eDITORIALE
CROCIFISSO E BURQA
Sorpresa, l'Europa riscopre se stessa
di Ida Magli Il Giornale | 03/03/2010
Può
darsi che si tratti soltanto di una casuale coincidenza. Sembra,
tuttavia, che si possa interpretare come un segnale, per quanto
piccolo, di una nuova tendenza, il fatto che mentre l’Europa ha dato
ragione all’Italia nella questione dell’esposizione del crocifisso nei
luoghi pubblici, i cittadini delle maggiori nazioni dell’UE abbiano
espresso parere contrario, in un apposito sondaggio, all’uso pubblico
del velo totale. Due fatti molto diversi, certamente, ma ambedue di
grande rilievo nella situazione attuale di difficile convivenza dei
cittadini con la maggioranza musulmana degli immigrati, proprio per
quanto riguarda l’atteggiamento di rispetto e di difesa dei propri
costumi e dei propri simboli religiosi; tanto più che fino ad oggi le
autorità politiche e in parte perfino quelle religiose hanno inculcato
la tolleranza verso gli stranieri molto più che il dovere della fedeltà
a se stessi. Quando
la madre di due studenti musulmani protestò per il crocifisso esposto
nella loro scuola, in quanto simbolo di una religione diversa, la
maggioranza degli italiani, sia fra le autorità che fra i singoli
cittadini, si rese conto che ci si trovava di fronte ad una questione
cruciale. Si trattava, infatti, di rinnegare tutta la storia
dell’Europa, la sua forma mentis dall’antichità romana fino ad oggi; la
sua particolare sensibilità a ciò che invece il Corano vieta:
l’immagine e la rappresentazione dell’immagine. Insomma, tanto per
intenderci, ogni fede religiosa è espressione di un popolo nel momento
stesso in cui sembra plasmarlo, ed è per questa differenza assoluta dei
popoli fra loro che esistono tante religioni diverse. Il Cristianesimo
si è sviluppato nel mondo romano, non in quello orientale dove pure
Gesù era nato, perché il precetto: “la vostra parola sia: sì, sì, no, no”
, trovava qui delle risonanze e delle analogie che in nessuna altra
parte del mondo avrebbe potuto trovare; e inoltre perché la bellezza
poetica di cui è intriso il vangelo non poteva essere assorbita e fatta
propria se non dal paese del Bello per eccellenza. Non è soltanto
perché si tratta di un simbolo religioso che i musulmani chiedono di
eliminare l’esposizione in pubblico del Crocifisso, ma soprattutto
perché è una “rappresentazione”. Il fatto che la richiesta dei
governanti italiani sia stata accolta testimonia dell’importanza della
posta in gioco: il valore umano del concetto stesso di
“rappresentazione”, e tutta la storia intellettuale, oltre che
religiosa, dell’Europa. La
coincidenza con il risultato del sondaggio sul burqa, come dicevamo
all’inizio, è in qualche modo significativa di un cambiamento di
tendenza. L’eccessivo aumento degli immigrati e la pressione,
psicologica oltre che fisica, della loro presenza nel nostro
territorio, senza dubbio deve aver contribuito a far cambiare opinione
a molti europei, disposti fino a poco tempo fa alla massima tolleranza
verso i costumi stranieri. La tolleranza è facile, naturalmente, quando
non ci si sente messi a rischio. Il livello di guardia è stato
raggiunto, invece, con un’accelerazione improvvisa , a causa dell’
allargamento dell’Unione Europea a tanti paesi quasi del tutto ignoti e
con i quali nessuno aveva mai pensato di dover convivere. La perdita di
un “orizzonte di confine” incute un senso di fragilità, di timore, di
vuoto, che nulla può ripagare. Un popolo è come un individuo: ha
bisogno di una casa, e di una porta chiusa sulla casa. Il sondaggio è
stato eseguito, infatti, proprio nelle nazioni di fondazione
dell’Europa, quelle che hanno visto sfumare il progetto iniziale, fermo
a cinque nazioni, con l’allargamento, e che adesso si trovano a subirne
più gravemente l’effetto “straniante”. C’è da aggiungere, poi,
l’ipersensibilità degli europei nei confronti della condizione
femminile, soprattutto quando questa, come nel caso del velo che
nasconde totalmente anche il viso, segnala una diversità, una
oppressione intollerabile. In Europa la libertà delle donne, di ogni
donna, non può essere messa in discussione. Si tratta di un diritto
raggiunto con estrema consapevolezza, e frutto di un grande sforzo
anche da parte dei maschi. Non è lecito chiedere a nessuno di noi di
non difendere le donne dall’oppressione. Ida Magli 2 marzo 2010
|
|