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È
uscita in questi giorni una nuova edizione del libro “Gesù di Nazaret –
La storia che nessuno conosce”, di Ida Magli. Ne presentiamo per i
nostri lettori una recensione curata da Rosaria Impenna.
di Rosaria Impenna
ItalianiLiberi | 12.08.2013
Il
saggio di Ida Magli “Gesù di Nazaret” è un testo che Rizzoli, dalla sua
prima uscita nel 1982, non ha mai smesso di ristampare, cosa di per sé
già abbastanza eccezionale e che permette di configurarlo in qualche
modo come un “classico”. Il peso più rilevante e innovativo del lavoro
di Magli è quello di aver indagato, attraverso l’uso metodologico
dell’antropologo sul campo, il “nostro” sistema di valori, il nostro
modello culturale. In tale approccio al sapere, Magli ha incluso per la
prima volta lo studio di un tratto fondamentale di ogni cultura: la
religione. Questo le ha permesso di compiere la prima indagine
antropologica sull’uomo “bianco” comprensiva dell’ambito religioso, un
metodo che le ha consentito una ricostruzione della figura di Gesù tra
le più dirompenti e avvincenti che siano mai state compiute. Perché
essa ruota attorno ai complessi rapporti che tengono strettamente unite
le categorie del “Sacro”. Categorie imprescindibili per addentrarsi
nell’opera della studiosa, in grado di fornire chiarezza a cruciali
snodi tematici, che arricchiscono la sua particolare indagine
antropologica, qui più che altrove, di una speciale “poetica”.
Insieme a Ida Magli, cercando di capire che cosa ha fatto
realmente Gesù di Nazaret, scopriamo le ragioni per cui sono passati
molti anni dalla prima edizione di questo libro, ma le sue tesi di
fondo appaiono oggi perfino più convincenti di quando sono state
formulate. In un quadro d’insieme chiarissimo, afferriamo i motivi che
ci restituiscono la figura di un uomo tra le più fraintese e tradite
nella storia, in quanto la sua opera non è stata capita nel suo aspetto
“eversivo”. Cosa intendiamo? Gesù, ad esempio, stacca il fico
dall’albero nel giorno di Sabato, gesto che comporta la condanna a
morte. Ma se gli ebrei che lo guardavano allora, lo sapevano e ne
rimanevano atterriti e ammirati, noi ovviamente no, visto che nessuno
ce l’ha mai spiegato. Ecco, il valore di questo libro risiede qui,
riesce a spiegarci i complessi significati del “Sacro” che ci
permettono di considerare Gesù (al di fuori di qualsiasi dottrina
teologica che non fa parte del lavoro scientifico e che l’autrice
dichiara di non mettere in discussione in nessun modo) “un genio
assoluto” che ha applicato la sua immensa capacità critica là dove
nessuno ha mai provato a farlo, perché nella sua opera eversiva è
riuscito a smantellarne i mattoni di fondazione.
Il “Sacro” proviene dal “trascendente”, quel piano del divino
che trascende l’uomo e non gli consente di “controllarlo” del tutto. Da
qui, miriadi di conseguenze, riconducibili al fatto che è quasi
impossibile stabilire “norme sicure” perché si può sempre ipotizzare o
temere che Dio la pensi in altro modo. Le norme, i precetti diventano
quindi minuziosi fin nei più piccoli dettagli e possono realizzarsi
solo attraverso un’adesione ossessiva, per assicurarsi che qualcosa non
cada mai sotto lo sguardo “irritato” di Dio. La “strategia del sacro”
si rivela perciò, ansiosamente, nel rispetto del Sabato, del Tempio,
della Scrittura, dei riti di purificazione, della fuga di fronte a
tutto ciò che può essere “contaminante”. Tutte le religioni si fondano
su “strutture sacrali”, ma quelle che poggiano sul principio di una
vita “legalmente pura” nell’ambito del Sacro, sono ovviamente costrette
a moltiplicare norme e precetti, come nell’ebraismo. Religione che non
solo si identifica e forma un tutt’uno con la cultura, ma fonda il suo
destino, passato, presente e futuro, sul rapporto con Dio, in un legame
di indissolubile “fedeltà” ratificato dal “Patto”, stabilito tra il
popolo d’Israele e il suo Dio. Ogni cittadino ebreo si muoveva (si
muove) perciò nell’ambito di una cultura profondamente religiosa,
normativa, tabuizzata, quindi “sacralizzata”, da cui era difficilissimo
“uscire” e tanto più, scagliarvisi contro. Analizzando i singoli
episodi che gli Evangelisti raccontano, Ida Magli passa al vaglio le
vicende di un uomo, storicamente esistito, “che noi ci siamo accordati
di chiamare Gesù”, in relazione al contesto con cui si è trovato a
interagire dato che non potremmo mai comprendere in astratto un
individuo, tanto meno la portata delle sue scelte, l’entità dei gesti
che compie e il significato dei cambiamenti che eventualmente produce,
se non collocandolo nel suo ambiente culturale. Questa prospettiva, tra
individuo e contesto, ci permette di cogliere l’opera del genio: un
“catalizzatore” della propria cultura, che riesce a cogliere nella sua
continuità, segmenti e temi che vi interagiscono, presentandone una
sintesi che li “oggettiva” e rivela a se stessi. Ma nessun genio,
sintetizza Magli in un’esemplare analisi dei rapporti tra personalità e
cultura, ha mai tentato di cambiare “totalmente” il modello culturale.
