EDITORIALI
Il conto degli sbarchi
lo pagheranno le donne
di Ida Magli
Il Giornale | 13.08.2014
La
grande maggioranza di coloro che arrivano in terra italiana, con il
passaporto o con gli scafisti, sono di religione islamica. Purtroppo
gli italiani, a causa della particolarissima storia politica che hanno
alle spalle, si sono abituati, quasi come per reazione genetica, a non
sapere nulla delle religioni con le quali hanno sempre avuto a che
fare. Conoscono pochissimo perfino il cattolicesimo. Se si chiede a un
italiano la formula del Credo o chi sia lo Spirito Santo, si può essere
certi che non sa rispondere. Tranne quelli molto devoti (in genere
donne) oppure appartenenti a qualche associazione cattolica e di
conseguenza consapevoli dell’importanza politica della propria
religione, l’italiano medio di religioni sa soltanto quello che gli
giunge attraverso il contesto giornalistico quotidiano, il che
significa che “tecnicamente” non sa nulla. Si tratta di una
“resistenza”, inconsapevole ma profonda, instauratasi a difesa sia di
ogni singolo italiano sia del popolo italiano, dotato di
un’intelligenza critica sovrabbondante in confronto all’attitudine
“mitica” o al misticismo simbolico che connotano tanti popoli anche in
Europa.
È questo il vero motivo per il quale gli italiani non sono capaci di
valutare l’incidenza nella nostra società della religione di cui sono
portatori gli immigrati, la forza del loro essere “credenti”, il peso
dei comportamenti imposti dal Corano in ogni ambito della vita, ma
soprattutto nel rapporto fra uomo e donna. Questo rapporto lo possiamo
analizzare partendo da un dato fondamentale: la donna è di un grado
inferiore all’uomo. Nella sùra
delle donne, capitolo del Corano espressamente dedicato alle norme
riguardanti le donne e il cui testo dovrebbe essere esposto ovunque nel
territorio italiano, Maometto afferma che gli uomini sono superiori
alle donne, se disobbediscono le debbono punire, metterle in letti
separati e batterle. La donna è impura e contaminante a causa dei
meccanismi fisiologici della sua sessualità (mestruazioni, gravidanza,
puerperio), il che significa che deve vivere a parte, insieme alle
altre donne e ai bambini, coperta dalla testa ai piedi per non essere
vista né toccata. Sono tutte regole risalenti al libro Levitico
dell’Antico Testamento e riprese da Maometto nel Corano, regole quindi
elaborate da pastori nomadi della Palestina di molti millenni avanti
Cristo, incompatibili con la società occidentale e che infatti hanno
subìto con il passare del tempo diversi “aggiustamenti”. Ma la norma
cui si attengono gli odierni Califfati e Stati islamici più osservanti
è rigidamente quella coranica.
Nei paesi europei di forte immigrazione come la Germania, la
Francia, l’Inghilterra (ma anche negli Stati Uniti) sono attivi già da
anni dei tribunali islamici che giudicano ed emettono sentenze secondo
il Corano soprattutto nell’ambito di questioni o “reati” familiari, e
questo è di per sé la prova dell’esistenza di uno Stato nello Stato,
della sua incapacità ad amministrare i cittadini con lo stesso
diritto. La nostra antichissima, nobile formula: “La legge è
uguale per tutti” non vale più. Ma questa è in definitiva la
testimonianza più sicura che la tanto osannata “integrazione” è
impossibile da realizzare. Impossibile per un motivo molto semplice che
i politici però si rifiutano di capire: le religioni sono creazione dei
singoli popoli, così come la lingua, il diritto, l’arte, la musica, la
scienza; ne rispecchiano la forma mentis, la visione del mondo, il
carattere, la personalità di base. Cosa avverrà nel prossimo futuro in
Italia con una forte presenza di musulmani se non si bloccherà
immediatamente l’immigrazione? Nessuno si illuda che dando loro
la cittadinanza italiana, come è stato proposto da alcuni
partiti, diventino italiani. Non è l’anagrafe a creare i popoli e
la loro cultura.
Da quanto abbiamo detto sullo statuto delle donne nell’islamismo
è facile comprendere come questo rappresenti uno dei pericoli maggiori
di disintegrazione per il tessuto della società italiana. Per quanto le
donne siano oggi in grande maggioranza ben consapevoli di se stesse,
dei propri diritti, della propria libertà, sono però in qualche modo
fragili, poeticamente alla ricerca di un amore “diverso”, vagheggiando
un maschio sessualmente e psicologicamente forte, capace di dominare,
tipo ormai rarissimo da trovare fra gli italiani. Le promesse di parità
non contano: una volta sposate con un musulmano le donne sperimentano
la forza della cultura islamica non soltanto nel marito ma in tutta la
sua famiglia e sono costrette ad una obbedienza che diventa anche più
grave con la nascita di figli. Ma possiamo intravedere pericoli ancora
più gravi per la tenuta della società nei messaggi che si sprigionano
nell’aria, dal punto di vista culturale, con una forte presenza di
donne velate, tabuizzate, spesso infibulate, che coltivano doveri,
ideali, mode, sentimenti, passioni, linguaggi in totale contrasto con i
nostri. L’aria culturale non la si può chiudere nelle moschee o nei
tribunali appositi: la respiriamo tutti. La “tolleranza” ne facilita la
circolazione ovunque e coloro che, nascosti dietro le torri di
Bruxelles, hanno ideato e sostengono l’immigrazione di massa come il
migliore strumento per distruggere l’Europa, lo sanno benissimo. È
sbagliato infatti credere che il fascino della libertà di cui godono le
donne italiane avrà necessariamente la meglio sulle “chiusure”
musulmane. È già successo nel passaggio dalla libertà delle donne
romane alla clausura di quelle cristiane. Anche allora furono le norme
tabuizzanti dell’Antico Testamento a vincere, malgrado il messaggio di
Gesù: “Le donne non osino prendere la parola nelle riunioni, portino la
testa coperta”.
Ida Magli
Roma, 11 agosto 2014
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