eDITORIALE
La solidarietà nella Ue
di Ida Magli il Giornale | 10.11.2012 La
notizia è abbastanza brutale. Germania, Olanda, Finlandia, Gran
Bretagna e Svezia non vogliono pagare la parte loro spettante
dell’esborso di 670 milioni di euro del fondo d’emergenza sulle
catastrofi naturali proposto nel bilancio rettificativo per il 2012
dalla Commissione europea per il terremoto in Emilia Romagna.
Naturalmente le autorità, compreso il rappresentante dell’Italia,
specificano che non è in questione il principio dell’aiuto, cosa ovvia,
ma di fatto sono i paesi più in regola con i conti quelli che non
vogliono aiutare l’Italia. La cosa “brutale” è che non la vogliono
aiutare neanche per una calamità come il terremoto, evento per il quale
di solito non c’è un popolo, a cominciare proprio dagli Italiani, che
non senta il bisogno e il desiderio di correre in aiuto in ogni modo
possibile. È indispensabile a questo punto fermarsi un momento a
riflettere sui rapporti psicologici e affettivi presenti fra i vari
paesi dell’Ue e che questo episodio mette in luce forse meglio che non
le numerose occasioni precedenti proprio perché un terremoto non è
colpa di nessuno e provoca in chi lo subisce un trauma, una perdita di
sicurezza e di speranza che va molto oltre all’effettiva perdita
materiale. Esistono infatti specifici studi dedicati all’antropologia
delle catastrofi, e quelli sui terremoti sono i più indicativi sotto
questo aspetto. L’imprevedibilità di una natura considerata fino a quel
momento massimo e indispensabile sostegno per la vita, il venir meno
del terreno sul quale si appoggiavano i piedi, la scomparsa dei punti
di riferimento quotidiani, dal paesaggio più lontano al tetto della
casa vicina e al campanile della chiesa che era lì prima che nascessimo
e che non ha mai mancato di presenziare alle tappe più commoventi della
vita del paese. Tutto insomma ciò che è denso di significato per l’uomo
può sparire, e sparisce in pochi secondi e ci dice con forza quanto
siamo deboli, malgrado il nostro lavorare, costruire, studiare,
pensare, cantare, pregare, amare. Non essere solidali con chi ha subìto
un terremoto significa che non si è fratelli, che non si appartiene
alla stessa umanità.
Come mai, dunque, tanta aridità, tanta durezza verso i
terremotati italiani? Da parte di paesi poi che sicuramente non sono
poveri e che rifiutano di contribuire a una cifra piccolissima in
rapporto ai bilanci Ue, bilanci cui pure l’Italia partecipa, comprese
le nuove orribili e mastodontiche torri che la Bce ha preteso per i
suoi uffici e che sono costate diversi miliardi. Ebbene i nostri
politici debbono prendere atto del fatto che l’unificazione europea è
un progetto fallito. Ma “fallito” è dire poco. Non soltanto ha
impoverito tutti i popoli esponendoli alla depressione economica e ai
rischi di una moneta priva di Stato e di conseguenza debolissima, ma ha
finito col suscitare nei popoli obbligati a una convivenza non voluta
sentimenti negativi che normalmente non avrebbero avuto. Sono tutti
paesi dell’Occidente europeo, talmente diversi per carattere, per stile
di vita, per lingua, per storia, per creatività letteraria e artistica
che è folle supporre che possano assimilarsi, o almeno che possano
essere obbligati a farlo senza sofferenza e rifiuto. Si sente ogni
tanto qualche voce ventilare l’idea che si sia formato in Europa un
qualche sentimento di ostilità verso la Germania. L’ostilità verso la
Germania, se esiste, è soltanto un epifenomeno. Si tratta di una
interpretazione superficiale del clima psicologico e dell’angoscia
inspiegabile nella quale i popoli più afflitti dalla pressione del
debito e dalla crisi economica sentono di essere sprofondati. I
politici hanno dimenticato che avevano assicurato con l’entrata nell’Ue
una specie di paradiso terrestre. Ciampi e Prodi facevano scorrere in
mirabili spettacoli televisivi cascate scintillanti della nuova moneta
davanti agli occhi degli italiani a promessa di straordinaria
ricchezza. Eppure non è, o non è soltanto la crisi economica di per
sé, a indurre l’angoscia della perdita. È la sicurezza che con
l’Ue non ci sarà futuro e che la crisi, le terribili statistiche dei
disoccupati, ne sono soltanto l’indice concreto mentre la tristezza che
ha impregnato l’aria appare indecifrabile e oscura perché piena di
sentimenti ostili non voluti, immeritati, ineluttabili.
Non risulta che qualcuno abbia protestato per la decisione presa
dalla Banca europea d’investimenti (Bei) e dalla Banca europea per la
ricostruzione e lo sviluppo (Bers) insieme alla Banca mondiale,
di fornire oltre 30 miliardi per un piano di investimenti nei Balcani e
nell’Europa centrale per rilanciare la crescita in diciassette paesi
della regione alle prese con l’impatto della crisi dell’Eurozona. L’Est
europeo non ha ancora sperimentato cosa significhi l’unificazione: è
debole, è povero, si aspetta di migliorare in tutto con la vicinanza
dell’occidente. Verrà, e verrà presto, il giorno in cui anche l’Est
europeo non amerà sentirsi dominato dalla Germania e forse allora sarà
più facile a tutti esprimere con chiarezza i propri sentimenti. Non è
infatti la Germania in sé che suscita sentimenti ostili nell’Ue ma il
suo essere, in quanto la prima della classe, chiamata a guidare e a
indurre gli altri sulla strada delle virtù. È uno fra i molteplici
motivi che hanno spinto i costruttori dell’unificazione a progettarla:
tenere legata la Germania costringendola a tenere tutti stretti nelle
sue corde. In un carcere, infatti, nessuno è più prigioniero del
carceriere. Ma un carcere è un carcere. Qualcuno sta già tentando di
aprire le porte.
Ida Magli
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