La differenza sostanziale che c’è fra un qualsiasi “genio” e Gesù di
Nazaret, è che quest’ultimo ha “rotto” totalmente il modello culturale
nel quale si trovava a vivere, colpendo e distruggendo, in una
stringente logica, i vari nessi che lo tenevano insieme. Grazie perciò
a questa sorta di stratigrafia che penetra la personalità di un
individuo in rapporto a un determinato tessuto culturale, il
particolare metodo antropologico della studiosa permette di capire il
significato autentico, innovativo, rivoluzionario, delle azioni
compiute da Gesù. Un personaggio che è riuscito a “superare” i limiti
della cultura in cui era immerso perché ha guardato con occhi nuovi
ogni gesto, ogni azione, anche la più apparentemente insignificante e
umile della società che lo circondava. Negando la necessità di certi
“rituali” e di certe “leggi”, Gesù ha distrutto le radici fondamentali
su cui si reggeva la cultura ebraica “portandola a compimento”, e
chiudendo pertanto il tempo dell’attesa.
Nelle pieghe di un rapporto, in gran parte fallimentare e
drammatico, tra la madre, del tutto assoggettata al ruolo subalterno
che la società giudaica le imponeva, e il figlio ribelle, intravediamo
già la volontà di “rompere” quel sistema assoluto fondato sul legame di
sangue, a favore di un rapporto per cui si è realmente figli laddove si
ama, e laddove si ama in modo individuato, personale, singolo, al di
fuori di qualsiasi struttura di parentela. “L’amore di Maria per il
figlio non doveva più passare attraverso la maternità, ma fondarsi
esclusivamente sul rapporto da persona a persona”. Questo
capovolgimento esegetico attribuisce un diverso valore alle parole:
“Ecco tuo figlio”, che Gesù rivolge alla madre, riferendosi a Giovanni,
e: “Ecco tua madre”, riferendosi a quest’ultimo. Gesù, intuisce
l’elemento cruciale: sradicare “quell’accerchiamento del sacro”,
implicito nella religione-cultura ebraica, le cui strettoie impediscono
all’individuo una qualsiasi “liberazione”. Da qui, l’urgenza di
“interrompere il circolo vizioso della legalistica, consapevole che
l’unico strumento valido, l’unica cosa da fare è compiere l’azione
illegittima, infrangere tutte le prescrizioni e i tabù da cui è
sorretta momento per momento la speranza degli ebrei di rendersi
accetti a Dio”. Gesù si costringe, infine, ad adoperare quella
particolare, “traumatizzante violenza che dà forza a chi, davanti a
tutti, nega la Legge, compiendo il gesto proibito; gesti, anzi, che
sono più che proibiti, perché la tabuizzazione è un sistema di norme
che affonda le sue radici nel numinoso e tremendo, nella paura del
contagio potente della trascendenza”.
