eDITORIALE

L'Italia non può vivere senza una scuola italiana

di Ida Magli
il Giornale | 13.09.2012

   Le affermazioni del ministro Profumo riguardo all’insegnamento della religione e della geografia nella scuola sono evidentemente errate. A giudicare da quanto dice, la sensibilità intellettuale del Ministro è lontana dal concetto di “cultura” e dal modo di concepire lo stile di vita di un popolo, la sua storia, la sua lingua, la sua arte, la sua religione, il suo spirito come un insieme interconnesso di significati e di valori, come un modello, una “forma” nel senso gestaltico del termine. Lontano, perciò, dalla rivoluzione che le scienze umane, dall’antropologia alla linguistica, dalla psicologia all’etnologia, alla sociologia fino alla nuova storia, ha provocato da due secoli a questa parte nello studio dell’Uomo e della sua vita in società. Questa rivoluzione è stata così profonda e illuminante da condurre tutti gli studiosi, anche quelli dediti alle scienze in apparenza più estranee quali per esempio la biologia e la genetica, ad inserire sempre il tema della “cultura” nei fattori che possono incidere su determinati fenomeni. Questa premessa va però associata ad un’altra premessa della quale sembrerebbe che il ministro Profumo non voglia tenere conto e che viceversa è indispensabile: la scuola italiana è la “scuola di stato italiana”, pagata dai contribuenti italiani, quali che siano le loro provenienze, per formare i cittadini “italiani”. Pagano le tasse, infatti, tutti coloro che hanno la cittadinanza italiana e che affermano pertanto di essere “italiani”. La “cittadinanza” è questo: l’appartenenza a un territorio, a una patria, a una cultura, a una lingua, a una storia, a un’etica, a un diritto, a una religione. Tanto più debbono sentire e debbono essere aiutati a sentire questa appartenenza coloro che non ne possiedono una lunga tradizione alle spalle. Dunque la scuola di stato mancherebbe al suo dovere e al suo scopo fondamentale se non formasse cittadini “italiani”. Questo significa che la lingua che si parla è quella italiana mentre qualsiasi altra lingua viene appresa come aggiuntiva, ma non è indispensabile a formare il cittadino italiano. È evidente che anche la storia non può non essere esposta partendo da ciò che ha preceduto e ha accompagnato la storia dell’Italia così come nelle scuole cinesi e in quelle indiane vengono ovviamente narrati i precedenti del formarsi dello stato cinese e di quello indiano. Prima di tutto quindi la storia della musica italiana, nelle sue interrelazioni con quella tedesca, francese, inglese; e così per l’architettura,  per la pittura, per qualsiasi altra arte, mentre sarà meno approfondito e particolareggiato lo studio delle arti delle altre civiltà. Per la geografia, poi, quanto dice il ministro Profumo appare almeno “strano” visto che per l’essere umano l’orientamento (e la geografia è prima di tutto orientamento) avviene sempre istintivamente partendo dalla propria posizione sul pianeta per cui è naturale oltre che utile ai cittadini italiani conoscere bene prima di tutto il proprio territorio, il clima, i monti, i fiumi, il popolamento animale, le coltivazioni dell’Italia per allargare poi la conoscenza agli altri Stati e agli altri Continenti.

  Ma quanto ho precisato all’inizio sul concetto di cultura serve soprattutto a chiarire la questione, di non facile comprensione oggi, del posto che occupano le religioni nell’insieme. Ogni religione costituisce un tratto fondamentale di una cultura e di conseguenza, per quanto riguarda l’Italia, il cristianesimo cattolico fa parte della sua storia politica e sociale, della sua filosofia, della sua etica, della sua arte. Il fatto che vi siano stati lungo il passare dei secoli così come oggi, credenti e non credenti, non cambia nulla a questa realtà e la scuola di stato non può ignorarlo. Per quanto riguarda invece l’insegnamento della religione cattolica in quanto tale, non sembra che si possa contestare la soluzione di lasciare la scelta di seguirlo se lo vogliono agli studenti stessi. In conclusione c’è una sola domanda da porre al ministro Profumo e ai nostri governanti in generale: volete che l’Italia rimanga una nazione, con la sua lingua, i suoi costumi, la sua storia, la sua civiltà, oppure che diventi un territorio geografico abitato da un insieme di persone con lingue, costumi, religioni diverse che ben presto cancelleranno perfino il ricordo dell’italianità?

Ida Magli
25 Settembre 2012 



 

 


 
 
 

 

 
 
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