eDITORIALE
Il coltello e la prigione del sesso di Ida Magli il Giornale | 03/08/2010
E'
troppo doloroso e troppo difficile fermarsi col pensiero a immaginare
un ragazzo di sedici anni che porta con sé un coltello e lo infila
nell’addome di un ragazzo, o meglio un bambino, di tredici anni, per
riuscire ad andare oltre alla “scena”. Avrei voluto non doverla
commentare perché ho l’impressione che qualsiasi commento interferisca,
sminuendola, con una tragedia assoluta. Tragedia per l’età dei
protagonisti, per il mondo interiore che rivela, per la responsabilità
che tutti noi ne portiamo da quando abbiamo in pratica cancellato i
ruoli e i comportamenti, soprattutto quelli sessuali e amorosi,
connessi alle classi d’età. Non si sa più in questo campo chi sia
giovane e chi sia vecchio. O meglio nessuno, se vuole appartenere al
gruppo “vivente”, può non possedere il “titolo di merito”
indispensabile: un rapporto sessuo-amoroso di qualche genere. Così, non
appena metti il naso alle elementari, vero o non vero che sia, ti è
attribuito un “fidanzatino” o una “fidanzatina”. Gli adulti credono di
scherzare, ma per un bambino come per un ragazzo nulla è uno scherzo.
Tanto meno quello che riguarda l’essere, o il sentirsi, più grande,
partecipe per l’analogia che conta, quella sessuale, del mondo dei
grandi.
La sessualità, il ricorso alla sessualità come
unico discorso “sicuro”, essendo stato cancellato quasi del tutto dalla
vita pubblica qualsiasi altro interesse, è diventata la nostra
prigione, anche se di solito viene propagandata come la forma migliore
di libertà. E’ diventata una prigione perché è comunque legata appunto
all’età, alle capacità fisiche e psichiche, all’incontro con l’altro,
incontro sempre difficilissimo da gestire, ma in pratica impossibile
quando non si possiede ancora del tutto il controllo mentale delle
proprie parole e delle proprie azioni. Si potrebbe fare ricorso,
per trovare in qualche modo una spiegazione al tragico episodio di
Bronte, ai dati dell’ambiente che, essendo siciliano, offre un qualche
appiglio nel costume tradizionale in fatto di gelosia sessuale e di
violenza derivata dalla gelosia. C’è poi l’altro dato, anch’esso molto
negativo, di un padre finito in carcere. Fino a che punto hanno pesato
questi particolari sul comportamento dei ragazzi? Certamente è
difficile valutarlo ma, come ho già detto, non credo che siano questi i
fattori principali da prendere in considerazione. E’ ovvio che nessuno
debba portare in tasca un coltello, ma questa norma va discussa sia in
famiglia che a scuola, con gli insegnanti, in modo che ognuno sia in
grado di comprendere e di valutare, di là del divieto di legge, quale
sia il significato implicito di violenza del portare con sé un’arma,
anche senza volerla usare mai. Anche qui, però, vale il discorso
sull’età e sull’aggressività naturale dei maschi (sono i maschi che
portano il coltello!) durante l’adolescenza, un’aggressività che la
nostra società ha deciso di cancellare semplicemente negandola. Sarebbe
invece doveroso tenerne conto come uno dei tanti fattori per i quali
non si possono assumere comportamenti di responsabilità verso gli altri
quando non si è raggiunta l’età adeguata per la maturazione psicologica
e mentale necessaria.
Abolire il termine di “fidanzatina” e “fidanzatino” sarebbe in ogni caso già un passo avanti. Ida Magli Roma, 2/8/2010 © IL GIORNALE
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