eDITORIALE
Donne e premi Nobel
di Ida Magli il Giornale | 08.10.2011
Già
da diversi anni i premi Nobel per la Pace hanno perso buona parte del
loro significato simbolico e del loro valore ideale a causa della
politicizzazione che ne guida l’assegnazione. Purtroppo non è rimasto
nulla, in Occidente, che non abbia questa valenza utilitaria: “Ci
serve? Quale profitto ne possiamo trarre?” Non un gesto, non una
parola, sfugge alla suprema legge economicistica che impera nel nostro
mondo. E, prima di tutto, nella “politica” che, essendo anch’essa
intessuta della legge del profitto, ha invaso ogni angolo, ogni pur
piccola parte del comportamento della società occidentale. Come avrebbe
potuto l’assegnazione dei premi Nobel sottrarsi ad una possibile
funzionalità politica? Quelli per la Pace, poi, invenzione abbastanza
grottesca di un Occidente che trova di continuo sottili, razionalissimi
motivi per muovere guerre a scopo di “pace”, si sono persino logorati
in questo gioco, ormai diventato troppo scoperto. Da questo punto di
vista non si può certo dimenticare l’assegnazione del premio per la
Pace ad un Obama che ancora non aveva avuto neanche il tempo di
accorgersi di essere diventato il Presidente della Nazione più armata
del mondo. E che, infatti, ha seguito in tutto e per tutto le abitudini
bellicose dei suoi predecessori.
Non poteva mancare, quindi, l’idea che, in epoca di smaccata
esaltazione delle donne, tanto più brave degli uomini, l’assegnazione
del premio a qualche donna di sicura occidentalizzazione, come sono
tutte e tre le premiate, fosse utile per cominciare a mettere i piedi
attraverso di loro in paesi nei quali fino ad oggi l’Occidente, per
motivi diversi ma non di poco conto, è stato assente. Vogliamo
dire con questo che non ci rallegriamo di questa scelta? Certamente no.
Però non si può fare a meno di notare una vera e propria stranezza:
come mai tre donne e un solo premio? Non si tratta di un premio ad una
équipe scientifica. E del resto nei premi collettivi non incide
l’uguaglianza del sesso. Non vorremmo neanche supporre che tutto
sommato tre donne ne valgano una. Si volevano premiare perché di sesso
femminile? La giornalista dello Yemen ha lavorato effettivamente per i
diritti delle donne. Ha cominciato togliendosi il velo in un paese dove
vige la più stretta osservanza islamica e dove quindi le donne si
trovano in condizione di assoluta inferiorità e sottomissione. Dunque è
stata premiata proprio perché donna. Ma non si può dire la stessa cosa
per le due premiate della Liberia, una delle quali è addirittura il
Presidente del suo paese. Diciamo che per ora non sappiamo fino a che
punto sia il caso di rallegrarsi. I risultati di questo interesse
dell’Occidente per un paese come la Liberia, per esempio, non si
potranno vedere se non fra qualche tempo. Un fatto è evidente: la
Liberia è stata lasciata per decine d’anni alla sua immensa miseria,
agli eccidi di una interminabile guerra intestina senza che l’Occidente
si muovesse, come è solito fare, per “portare con le sue armi la pace”.
Evidentemente l’esercito di bambini “drogati e fatti diventare macchine
da guerra”, secondo quanto ha spiegato in un documentario Leymah
Gbowee, non era sufficiente a spingere l’Occidente a sprecare neanche
uno dei suoi aerei o dei suoi contingenti “di pace”. Fatto sta che la
Liberia, più o meno come la Somalia, anch’essa devastata da anni e anni
di guerre tribali e di carestie, non possiede il tipo di
ricchezze che fanno gola all’Occidente e per le quali è disposto a
impiegare uomini e mezzi. Non è la Libia, insomma. Per lo Yemen
la questione è invece molto più complessa a causa della sua posizione
geopolitica e dello stretto islamismo imperante. L’Occidente, perciò, è
costretto a muoversi con estrema cautela e probabilmente conta su una
qualche ribellione delle donne al suo interno per cominciare a
incrinarne almeno il potere religioso. Se c’è l’intenzione di dare
maggiore forza, con il Premio, all’azione di Tawacol Karman di fronte
all’opinione pubblica yemenita, si tratta di un calcolo quasi
certamente errato. Ma soprattutto carico di pericoli per le donne
yemenite che vogliano ribellarsi. Il Corano è immensamente più forte di
loro.
Ida Magli
Roma, 7 Ottobre 2011
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