eDITORIALE


L’IGNORANZA E L'ITALIA PRIMA DEL RISORGIMENTO

Indebiti rimpianti

di Ida Magli
ItalianiLiberi | 24.02.2011



  Sono ben strani coloro che rimpiangono i tempi dell’Italia prima del Risorgimento. Pare che a un tratto si sia ritornati a fare la storia senza i popoli. Quella storia di re, di papi, di repubbliche, di monarchie, di battaglie che credevamo superata ormai per sempre perché priva della storia vera, quella degli uomini, delle donne, dei bambini, messa in luce dalle scienze sociali. Ebbene, voglio ricordare soltanto pochissimi fatti di storia vera, ai nostalgici dei Borboni o della Serenissima, dello Stato Pontificio o del Granducato di Toscana, tutti Stati uguali o simili nei confronti di certi aspetti della vita morale e di quella concreta.

 Fino alla prima metà del 1700, ossia fino a quando non hanno cominciato a diffondersi in Italia alcune ventate liberatorie della laicità illuministica, ogni trasgressione sessuale era punita con la pena di morte. A Venezia, come del resto in tutta Italia e in buona parte d’Europa (Francia, Inghilterra, Germania, Svizzera, Scandinavia) la sodomia comportava il rito inquisitorio con la tortura e il rogo, attutito (si fa per dire) dal 1500 con la decapitazione e il rogo del cadavere e dal 1600 sempre più spesso, soprattutto per i casi di minor impatto sociale come quello delle prostitute che si prestavano al rapporto anale, con la mutilazione del naso e l’esilio. Per tutti i condannati inoltre l’addebito della “ taglia” dovuta alle spie, a coloro che li avevano denunciati.  Nel reato di “sodomia” erano incluse, dal 400 d. C. in poi, tutte le devianze dal coito secondo natura (ossia procreativo) compresi i rapporti anali fra coniugi, e tutti gli atti sessuali al di fuori dal matrimonio. Se ho citato la civilissima Venezia, è soltanto perché sul “vizio nefando” nella repubblica veneziana esiste un’abbondante documentazione giuridica di facile accesso per gli studiosi, ma le leggi erano simili e se possibile anche più severe in Francia, in Germania, in Inghilterra.

 Si era meno poveri, come dicono i nostalgici, all’epoca del Papa Re e dei Borboni?  Credevo che fossimo ormai tutti d’accordo che non esista maggiore povertà della mancanza d’acqua e dell’analfabetismo, mentre proprio sotto questi due aspetti le condizioni preunitarie dell’Italia erano spaventose. Dalla caduta dell’Impero romano in poi nessuno si era più occupato del sistema idrico e tutti gli acquedotti erano andati in rovina. L’acqua era un lusso che i poveri non si potevano permettere, ma in realtà anche i ricchi non ne sentivano il bisogno. L’ignoranza imperava talmente che si era diffusa la convinzione che il bagno, strumento lussurioso, facesse male alla salute e le madri non lavavano i neonati lasciando che sulla loro testa si formasse un’enorme “crosta lattea”. Nella meravigliosa nuova reggia di Caserta non c’erano gabinetti, ma il Re non ne sentiva nessun disagio e, come narra lo storico Harold Acton, portava gli ospiti ad ammirare la sua collezione di dipinti sullo stesso pianerottolo dove tutti andavano a fare i propri bisogni. Le epidemie, tifo e colera, imperversavano soprattutto per la mancanza d’igiene.

 Per quanto riguarda l’analfabetismo, chi era che sapeva leggere? Soltanto i preti, gli avvocati, i mercanti. Tutti maschi, dunque. Sembra incredibile che i nostalgici del tempo andato abbiano dimenticato così facilmente quale fosse ovunque negli Stati italiani la condizione delle donne. Tranne la piccolissima minoranza delle nobili e ricche destinate a matrimoni importanti o al servizio del Coro nei monasteri, le donne erano tutte analfabete. Il destino tragico di milioni di donne condannate dai padri alla prigione monastica, l’unico vero “olocausto” perché il padre sacrificava la figlia a Dio depositandola appena nata sull’altare, nessuno vuole ricordarlo. “L’inferno monacale” di Arcangela, con il suo grido straziante, che pure viene dalla Serenissima del Seicento: “Non resta che perdere a chi ha perduto la libertà!” non può risuonare invano nell’Italia di oggi, quell’Italia dove io, come tutte le donne, posso pensare, studiare, scrivere; e affermare perciò che non è lecito a nessuno rimpiangere i luoghi e i tempi dell’oppressione delle donne.

Ida Magli
Roma, 22 febbraio 2011

 


 
 
 

 

 
 
www.italianiliberi.it  posta@italianiliberi.it