eDITORIALE
Validità della parola
e democrazia di Ida Magli ItalianiLiberi | 03.09.2011
La
democrazia rappresentativa si regge su un solo principio: la validità
della parola dei cittadini. I politici diventano nostri
“rappresentanti”, esercitano il potere in nostro nome in quanto noi ve
li abbiamo delegati tramite la nostra parola. In un sistema di potere
democratico il patto fra governanti e cittadini si fonda esclusivamente
sulla fiducia reciproca della “parola”, ma la reciprocità di questo
patto non è simultanea: la parola dei governanti, la sua
fiducia-validità dipende dalla fiducia-validità della parola dei
cittadini.
Da lungo tempo i nostri politici hanno posto la scure alla base
dell’albero della democrazia, forzando, travalicando, esautorando la
“parola” iniziale che dà origine al loro potere: basterebbe a
comprovarlo il modo con il quale è stata realizzata l’unificazione
europea, quasi del tutto fuori dalla delega dei cittadini. Ieri, con la
disinvolta decisione di “mettere in rete” le dichiarazioni dei redditi
di tutti, è stato dato il colpo di grazia: il “patto” non esiste più
perché i governanti hanno dichiarato che la parola dei cittadini non è
valida, che la firma che essi appongono ai propri atti non ne
garantisce la veridicità. Sarà la “piazza” a farlo. Si tratta, insomma,
di una decisione talmente fuori da qualsiasi ordinamento civile
da far supporre (o almeno voglio sperarlo) che i governanti non si
siano resi conto delle sue implicazioni, delle sue conseguenze. Un
sistema politico, qualunque esso sia, anche non fondato sulla
democrazia rappresentativa, se si libera delle proprie funzioni di
regolamento e di controllo della legalità e della giustizia,
consegnandole alla “piazza” (internet è appunto questo: la “piazza”),
perde esso stesso ogni qualifica di civiltà, segnala l’approssimarsi di
quello stato che un tempo chiamavamo “barbarie”, ma che in realtà si è
più volte riprodotto nella nostra storia anche recente, nei momenti di
massima angoscia collettiva e di massimo degrado delle istituzioni:
quelli del “dopoguerra”.
Purtroppo
le cose stanno proprio così: stiamo vivendo un momento di massima
angoscia collettiva e di massimo degrado delle istituzioni, anche se
sono pochi coloro che sembrano essersene accorti e che, soprattutto, lo
denuncino. La stretta del “debito” ha coperto, o meglio è stata usata
per giustificare e per coprire sia l’angoscia inespressa dei popoli che
lo stravolgimento delle istituzioni. Con quest’ultimo gesto, però,
anche la copertura è venuta meno. Il pungolo spietato dei banchieri non
si nasconde più dietro ai politici, ma anzi si esibisce nella sua
qualità di unico potere effettivo, al di là, al di sopra, di qualsiasi
patto democratico. Non la parola dei cittadini, ma il denaro è il
valore posto alla base del loro sistema di potere. Cosa naturalissima,
ovviamente: sono loro ad amarlo sopra ogni altra cosa, loro a produrlo,
loro a regolarne la gestione, ed è evidente che si sono convinti di non
aver più bisogno di “coperture”: ai politici è stato lasciato
esclusivamente il compito di assicurare l’esecuzione della loro volontà.
La “prigione per i debitori”, vecchio strumento medioevale, percepito
già nei cosiddetti secoli bui come troppo incivile per poterlo
sopportare, è ritornato. Il limite fissato in base alla ricchezza non
ne cambia né il principio né il significato. Allora furono i
predicatori popolari, proprio in Italia, rimasti unici “rappresentanti”
del popolo e suoi difensori nel generale degrado del potere, a
denunciarne la barbarie e a creare i Monti di Pietà pur di non
consentirne la presenza. Oggi possiamo soltanto constatare che il
pericolo della barbarie è sempre dietro l’angolo e che, se non ci sarà
un soprassalto di dignità e di consapevolezza da parte di tutti,
dobbiamo prepararci a vivere un nuovo secolo buio.
Ida Magli
Roma, 3 settembre 2011
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