lettere
Relativismo, Governo Mondiale e Infibulazione
di Ida Magli ItalianiLiberi | 30/08/2009
La
lettera del signor P. mette a fuoco alcuni punti importanti della
“forma mentis” che sottende ormai da molti anni il dibattito culturale
e politico in Europa e, sebbene con alcune accentuazioni diverse, anche
in Italia. La mia risposta è quindi di carattere generale, e molto più
estesa di quanto non sia di solito una lettera, in quanto approfitto
delle perplessità del signor P. per rendere più chiari, per quanto mi
sarà possibile, ai Lettori del nostro sito quali siano i nodi cruciali
che tutti noi ci troviamo oggi di fronte. E’ anche vero però che,
essendo io di professione, oltre che uno scienziato anche un
antropologo, sono stata chiamata necessariamente a fare più volte delle
scelte concrete e non ho potuto limitarmi soltanto a comprendere. Il
principio della “osservazione partecipante”, elaborato dal metodo
antropologico, diventa spesso incompatibile con la coscienza
dell’antropologo. E’ questo il caso, fra i tanti, proprio
dell’infibulazione, in cui la drammaticità di ogni decisione mette a
durissima prova, non tanto la coscienza morale, quanto la sicurezza di
giudizio dell’operatore. Se ho ben interpretato il pensiero del signor
P., è appunto il mio modo di agire che gli appare “contraddittorio ed
enigmatico”.
Il concetto di “cultura”
Prima
di tutto il problema del “relativismo culturale”, intendendo in linea
di massima per relativismo culturale l’impossibilità di mettere a
confronto le “culture” e di giudicarle. (Ho fatto qualche tempo fa un
breve saggio sul “relativismo” per i Lettori del sito che credo sia
ancora reperibile in archivio). Se non si ha ben chiaro che cosa sia
una “cultura”, ovviamente non si può discutere del “relativismo”.
Ebbene il termine “cultura” è usato ormai da molti anni in modo
talmente approssimativo, inesatto, ambiguo, onnivalente, quando non
addirittura errato, che bisogna per forza partire da lì. Sono convinta
che, se si chiedesse ad una qualsiasi persona, che pure abbia incluso
questo termine nel suo vocabolario abituale, che cos’è una “cultura”,
non saprebbe darne una definizione. Non ci sarebbe da meravigliarsene
visto che diversi anni fa due fra i maggiori antropologi, Alphred
Kroeber e Clyde Kluckhohn, ci hanno provato ed hanno finito col
raccoglierne più di trecento definizioni diverse. (Kroeber- Kluckhohn: La cultura).
Qui dunque preciso che io mi attengo al concetto sul quale si basa
l’Antropologia Culturale, scienza che ha subìto da parte dei Politici e
dei Capi religiosi (per non parlare dei giornalisti) un’assurda
manipolazione in quanto è usata massicciamente, quando fa comodo, in
forme errate o distorte, mentre viene del tutto ignorata nei casi nei
quali non è possibile adibirla a supporto della volontà delle
Istituzioni di Potere. E’ successo quindi che tutto è diventato
“culturale”, mentre in concreto nulla più è “scientificamente”
culturale.
Sintetizzando in poche parole il
concetto elaborato verso la fine del 1800 da alcuni dei classici
esponenti dell’Antropologia (Edward Tylor, Franz Boas, Alphred Kroeber)
possiamo dire che ogni società è contraddistinta da un particolare
modo di vita, caratterizzato in forma costante e duratura da
determinati e specifici “temi”, o ”tratti”, fondamentali – lingua,
religione, economia, diritto, tecniche, sistema di potere - interagenti
fra loro e interdipendenti che formano un “sistema”, un pattern,
un modello. La forza innovativa di questo modo di guardare ai vari
gruppi umani, anche a quelli più lontani e diversi nel tempo e nello
spazio, risiede nell’aver capito che, malgrado si tratti di fattori
indispensabili e comuni ad ogni società, questi assumono significati e
valori in rapporto al loro formare un “complesso insieme”. “Complesso
insieme” significa che dipendono l’uno dall’altro e che ogni “cultura”
è data dalla particolare “forma” prodotta dalla loro inter-dipendenza e
inter-azione. Significa, inoltre, che, come in un caleidoscopio, non si
può spostare o togliere un elemento, senza che si spostino di
conseguenza tutti gli altri, costringendo l’insieme ad assumere una
“forma”diversa. Quando questo avviene, gli individui portatori di
quella cultura non vi si riconoscono più; cadono in un
“disorientamento” mentale, psicologico, morale, sociale, che li porta,
più o meno rapidamente, all’estinzione. Le culture,
infatti, muoiono, e con esse quasi sempre muoiono anche i popoli. La
storia ce ne fornisce numerosissimi esempi. Perché è sparita la cultura
egiziana? Dove è finita quella dei Greci? Dei Persiani? Degli Etruschi?
