un illustre giurista quale Giovanni Weyer per indurre i medici ad uscire dalla "magia" e dalla "stregoneria" e cominciare a diagnosticare la malattia mentale di queste povere vittime, piuttosto che la loro "diabolica" ferocia (termine che è rispuntato purtroppo nei commenti televisivi ai delitti odierni). Nel delitto di Chiavenna, per esempio, in mancanza di una motivazione valida, si è accennato a credenze sataniche, e di fronte a comportamenti privi di una qualsiasi logica, ci si è attenuti a quello che hanno raccontato le presunte assassine come se la loro "confessione" fosse sufficiente. Lo stesso è più o meno avvenuto con l'uccisione dell'amica da parte delle ragazze di Castelluccio. Il padre ha detto loro "in sogno" che dovevano ucciderla e gli inquirenti hanno accettato questa motivazione. Qualsiasi psichiatra è sicuro di trovarsi davanti ad una psicosi quando idee del genere persistono fino ad attuarle. Lo stesso Freud ha sempre circoscritto alle nevrosi il campo d'indagine e di cura della psicoanalisi, laddove odio, amore, invidia, gelosia possono ancora essere assunti a consapevolezza, negando questa possibilità alle psicosi. La nostra epoca ha deciso, invece, che le malattie mentali non esistono e, per tener fede a questo assunto, preferisce trovare una logica ai più terribili delitti, attribuendo ad adolescenti passioni tanto forti e distruttive quali neanche Shakespeare sarebbe mai stato capace di descrivere. Col risultato che i processi odierni appaiono tanto assurdi quanto quelli medioevali. Di che cosa hanno bisogno gli inquirenti per sospettare una psicosi? Non sanno che le schizofrenie giovanili provocano spesso violentissimi impulsi distruttivi proprio verso i più stretti congiunti (genitori, fratelli) e ancora più spesso verso se stessi? I frequenti suicidi di ragazzi, ma soprattutto di ragazze, non suscitano l'interesse che suscitano gli omicidi, ma rappresentano appunto l'atto distruttivo finale di una schizofrenia. Anche qui, però, si preferisce negare l'esistenza della follia, trovando più "logico" impiccarsi o gettarsi dalla finestra per un cattivo voto a scuola, per una sgridata della mamma. Per questo, dunque, per il fatto che vengono ritenute valide le motivazioni fornite da personalità fragili, in balia di spezzoni cinematografici, di banali frammenti televisivi, concatenati in una pseudorazionalità emotiva, le ricostruzioni e gli interrogatori appaiono soltanto formalmente rispettosi della minore età legale, privi della reale comprensione dovuta a persone immature e che dichiarano esse stesse la loro immaturità richiamandosi ai "sogni", alle "voci", alle "fatture diaboliche", al "dominio psicologico" di altri. A questo punto bisogna dire che vanno messe in dubbio anche le confessioni. Nel caso di Novi Ligure come pure in quello di Chiavenna, molti lati oscuri persistono. Come mai Erica non era coperta di sangue quando è scesa in strada per chiedere aiuto? Se si era lavata e cambiata di abiti, come mai la polizia ha seguito per due giorni la traccia di persone venute da fuori senza vedere asciugamani e abiti intrisi di sangue nella casa? E il ragazzo come ha fatto a cambiarsi? Lo stesso discorso vale per Chiavenna, dove la ricostruzione degli avvenimenti è credibile soltanto per le menti malate delle supposte assassine. Come hanno fatto a indurre la suora a seguirle di notte in una strada che non portava da nessuna parte? Chi c'era ad aspettarle? Domande senza risposta. Infine: interrogatori che si prolungano per l'intera giornata, sopralluoghi sui luoghi dei delitti allo scopo di ottenere la "confessione", hanno sostituito le antiche torture, inflitte per il medesimo motivo: fiaccare la volontà dell'accusato. Sono indegni della nostra civiltà nei confronti di chiunque. Ma cosa dirne nei confronti di coloro che la legge stessa riconosce come più deboli proprio perché "minori"?
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