eDITORIALE
IMMIGRAZIONE
La lezione degli australiani
di Ida Magli Il Giornale | 22/02/2010
“Sono
stanco del fatto che questa nazione debba preoccuparsi di sapere se
offendiamo alcuni individui o la loro cultura. La nostra cultura si è
sviluppata attraverso lotte, vittorie, conquiste portate avanti da
milioni di uomini e donne che hanno ricercato la libertà… La maggior
parte degli Australiani crede in Dio. Non si tratta di obbligo di
cristianesimo… ma è un fatto. Se Dio vi offende, vi suggerisco allora
di prendere in considerazione un’altra parte del mondo. Questo è il
NOSTRO PAESE, la NOSTRA TERRA e il NOSTRO STILE DI VITA…se non fate
altro che prendervela con il nostro stile di vita…allora vi incoraggio
fortemente ad approfittare di un’altra grande libertà australiana: IL
DIRITTO AD ANDARVENE.”
Chi
è che parla così agli immigrati musulmani? Il peggiore dei “razzisti”,
degli “xenofobi”, degli “integralisti”? Sarebbero, queste, infatti, le
etichette pronte per chiunque avesse pronunciato un tale discorso in
Italia, dove è stato definito “xenofobo” il 45% degli Italiani per aver
affermato, in una apposita rilevazione statistica, di non gradire la
presenza degli stranieri. E’ il signor John Howard, invece, ex Capo del
Governo australiano, che ama il suo paese, che non tradisce la propria
patria e i propri concittadini, e che non esita a dire alcune
indiscutibili verità. L’Australia è un paese grandissimo, un intero
Continente, con una superficie di 7.682.300 km quadrati, con una
densità di poco più di 2 abitanti per km quadrato (il meno popolato del
mondo), con una storia molto breve alle spalle visto che la
colonizzazione europea è iniziata alla fine del 1700. Malgrado questo
immenso spazio, gli aborigeni, stimati all’inizio in circa 300.000
individui, si sono ridotti a poco più di quarantamila e stanno per
estinguersi. E’ stato guardandoli che John Howard ha visto, come in uno
specchio, il prossimo futuro dei bianchi, e ha deciso che non si deve
più ammettere neanche il più piccolo strappo alla propria civiltà. In
Europa, in Italia, tutti sappiamo, o almeno intuiamo, che questa è la
verità; che, se non si ferma subito, in modo drastico e assoluto,
l’ingresso degli stranieri e la tolleranza nei confronti dei costumi di
quelli già presenti nel nostro territorio, noi diventeremo presto un
popolo in estinzione, culturale, mentale, prima ancora che fisica.
Masappiamo anche che, contrariamente ai governanti australiani, i
nostri leaders – politici, ecclesiastici, sindacalisti,
intellettuali-perseguono con ostinata volontà la nostra fine. Nessuno
si fa più illusioni in proposito: l’evidenza parla da sé. I
provvedimenti presi per limitare l’immigrazione sono talmente esitanti
e inadeguati che servono soltanto come fumo negli occhi. Se mettiamo a
confronto i dati principali dell’Australia – estensione, densità,
storia - con quelli dell’Italia, e la preoccupazione del suo primo
Ministro in confronto alla ossessiva spinta “all’accoglienza” dei
nostri governanti, viene perfino da ridere. I giornali ci informavano
pochi giorni fa con strana esultanza che nel nostro minuscolo
territorio, di circa 25 volte più piccolo, siamo diventati, con
l’apporto degli immigrati, 60 milioni, a fronte dei poco più di 21
milioni di australiani;senza poi volerci neanche riferire ai nostri
millenni di ricchezza culturale al cui confronto gli scarsi due secoli
dell’Australia sono nulla. I nostri politici e amministratori, sia di
destra che di sinistra, si fanno gloria di questa ricchezza,
mettendonein mostra per il turismo di volta in volta la pittura o la
musica; ma lavorano contemporaneamente con tutte le loro forze alla sua
fine. Sanno bene che i conquistatori, e a maggior ragione i musulmani
che vi sono costretti dalla loro religione, distruggono sempre la
memoria dei vinti. Ciò che li spinge, insieme a tutti gli altri
politici, perciò, è il progetto di estendere il loro potere al mondo
intero, passando sopra alla testa dei popoli. Un progetto, quello della
globalizzazione, perverso e destinato al fallimento, come ben già si
vede dalle crepe dell’unificazione europea che ne è stato il primo
passo. Ma sappiamo ugualmente che non si fermeranno, come mai nessun
potente si è fermato fino alla catastrofe. Ida Magli 21 gennaio 2010
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