Non sono state quasi mai le guerre a mettere fine alla vita di una
società, anzi. Di solito un popolo sconfitto reagisce con forza davanti
ad un nemico in armi proprio cercando di conservare, se non la libertà,
almeno i propri costumi e valori. E’ viceversa l’imposizione “normale”,
quotidiana, e in apparenza non violenta, di una cultura “estranea”,
avallata dai Capi politici o religiosi, che induce i cittadini alla
sfiducia, al dubbio sui significati della propria. Si trovano a vivere,
infatti, senza esserne del tutto consapevoli, in due sistemi logici in
contraddizione. Una contraddizione insuperabile in quanto di solito si
tratta dell’inserimento di “pezzi” isolati della cultura straniera (un
costume rituale, per esempio, la concezione del tempo, il rapporto
uomo-donna), pertanto in sé stessi privi di senso mancando il “vissuto”
del “complesso insieme”, così come manca la conoscenza dei suoi
significati.
(Chiedo scusa se rinvierò mano a mano
coloro che volessero saperne di più ai saggi che ho dedicato agli
specifici argomenti di cui stiamo trattando, dato che non mi è
possibile fare qui se non dei rapidissimi cenni a problemi che sono
viceversa molto ardui. Devo però anche avvertire che ognuno dei miei
lavori è legato e connesso con gli altri perché ho fatto il tentativo
di mettere sempre in luce il “complesso insieme” delle culture
deducendolo di volta in volta da uno dei suoi “temi” fondamentali. Per
quanto riguarda il concetto di cultura, si può vedere in particolar
modo: Introduzione all’Antropologia Culturale; Il Mulino di Ofelia,
oltre ovviamente ai numerosissimi articoli in cui ho tentato invano di
far capire ai governanti e ai capi religiosi che non si può ignorare il
sistema logico degli uomini.)
La musica e il sistema culturale
Una “cultura”, dunque, è un “sistema”. Di conseguenza è “chiusa”. E’
chiusa perché il pensiero dell’uomo è dotato di “logica”, di un metodo
interno di verifica che scatta simultaneamente all’elaborazione di
un’idea, individuandone subito e scartandone le contraddizioni.
(Edelman: Il Presente ricordato; Pribram: I linguaggi del cervello).
In altri termini, dobbiamo tenere sempre presente che ogni cultura è
sostenuta da correlazioni logiche stringenti. E’ soltanto perché hanno
pensato di poter capire meglio i “selvaggi” assumendo quello che Franz
Boas chiama “il punto di vista dell’indigeno”, che gli antropologi
hanno potuto finalmente dare un senso a tanti comportamenti che erano
apparsi “orribili” ai viaggiatori, agli etnologi, ai missionari che li
avevano preceduti. Così, per esempio, ha trovato una spiegazione logica
(e per noi comprensibilissima visto che mangiamo il corpo del
Salvatore) un costume che accomuna diversi popoli amazzonici. I Piaroa,
per esempio (piccolo gruppo alle foci dell’Orinoco, in via di
estinzione davanti all’incalzare dei “bianchi”) mangiano le ceneri dei
propri defunti per “assimilarli”, conservarli dentro di sè, farli
vivere con sé, con la loro stessa vita. Molti delle tribù vicine,
invece, in base allo stesso principio, mangiano direttamente le carni
dei nemici uccisi in battaglia allo scopo di assumere la loro forza, il
loro valore. La differenza sta nel fatto che i Piaroa mangiano le
ceneri dei defunti (cotte in una pappa di banane) perché aborrono l’uso
della carne al punto tale che, pur soffrendo gravemente per la scarsità
dell’alimentazione, non mangiano le galline, che allevano per
divertimento, e neanche le loro uova. Naturalmente a questo punto
dovrei spiegare perché i Piaroa non mangiano carne (mentre mangiano il
pesce, per cui non si tratta di vegetariani o di animalisti ante
litteram) ma, non potendo ovviamente dilungarmi qui su ogni problema
che ci si pone di fronte, lascio ai Lettori il compito di riflettere
sull’immensa complessità dei significati, sempre connessi gli uni con
gli altri, che gli uomini assegnano alla propria esistenza; una
complessità che oggi i nostri governanti vogliono a tutti i costi
eliminare.
