Editoriale

Quella terra d'origine impossibile da sradicare

di Ida Magli
Il Giornale | 05/05/2010



  Shahzad Faisal, un pachistano di trenta anni, naturalizzato americano, sarebbe l’autore del fallito attentato di New York, ossia di un attentato contro la sua patria acquisita e che avrebbe dovuto scatenare il terrore uccidendo molti americani suoi compatrioti. Poche righe, in apparenza semplicissime, descrivono in realtà una situazione che, nella sua chiarezza, è però molto difficile da far accettare a coloro che guidano l’Occidente. “Naturalizzato americano”: è questo il punto. Politici e amministratori d’Occidente, convinti che sia necessario annullare il più possibile le differenze fra popoli e nazioni per ottenere alla fine un mondo uniforme in cui l’uguaglianza regni sovrana, si sono arrogati il diritto di affermare quali siano, o quali debbano essere, i sentimenti, gli affetti, le passioni, dei cittadini, prendendo il posto della natura e della storia. Hanno creduto perciò che fosse sufficiente, per creare un americano (ma allo stesso modo anche un italiano, un tedesco, un francese…) scriverlo sulla carta d’identità. Pericolosissimo, anzi tragico, errore dato che non c’è cosa più “naturale” (il che significa che nulla o quasi nulla può cambiarla) che l’amore per la terra, la nazione, la lingua, la cultura, la storia dalle quali si proviene e che sono condivise dai propri padri, dai propri fratelli.

  Diciamolo dunque con franchezza: per salvarci da Hitler ci stiamo facendo uccidere da Hitler. Sì, è così. Affermiamo che la natura non conta, che la nazione non conta, che la storia non conta, che il popolo non conta, che la lingua non conta, favorendo al massimo la mescolanza degli individui e dei gruppi appartenenti ai più diversi Stati e alle più diverse etnie e spingendo questa affermazione al di là di ogni ragionevolezza e di ogni concreta evidenza, per paura che si possa ricadere nelle teorie e nelle tragiche vicende hitleriane. E’ una strada sbagliata e, come sempre quando l’Umanità abbandona il metodo critico, il sistema logico che guida la ragione, e si affida a false certezze, stiamo creando ancora una volta i presupposti di terribili sofferenze e di inevitabili conflitti.

 A che serve negare l’esistenza dell’eredità genetica bio-culturale? Si tratta di un’affermazione priva d’intelligenza oltre che errata, perché non dà spazio ai sentimenti su cui si fondano i legami di gruppo e di conseguenza le società. Siamo esseri umani, insomma, non entità astratte che i potenti possano plasmare a volontà. La somiglianza dei caratteri fisici ci aiuta a comprenderci, a valutarci immediatamente, anche senza parlare, attraverso la mimica, lo sguardo, il sorriso, caratteristici di ogni singolo popolo, ed è soltanto se ci comprendiamo che possiamo amarci e desiderare di vivere insieme. Ma ci comprendiamo anche perché “sappiamo”, anche senza saperlo, quale sia il passato, la storia che ci accomuna. Esiste, infatti, una memoria culturale trasmessa geneticamente, quello che potremmo chiamare, prendendo a prestito la splendida definizione di Edelman, un “presente ricordato”. Le prove sono innumerevoli. Ma la prova inconfutabile e in un certo senso terribile e drammatica, è l’America.

 Una nazione formatasi fin dall’inizio esclusivamente con immigrati delle più diverse nazioni, con un territorio sconfinato a disposizione e fornito d’immense ricchezze, basata volutamente su di un solo emblema, quello della Libertà, di fatto non è riuscita a eliminare le differenze di razza, di carattere, di sensibilità, di costume, di religione, di classe, ed è alle prese con tutti i conflitti che queste differenze provocano. Il “pachistano, naturalizzato americano”, con tutte le sue colpe, ne è la prova.  

Ida Magli – 4 maggio 2010 - Roma


 
 
 
 
 

 

 
 
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