eDITORIALE
L'integrazione è un miraggio
di Ida Magli Il Giornale | 21/09/2009
Siamo
tutti addolorati per quanto è successo a Daniela Santanchè e, prima di
commentare con una riflessione, di carattere culturale più che
politico, il problema posto dall’abbigliamento delle donne musulmane in
Italia, vorrei mettere l’accento su un dato di fatto, l’unico davvero
grave: non passa giorno in cui non siamo costretti, per un episodio o
per l’altro, ad occuparci della difficilissima convivenza con il mondo
islamico. Questo significa che non si tratta di episodi singoli o
eccezionali, ma di una realtà patologica radicata nel tessuto della
nostra vita quotidiana. Sono ormai molti anni che tentiamo di mettere
in guardia i politici sul fatto che il mondo islamico è incompatibile
con il mondo occidentale e che alla fine lo scontro sarà inevitabile.
Scontro sicuramente doloroso e ingiusto per ambedue le parti dato che
si tratta di difendere ciò in cui si crede, ciò cui si dà il massimo
valore: la propria religione, sia che si tratti del Corano, sia che si
tratti dell’Uguaglianza o della Libertà. Ma i politici non ascoltano.
Questo è il loro maggiore difetto. Naturalmente sono in buona fede.
Quando, per esempio, Gianfranco Fini insiste nel proporre la
concessione della cittadinanza e del voto agli immigrati, appoggia
questa proposta alla convinzione che, messi alla pari con gli Italiani
al massimo limite possibile, non avranno più motivo di sentirsi
stranieri e si integreranno perciò con facilità. Purtroppo però questa
convinzione discende da una totale ignoranza di che cosa sia una
cultura come quella musulmana, fondata e plasmata da un Libro Sacro che
risale a molti secoli prima di Cristo in quanto Maometto ha fondato il
Corano sul ripristino dell’osservanza dei primi cinque libri
dell’Antico Testamento. L’uccisione della donna infedele, per esempio,
anche da parte del padre oltre che del marito, tanto per riferirci ad
un episodio che ci ha sconvolto soltanto pochi giorni fa, è prescritta
dal Deuteronomio, ossia da uno dei libri più antichi della Bibbia
convalidati da Maometto. Sarebbe necessario che la Chiesa proponesse
essa stessa una revisione dell’ Antico Testamento, spingendo così anche
gli studiosi del Corano a prendere in considerazione questa
possibilità, soprattutto per quanto riguarda la legislazione
incompatibile con il mondo moderno. Sia ben
chiaro però che questo è soltanto un auspicio, mentre qui abbiamo da
risolvere i problemi dell’oggi. L’abbigliamento femminile è un punctum
dolens di tutte le società, anche quando non è prescritto da un libro
sacro (non sono passati, poi, troppi anni, da quando le donne italiane
non potevano entrare nel palazzo del Parlamento indossando i
pantaloni). Il motivo di questa ipersensibilità è facilmente
spiegabile: con il loro abiti le donne non soltanto “segnalano” la
propria maggiore o minore disponibilità sessuale, ma anche la loro
maggiore o minore vicinanza con il mondo dell’al-di-là. Due cose che
naturalmente sono collegate l’una all’altra perché così le ha
immaginate la fantasia maschile. E’ sufficiente, per quanto riguarda
l’Oriente prima ebraico, poi musulmano, riflettere ai colori: il bianco
appartiene ai maschi in quanto non hanno a che fare con il mondo impuro
della Morte, dell’al-di-là della Morte, del quale sono invece
portatrici le donne (a causa della procreazione), avvolte perciò
totalmente nel nero. Credo, quindi che per quanto ci dispiaccia non
poter affrettare questo momento, la battaglia del “burka” potrà essere
combattuta soltanto dalle donne musulmane quando, come è successo alle
occidentali, saranno esse stesse consapevoli dei significati del mondo
in cui vivono.
Ida Magli 20 settembre 2009
|
|