Ogni cultura, perciò, è un sistema logico
concluso in se stesso, e del tutto “ovvio” per i singoli individui che
ne sono i portatori. Questo significa che, tranne l’eccezione delle
intelligenze geniali, in pratica non lo conoscono, non ne sono
consapevoli. (Faccio un esempio minimo di questa non consapevolezza: il
“buongiorno” che precede invariabilmente il nostro rivolgere la parola
a un altro, il quale si “offenderebbe” della sua mancanza, è un residuo
del rito di apertura della bocca che tutela sia noi che l’altro dai
pericoli connessi alla messa in funzione di una “apertura” potente del
nostro corpo). Nei casi in cui, in base al contatto con altre culture,
vengono accettati comportamenti estranei, questo accade esclusivamente
perché si tratta di costumi circoscritti, che non si scontrano con la
logica del sistema di base, o che addirittura, cambiando di significato
o di funzione, ne arricchiscono qualche tratto marginale.
Insomma
una cultura è come una Sonata, una Fuga: è creata in una “chiave”.
Tanti “abbellimenti”, tante variazioni, tante dissonanze sono
possibili, anche in una chiave diversa, ma alla fine debbono
“risolversi” (termine tecnico estremamente significativo) in quella
“giusta”. Credo di poter affermare che la Musica Classica è la sola
creazione dell’Uomo che sia in grado di dar conto di che cosa sia una
cultura. In un certo senso ne è una “rappresentazione”. Se possedessimo
soltanto qualche brano di musica di una cultura, della quale non
conoscessimo null’altro, potremmo tuttavia dedurne e comprenderne quasi
tutta la struttura fondamentale. Prima di tutto perché un brano
musicale è concluso in se stesso, possiede in sé la sua spiegazione. E’
una “forma”. Comincia e finisce in un tempo autonomo. Un tempo che si
staglia con autosufficienza sul tempo “comune”, sia quello che scorre
nell’ordine della Natura sia quello che scorre nell’ordine stabilito
dall’Uomo. Può ripetersi all’infinito sempre uguale a se stessa, e
sempre nuova per chi l’ascolta e la decodifica nel proprio tessuto
interiore; con un inizio, uno sviluppo intrinseco e una conclusione,
conclusione che non è una “fine”, ma il “dato”, la soluzione di
un’equazione. Soprattutto, però, la musica classica è la
rappresentazione di ciò che l’Umanità tenta in tutti i modi di
comprendere attraverso la propria esistenza: “Perché?”. E’ una proposta
di “domanda”, un interrogativo che rimane interrogativo nel suo stesso
svolgersi e che non aspetta, non accetta risposte. Non è forse questa
la forza che si sprigiona dalla prima battuta della “ Nona”? Una
interrogazione assoluta. Dal momento in cui la cultura europea è
diventata consapevole della propria volontà di “domanda”, di” dubbio”,
di “ricerca”, la musica ha abbandonato il Gregoriano, in cui non può
esistere vera domanda in quanto è preghiera, aspetta una risposta, ed è
passata alla gioia della libertà della creazione con Palestrina, con
Vivaldi, con Bach. Oggi possiamo constatare come, con l’imposizione
di una cultura priva di dubbi, priva di passioni e di domande, ferma al
pensiero “politicamente corretto”, al divieto del “giudizio”, alla
piattezza indiscriminata dell’uguaglianza, l’Europa abbia spento le
intelligenze e con esse la creazione musicale. I Governanti hanno
testimoniato essi stessi di questa verità. Rinchiudendo la “Nona”
nell’ambito del Potere, costringendola a diventarne strumento e
simbolo, hanno gridato al mondo la fine di ogni libertà. [A
questo punto sono felice di affermare che ciò che mi ha aiutato di più,
nella mia professione di antropologo, è stato l’essere una musicista.
Il Conservatorio di S. Cecilia è stata la mia “chiesa” e il mio
“terreno di ricerca”; il pianoforte l’unico amico e sfidante del quale
fidarmi nell’ingaggiare la gara della tecnica e della vita; infine, la
gratitudine per “ l’immenso dono che i Geni della musica hanno fatto
all’umanità”, mi ha fatto condividere, insieme a questo sentimento
ispirato dal Lohengrin di Wagner a Verdi, anche la Sua passione per l’
arte musicale italiana: “Quel nostro fare sicuro spontaneo naturale
sensibile abbagliante di luce”.]
