eDITORIALE
Il giro delle finzioni
di Ida Magli Italianiliberi | 17.12.2013
Tutti
i politici di uno Stato che pretende di far parte della società
democratica dell’Occidente avrebbero dovuto dimettersi immediatamente
all’annuncio dell’incostituzionalità della legge in base alla
quale erano stati eletti. Il capo del governo a sua volta, subito dopo
le dimissioni, avrebbe dovuto dichiarare che sarebbe rimasto in carica
per indire immediate elezioni e per gli affari urgenti. La finzione con
la quale invece gli organi istituzionali hanno deciso di ignorare la
delibera della Consulta continuando a fare decreti e progetti a lungo
termine ha dato il colpo di grazia ad uno Stato che viveva già da anni
al di fuori delle regole costituzionali assecondando le iniziative in
tal senso del Presidente della Repubblica. Per gli italiani questo ha
significato perdere ogni fiducia e ogni stima non soltanto verso i
rappresentanti, ma verso gli uomini che avrebbero dovuto incarnarli.
Qui non si tratta di ruberie, di favoritismi, di sprechi cui si è ormai
rassegnati: l’annuncio dell’incostituzionalità e quindi dell’invalidità
di tutto il meccanismo istituzionale su cui si regge la Repubblica è
stato una bomba che ha suscitato un senso di vero e proprio sgomento.
Tutti si sono chiesti come ciò sia potuto avvenire. Come sia stato
possibile malgrado gli innumerevoli controlli di costituzionalità che
ogni legge subisce passando attraverso le Commissioni addette a questa
verifica sia alla Camera che al Senato fino alla firma del Presidente
della Repubblica. Tutti si sono chiesti come mai non se ne siano
accorti i numerosi avvocati e magistrati presenti in Parlamento del
calibro di Violante, Di Pietro, Grasso i quali ovviamente la
Costituzione la conoscono a memoria; come mai non se ne sia accorto il
foltissimo gruppo di esperti che al Quirinale assiste il Capo dello
Stato in tutto quello che firma proprio perché è la sua firma che ne
garantisce la costituzionalità. Tutte persone retribuite dagli italiani
che hanno mancato al loro compito e che non hanno fatto neanche il
gesto di dimettersi.
Non ci si meravigli delle condizioni di asfissia politica,
sociale, economica in cui viviamo: qui si tratta di un Palazzo privo di
fondamenta, che fa parte di tutto un insieme privo di fondamenta e che
si regge sulla finzione. Anche l’Unione europea infatti è un palazzo
privo di fondamenta; un castello di carte, un “bluff”, come l’ha
definito con assoluta precisione il Prof. Lucio Caracciolo (cfr: Limes 2006) e la
crisi dell’euro ne è soltanto la conseguenza più visibile. È stato con
un’ enorme truffa verso gli italiani che sono stati firmati i trattati
di adesione all’Ue servendosi dell’articolo 11 della Costituzione.
Questi trattati sono invalidi sia perché l’articolo 11 è stato
formulato (su suggerimento del banchiere Luigi Einaudi) appositamente
per poter scippare i cittadini dell’indipendenza e della sovranità
monetaria senza chiedere il loro parere, sia perché la rinuncia alla
sovranità e all’indipendenza non è questione di normale politica
estera: uno Stato vi si piega soltanto se costretto dal vincitore di
una tragica guerra. Tutte le istituzioni dell’Ue sono finte, o meglio
sono truffaldine. Non essendo uno Stato, l’Ue non ha il potere per dare
la “cittadinanza”: la tanto vantata cittadinanza europea è quindi
invalida, un orpello, un vetro di bigiotteria. Né si creda che i
politici non sappiano che lo Stato europeo non esiste: per questo la
Bce è una banca privata, non dipende dall’Ue. Lo stesso discorso vale
per il “parlamento europeo”: il nome è una finzione; non è un
parlamento perché non fa le leggi e non fa le leggi perché l’Ue non è
uno Stato. Bisogna quindi dichiarare invalidi tutti i trattati europei
e rifiutarsi di votare per un falso parlamento, non permettendo, come i
politici hanno furbescamente intenzione di fare, che queste elezioni
vengano indette insieme alle elezioni nazionali. Si vada al voto
subito: questa è l’unica cosa che può forse rimettere in piedi uno
Stato che possa ancora definirsi uno Stato.
Ida Magli Roma, 16 dicembre 2013
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