Siamo convinti che in questi passaggi del libro, la
straordinaria abilità interpretativa di Ida Magli sia riuscita a
risolvere punti nevralgici che l’esegesi più accreditata ha per secoli
sottaciuto o addirittura frainteso. Come il liberissimo e immediato:
“Vieni e seguimi”, che rivolgendosi a “singole” persone, indica un
profondo allontanamento dalla mentalità ebraica che non sapeva pensare
e vivere se non in termini di “gruppo”, e che elimina, di fatto,
qualsiasi legame di iniziazione. Dato che nessun “rituale” è possibile
tra singoli, nel momento stesso in cui Gesù ha capito che la “salvezza”
consisteva in un libero rapporto d’amore io-tu con Dio, ha capito che
nessuna formula può sussistere, nessun rito può avere validità, né
efficacia. Viene perciò superato anche quello che sembrava agli ebrei
il loro massimo valore: l’essere un popolo prediletto da Dio, perché se
l’amore è sempre un fatto individuale e individualizzante, allora non
sarà soltanto l’uomo a dover amare ogni singolo uomo come persona, ma
anche Dio amerà ogni singolo uomo come persona, e non più un popolo. Se
nessun “rito” potrà più avere efficacia, è perché Gesù svuota di
qualsiasi capacità tutta la potenza liturgica dichiarando: “Se vuoi
pregare entra in te stesso”. La sinagoga, dunque, non serve più, così
come non servono più le formule e le innumerevoli prescrizioni
tabuistiche perché: “non è possibile calcolare con un tariffario le
intenzioni d’amore”! La legge della giustizia, tipica del popolo
ebraico, viene così superata d’un balzo laddove interviene qualcosa di
“interiore che non potrà mai essere valutato dall’esterno”. Si spezzano
in questo modo le categorie su cui si fondava il Sacro nell’ebraismo in
quanto vengono intese come “dipendenti” dalla volontà del singolo
individuo e non più esistenti di per sé! Un processo di
smottamento culturale dove cade ogni barriera e si rovesciano anche i
netti confini tra la responsabilità personale e quella di gruppo,
giungendo a eliminare il principio fondante del rapporto di ogni gruppo
umano con ciò che lo “trascende”, che lo “supera” e che perciò lo
intimorisce: il principio del “sacrificio”. Eliminandolo, Gesù elimina
ogni istituzione di potere.
Non c’è nodo tanto cruciale e in grado di restituire illuminanti
chiavi interpretative a ogni aspetto del sapere che qualcuno abbia
elaborato, analizzato, comparato, vagliato nella sua immensa portata
per capire i tratti delle singole culture, più di Ida Magli. È stata
lei a codificarne una volta per tutte il significato più profondo:
“Fino a quando rimarrà il meccanismo sostitutivo del sacrificio, fino a
quando si conterà sull’offerta della vittima sacrificale, significherà
che ogni singolo uomo può essere sacrificato come rappresentante di
tutti, e che si comunica sia con Dio che fra gli uomini attraverso la
morte. Questo significa che qualcuno – Dio o uomo che sia – vuole la
morte, ama la morte, accetta in dono la morte. Ma poiché sacrificare
significa uccidere, offrire la morte al creatore della morte, è proprio
questo assunto che Gesù vuole sovvertire, eliminando, attraverso il
dono della morte e l’uccisione della vittima, la lunga catena delle
uccisioni che va da quella degli animali, alla mutilazione del pene,
fino al simbolismo del pane nella Messa e dell’acqua nel battesimo.”
Il Gesù di Nazaret che emerge da questa inusitata ricostruzione è un
personaggio che dubitavamo fin qui di conoscere, perché evidentemente,
di un “genio assoluto”, solo un genio può restituirne fino in fondo i
tratti più nascosti. E fatichiamo enormemente a ritrovare in lui il
fondatore di una religione. Ida Magli ci ha mostrato, viceversa, un
uomo che era venuto a “chiudere” il tempo dell’attesa della salvezza,
tentando in ogni modo di “liberare l’uomo dal peso delle
costrizioni del Sacro, per restituirgli interamente la
responsabilità del proprio agire e delle conseguenze delle proprie
azioni e decisioni in questo mondo”. A conclusione di questo
straordinario itinerario non possiamo perciò che condividere l’amara
riflessione dell’autrice: “L’opera di Gesù non è stata capita nel suo
aspetto eversivo nei confronti dell’ebraismo, sin dai suoi primi
seguaci, e oggi si giunge a negare, pur senza ammetterlo, a svuotare di
senso il lancinante messaggio di rottura da lui gridato, come prova il
dialogo interreligioso che costituisce sopra ogni cosa il ritorno al
“sistema del Sacro”. Ma una volta uccisa la religione, rimane la
possibilità di ricominciare da Gesù, afferma Ida Magli, nel più lucido
titanismo leopardiano.
Rosaria Impenna
Roma, 12 agosto 2013
(In caso di riproduzione si prega di citare la fonte)
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