eDITORIALE


L'Africa e la democrazia

di Ida Magli
il Giornale | 01.03.2011



  L’Occidente è incerto su quali iniziative prendere nei confronti del terremoto che ha investito i paesi del Nord Africa. Un’incertezza giustificata dal fatto che, forse per la prima volta, non siamo sicuri che il nostro sistema di vita, i nostri valori, la nostra forma di organizzazione sociale e politica, insomma la “democrazia”, sia la ricetta adatta per risolvere tutti i mali. Nessuno si arrischia, naturalmente, a dirlo con parole chiare: da troppo tempo siamo abituati a considerare il governo democratico come l’unico degno di una società civile e ad affidare a questa convinzione ogni nostra azione anche all’estero. Ma l’Africa di oggi si presenta con caratteristiche che sappiamo di non poter affrontare con le sicurezze psicologiche e culturali del passato, mentre sembra tuttavia costringerci, proprio a causa del passato, a non abbandonarla ad un totale “fai da te”.

  I motivi per i quali non ci si può affidare ai poteri taumaturgici della democrazia sono abbastanza evidenti. L’itinerario che noi abbiamo percorso è stato molto lungo ed è impossibile far “saltare” ai popoli secoli di storia religiosa, culturale, sociale, politica. Non si tratta, infatti, di imparare ad usare uno  strumento, passare dal cammello all’automobile. E’ sufficiente riflettere al fatto che “democrazia” significa “uguaglianza”, consapevolezza che ogni individuo è “soggetto”, libero e padrone di sé stesso, per comprendere che questa pre-condizione della democrazia non esiste in quasi nessun paese africano. Il motivo è evidente. Nell’islamismo le donne non sono soggetto alla pari con gli uomini. Lo afferma il Corano laddove recita che “Gli uomini hanno su di esse un grado di superiorità” (II, 228). Ma è tutta la struttura sociale che rispecchia la preminenza degli uomini, la rigida divisione puro-impuro che colloca le donne nell’impurità e affida loro il lavoro della terra che a sua volta è “femmina” e quindi impura. Oltre a considerarsi esse stesse inferiori, le donne sono nella maggior parte di questi paesi, Egitto e Somalia soprattutto, condannate all’infibulazione, operazione che comporta, a parte tutte le malattie croniche dell’apparato urogenitale, gravi patologie psichiche, instabilità e depressione, che riducono di molto la loro capacità intellettuale, la coscienza di sé.

  Non sono tuttavia soltanto questi dati oggettivi a rendere molto incerta la speranza che si instaurino nel Nord Africa governi democratici. Dobbiamo tenere conto dello stato di scarsa aggressività, di disinteresse per la procreazione, di atteggiamento remissivo che hanno adottato i maschi europei (senza soffermarci qui ad analizzarne le cause), che ha reso e rende quanto mai agevole, contentandoli con qualche sciopero e qualche corteo,  governarli “democraticamente”. Cosa questa che ci fa forse giudicare in modo troppo positivo la democrazia, attribuendole meriti che probabilmente non possiede. Il fatto è che lo stato psicologico dei maschi europei non ha nessun riscontro con l’atteggiamento dei maschi africani. Dobbiamo stare attenti a non scambiare con forme di passività psicologica la loro inerzia nell’organizzarsi nel proprio paese per sottrarsi alla povertà, un’inerzia che pure appare assurda ai nostri occhi dato che vivono in luoghi ricchissimi che basterebbe sfruttare adeguatamente per sovvenire ad ogni bisogno. Fuggono dalla propria terra perché sono abbacinati dalla ricchezza, dallo spreco, dalla sfrenatezza dei piaceri che contraddistinguono la vicina Europa. Ma le passioni che li agitano sono fortissime; il musulmanesimo stesso è una passione. Bisognerà dunque riflettere molto prima di decidere se agire e in che modo agire.

Ida Magli
Roma, 28 febbraio 2011

 


 
 
 

 

 
 
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