editoriale
Lo stupro come arma
di Ida Magli Il Giornale | 29/01/2009
Il
pene è un’arma. I maschi lo sanno bene e non se ne dimenticano mai.
Anche se ci si scherza benevolmente sopra quando, come si suole dire,
«si toccano» prima di affrontare una situazione difficile, fosse pure
quella di dover tirare in porta un rigore, il significato è sempre lo
stesso: assicurarsi di essere armati. Oggi poi che non hanno al fianco
il suo «doppio», spada o pistola, senza le quali gli uomini di un tempo
si sarebbero sentiti nudi ed imbelli, non è rimasto loro molto per
convincersi della propria virilità. Questo è, infatti, uno dei motivi
principali per i quali il bisogno delle prostitute è andato aumentando
invece di diminuire: bisogna mettere il pene continuamente alla prova,
assicurarsi che funziona. Nonostante gli innumerevoli discorsi che oggi
si accumulano sulla sessualità, per quanto riguarda quella maschile non
ci si azzarda quasi mai ad uscire dai problemi fisiologici, incentrati
ovviamente sulla capacità d’erezione, oppure dagli aspetti psicologici
relativi al rapporto con la madre, con il padre, con le donne in
generale. Non si parla dei significati del pene come arma, significati
sottostanti la vita socio-culturale d’ogni tempo e d’ogni luogo, e che
sono evidenti nelle manifestazioni sempre uguali che la storia ci ha
narrato descrivendo con monotonia il quadro costante degli stupri che
segnano la fine di una battaglia, di un assedio, di una crociata. La
guerra dello stupro è sempre esistita. I maschi sconfitti ne erano
talmente sicuri che spesso preferivano uccidere le proprie donne per
non lasciarle in balia della violenza del nemico. Ne esiste una famosa
rappresentazione nel gruppo scultorio (conservato nel Museo delle Terme
di Roma) del Galata che, sconfitto, uccide la propria donna prima di
uccidersi davanti al soldato romano vincitore. Non abbiamo bisogno,
tuttavia, di ricordare la storia passata, perché sappiamo bene quale
atroce guerra dello stupro si sia scatenata in tempi vicinissimi a noi
durante il conflitto del Kossovo. Non è, quindi, quasi mai il
desiderio sessuale, la motivazione primaria: lo stupro avviene, spesso
prima di ucciderle, su donne di qualsiasi età, delle quali non si è
neanche guardato l’aspetto, oppure davanti agli occhi del loro
compagno, il quale è con tutta evidenza il vero bersaglio,
simbolicamente rappresentante di tutti i nemici ai quali s’infligge,
appropriandosi le sue donne, la peggiore ignominia. Perfino la libertà
di cui le donne oggi godono in Italia è interpretata come una
debolezza, una vigliaccheria degli uomini italiani, i quali devono
perciò a maggior ragione essere sbeffeggiati, disonorati attraverso
l’appropriazione del «contenitore» della loro stessa essenza-sperma, in
una specie di sodomizzazione in forma indiretta. Sono significati che
vengono da molto lontano, ma che spingono all’azione con tanta maggiore
violenza quanto meno sono consapevoli. Chi ne è del tutto consapevole, invece, è la donna. Le
donne sanno bene che il pene è un’arma in quanto supera il confine del
corpo alla pari di un punteruolo, di un coltello. I codici penali non
hanno mai configurato lo stupro come tentato omicidio, ma, di fatto,
esso lo è, ed anche se si tratta di un’arma impropria, la donna ne esce
sempre «uccisa», anche se lo stupratore non completa l’opera
uccidendola, perché ha percepito la violenza omicida di cui il pene è
il massimo portatore. Ogni stupro è un’uccisione, più violenta, più
traumatica, più significativa che qualsiasi altra uccisione perché il
pene è il primo coltello sacrificale e il suo oggetto non è soltanto la
particolare donna che è violentata, ma la donna come prima «vittima»,
come segno e simbolo del concetto stesso di «vittima», oggetto del
sacrificio. Sacrificio «fra uomini», è chiaro. Per questo non deve
succedere: perché nulla potrà mai cancellarlo dalla vita della donna. E
di tutte le donne insieme con lei. La prevenzione va perseguita,
perciò, con determinazione assoluta; non si deve lasciare neanche il
più piccolo spiraglio alla sua evenienza. Come mai, allora,
avvengono tanti stupri anche per opera d’italiani, uomini che di per sé
non dovrebbero essere, o sentirsi, «nemici»? Un’analisi delle malattie
della nostra società bisognerà ad un certo punto che qualcuno si decida
a farla. Io posso soltanto elencare due fra i principali fattori che
stimolano nei maschi, con maggiore o minore consapevolezza, un eccesso
d’aggressività e d’umiliazione. Un fattore che non esito ad indicare
come primario è la quasi totale femminilizzazione della scuola. La
mancanza di un modello virile, e dell’autorità di un modello virile, è
per gli adolescenti maschi tanto disastrosa quanto la mancanza del
calcio e delle vitamine indispensabili alla loro crescita. Inoltre
l’aggressività è un istinto di cui la natura ha fornito molto più i
maschi che le femmine, così come li ha forniti di una maggiore forza
muscolare e di una diversa attitudine cognitiva. Costringerli alla
convivenza paritaria con le femmine per la maggior parte della giornata
dall’asilo fino a giungere ai diciotto anni è ingiusto, ma soprattutto
gravemente dannoso per la loro vita fisica, sessuo-psichica e
intellettuale. Si vuole una prova? Le ragazze riescono meglio dei
maschi oggi a scuola perché con tutta evidenza l’ambiente è organizzato
in modo adatto a loro. C’è poi il problema dei maschi più avanti
nell’età i quali non riescono a mettersi in competizione con le donne
sul terreno del lavoro. Le donne, infatti, rappresentano la maggioranza
quasi in tutti i campi, e le «minoranze» - si sa - non stanno mai bene.
Tanto più quando si tratta di minoranze che se ne sentono umiliate in
quanto ricordano i tempi della propria supremazia. La maggior parte
soffre, o s’impazientisce, in silenzio. Altri si sono stabilizzati in
una forma di pseudo-femminilità, facendo il più possibile a meno delle
donne, con il pacifismo e con l’omosessualità. Ma i pochi che non hanno
trovato nessun tipo di adattamento, si abbandonano a reazioni
aggressive di cui appunto lo stupro, spesso nell’ambito delle
conoscenze o addirittura in famiglia, segnala quale sia il nemico: una
società in cui i maschi hanno permesso alle donne di sopraffarli. È uno
dei motivi per i quali vedono di buon occhio il sopraggiungere, con i
musulmani, del buon tempo antico.
Ida Magli
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