eDITORIALE
Che triste l'occidente che tratta i vecchi come malati terminali
di Ida Magli Il Giornale | 14/04/2010
Altro
che “pace”! Sembra proprio che in Occidente l’umanità non sappia fare a
meno di avere a che fare sempre con la morte. Siamo riusciti a
liberarci dell’uccidere e del farci uccidere nelle guerre, dell’obbligo
della leva; siamo riusciti ad assumere soltanto volontari nelle forze
armate, ad eliminare con l’igiene e con i vaccini l’imperversare della
morte nelle epidemie, a curare e guarire la maggior parte delle più
gravi malattie, ma vogliamo che la morte, e il pensiero della morte,
stia sempre in mezzo a noi. Un tempo erano gli eremiti, gli asceti, i
monaci che, come San Gerolamo, tenevano sotto gli occhi la
raffigurazione di un teschio per costringersi a pensare sempre alla
morte. Si trattava di un gesto penitenziale, di una severa disciplina,
abbracciata da quei cristiani dei primi secoli che temevano di non
saper reprimere la forza del desiderio di vita, di piacere, di gioia
che accompagna per natura ogni essere umano. Pare, invece, che in
Olanda si stia preparando il “memento mori” non come spauracchio contro
i pericoli del piacere, ma come rassicurazione contro la vecchiaia:
dopo i 70 anni, se vuoi, puoi ammazzarti, e lo Stato ti aiuta a farlo. Sembra
davvero incredibile che uno Stato non del tutto fuori di senno possa
dare spazio con una legge, o meglio “creare” nella realtà, iscrivendolo
in una legge, uno stato d’animo di questo genere: “nella nostra società
tu, avendo compiuto settanta anni, rappresenti un morto, anche se vivi.
Noi non ti uccidiamo, ma se vuoi ti aiutiamo a ucciderti”. Di
conseguenza, spingere centinaia di migliaia di cittadini a sentirsi e a
riconoscersi inutili, fuori dalla comunità dei vivi, incoraggiandoli
alla disperazione e al suicidio. In Olanda è già in vigore la legge che
permette l’eutanasia al malato grave che ne esprima la volontà; la
proposta di permettere l’eutanasia a coloro che hanno compiuto i
settanta anni, equiparando in pratica tale età ad una malattia grave, è
purtroppo un’altra temibile prova della facilità con la quale gli
uomini si abituano, una volta superato un “confine”, a considerare
normali i comportamenti della propria cultura senza più percepirne i
significati. I costumi sociali si formano molto lentamente e
l’idea che sia la società (lo Stato) ad avere il diritto di fermare la
vita dell’individuo espellendolo dall’attività, viene da lontano. E’
implicita, infatti, nel concetto marxista del “lavoro” come unico scopo
di vita, e nell’obbligo dell’età della pensione, un obbligo che spesso
“uccide”, quando non fisicamente, psichicamente e moralmente. Invece di
prendere atto della rivoluzione che la nuova durata della vita ha
portato con sé, lasciando libera la persona di svolgere la propria
attività fin quando voglia e regolamentando in modo diverso tutto il
sistema pensionistico, gli Stati esitano a compiere i passi
indispensabili in questa direzione e addirittura l’Olanda sembra voler
prendere il posto di Dio o della Natura, fissandola a settanta anni. Si
dirà che c’è una raccolta popolare di firme a richiederlo, ma sappiamo
tutti molto bene che il “popolo” da sé non sa e non può fare nulla:
sono gli organizzatori veri quelli che contano, non quelli che
appaiono. Sicuramente saranno proprio questi organizzatori, se non lo
farà lo Stato olandese, a sottoporre la proposta di legge al Parlamento
europeo. In quel caso tutti i cittadini d’Europa ne diventerebbero
responsabili. L’idea che l’Europa sia ormai una civiltà in declino è
molto diffusa. Forse è giunto il momento di riflettere seriamente su
questa convinzione, cercando di guardare a noi stessi nel modo più
oggettivo possibile. La prima prova di questo declino, la più certa,
per quanto possa sembrare il contrario, è l’aver fissato gli indicatori
dello “sviluppo” nel campo di una economia ristretta al mercato, alle
merci, alle monete, un campo nel quale non rientra nessuna delle
qualità che hanno caratterizzato per secoli la civiltà europea e che
conduce a considerare “morti viventi” quelli che non producono. E’ un
PIL in termini di “pensiero” quello di cui abbiamo bisogno e che forse
siamo ancora in grado di recuperare.
Ida Magli 13 aprile 2010
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