editoriale
Neppure l'amore può cambiare un musulmano
di Ida Magli Il Giornale | 27/02/2009
C’è
un tremendo equivoco di fondo nell’innamoramento che spinge una donna
occidentale, e in particolare italiana, a unire la propria vita a
quella di un uomo musulmano: lo ritiene suo contemporaneo. Diverso il
fisico, certo; diverso lo sguardo, diversa la lingua, diverso il cibo:
tutte cose che sembrano aggiungere fascino, invece che dividere. Anche
i modi nel trattare le donne, in fondo, per quanto più autoritari,
appaiono rassicuranti e protettivi in confronto a quelli occidentali.
Ma pur sempre contemporanei. L’uomo musulmano, invece, appartiene al
mondo dell’Antico Testamento, quello di 3000 anni fa, di Abramo e di
Mosè, in quanto Maometto ha fondato il Corano sui primi cinque libri
della Bibbia. Si tratta di un abisso in confronto al nostro mondo, non
soltanto per tutti gli avvenimenti che hanno segnato il divenire del
tempo e della storia in Occidente, ma soprattutto per le profondissime
differenze di diritto e di costume nei riguardi delle donne. La società
musulmana è tipicamente patriarcale. L’uomo è capo e padrone delle
mogli e dei figli che gli devono obbedienza in tutto. La legge
religiosa è l’unica legge in campo penale e civile. Vige la giustizia
del taglione, con la mutilazione delle membra a seconda del tipo di
reato e la condanna a morte tramite lapidazione per i crimini più gravi
compreso l’adulterio. Insomma, è indispensabile capire che
l’innamoramento non può cambiare nulla a una realtà di questo genere e
che sono le donne a cadere in un tragico inganno quando lo sperano e vi
si affidano. Purtroppo i politici avallano spesso con le loro
affermazioni l’idea che gli immigrati possano “integrarsi” nella nostra
civiltà e che comunque debbano rispettare le nostre leggi. Si tratta di
belle affermazioni di principio che però non fanno i conti con i
sentimenti culturali profondi, anche non del tutto consapevoli (esiste,
infatti, un inconscio culturale), e soprattutto non fanno i conti con
la diversità di adattamento fra immigrati di sesso femminile e
immigrati di sesso maschile. E’ chiaro che le donne trovano soltanto
vantaggi nella libertà, nel rispetto, nell’uguaglianza. Ma per i maschi
è tutta un’altra cosa in quanto debbono rinunciare a diritti e costumi
che danno loro il potere nella famiglia e il possesso totale sulla
persona della moglie e su quella dei figli. Non si pensi che l’affetto
possa influire su questi diritti: gli affetti sono plasmati dalle
culture. (E’ sufficiente ricordarsi che in Europa gli uomini fino a non
molto tempo fa affrontavano la morte in duello in difesa del proprio
“onore”, per comprendere quanto siano forti i sentimenti indotti dalle
culture). Messo in chiaro questo presupposto, rimangono
per noi in tutta la loro ferocia i delitti di questi giorni. Sarebbe
stato sufficiente il fatto che moglie e figlia erano state “sgozzate”
per capire che l’assassino era un musulmano. E’ indispensabile fermare
l’immigrazione musulmana. E’ indispensabile che il Governo emani delle
norme restrittive sui matrimoni o sulle convivenze miste e che, quando
nascano dei figli, la tutela venga sorvegliata dallo Stato. Ma
soprattutto è indispensabile eliminare il principio, adottato insieme
al “politicamente corretto”, di non giudicare le religioni. L’islamismo
è una “religione-cultura” totale ed è assurdo, al di fuori di qualsiasi
ragionevole senso dell’umano, non poterne discutere come si fa per
qualsiasi altra cultura. Se vogliamo avere rapporti più sereni anche
con gli Stati islamici e aiutare almeno l’Africa ad uscire dalla
condizione di arretratezza psicologica e sociale, oltre che dalla
povertà, in cui si trova, abbiamo il dovere di parlare delle norme
coraniche, della Sura che stabilisce l’inferiorità della donna, della
necessità di assumere forme di diritto penale e civile adeguate al
mondo moderno. Ida Magli Roma, 27 febbraio 2009
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