(Sulla concezione del tempo
nelle culture mi sono soffermata praticamente in tutti i miei lavori.
Si può tuttavia vedere in particolare: Gesù di Nazaret e Il Mulino di Ofelia. La citazione di Verdi è tratta da “Autobiografia dalle lettere”.)
Il mare degli uguali
Tutto
quanto abbiamo detto fino adesso è in fondo comprensibile anche
soltanto in base al buon senso; un buon senso, però, che non deve
essere mai disgiunto da un assoluto rigore intellettuale. Il che
significa che, di fronte ai significati culturali, non è lecito barare.
I Politici, i Capi del mondo contemporaneo, laici e religiosi, non
hanno fatto altro che questo: barare, barare, barare. Forti di una
presunzione che è tutt’uno con la loro ignoranza, hanno calpestato
tutte le scienze, dalla linguistica all’antropologia, alla sociologia,
alla psicologia, alla storia, per raggiungere la meta concordata a
livello planetario: l’unificazione mondiale dei bisogni, dei valori,
delle religioni, azzerando le intelligenze tramite l’uguaglianza e
disarticolando tutte le formazioni di gruppo, a cominciare dalla
famiglia, con la riduzione di ogni “Soggetto” a “ individuo”. In
definitiva, lo scopo era quello di far emergere, sull’immenso mare
degli “uguali”, una sola Istituzione, quella del Governo Mondiale, che
oggi, infatti, è quasi completamente emersa e sta dettando i
comportamenti a miliardi di uomini spingendoli ad assumere un’ unica
forma culturale. A questo proposito voglio aggiungere una nota
importante. Si è sempre creduto che George Orwell fosse un genio della
fantasia quando ha scritto il famoso romanzo intitolato “1984”.
Ma si tratta di un tragico errore. Orwell era membro di una delle più
potenti Associazioni Mondialiste e quello che ha descritto non è una
sua immaginazione ma il progetto, già in via di realizzazione, di cui
era a conoscenza. Non potendo rivelarlo senza mettere a rischio la vita
(come è successo a molti: l’elenco dei morti ammazzati fra gli
appartenenti a queste Società è molto lungo) ha deciso di presentarlo
in forma di romanzo nella speranza di riuscire così a metterci in
guardia; ma, come tutti sappiamo, le cose sono andate diversamente.
L’ha scritto troppo bene; nessuno ha creduto che non si trattasse di un
pezzo di bravura. I mezzi d’informazione di massa, poi, che sono al
servizio del Potere anche quando non lo sanno, hanno immesso come un
divertente scherzo il racconto di Orwell nell’immenso flusso
dell’informazione di consumo e il “gioco” del Grande Fratello ha fatto il resto.
L’eredità culturale e il Governo Mondiale Se
le cose stanno così, se nessuna cultura può essere oggetto di giudizio,
perché io difendo la cultura occidentale? E’ questa la domanda che mi
rivolgono i Lettori. Prima di tutto devo precisare che io non
difendo la “cultura occidentale”. Difendo il territorio italiano, e con
esso la cultura italiana, perché un popolo non è un popolo se non
possiede un territorio. Lo difendo come difendo il diritto al proprio
territorio di ogni altro popolo, europeo e non europeo. Difendo quindi
anche la cultura d’Europa, mentre non difendo affatto la cultura
“americana”, che viene erroneamente inclusa nella definizione di
“occidentale”. Difendo l’intelligenza degli Italiani, l’arte, la
musica, la lingua degli Italiani, la loro storia patriottica che è
tutt’uno con la loro arte, prima di tutto perché sono le mie, quelle
cui devo tutto ciò che possiedo, dalla lingua con la quale penso alla
storia che forma il tessuto di tutte le mie conoscenze anche quando non
mi accorgo di usarla. Ho un’immensa ammirazione e una profonda
gratitudine verso gli uomini che mi hanno preceduto e che hanno
accumulato con la loro intelligenza, la loro fatica, la loro
perseverante volontà, l’incalcolabile patrimonio di riflessioni, di
sentimenti, di pensiero, di conoscenze, dalla cui altissima montagna io
ho potuto a mia volta partire per capire, e per vivere. Sono convinta,
anche se la ricerca in questa direzione è bloccata dalla stupidità del
“politicamente corretto” (o meglio dalla censura dei Potenti che hanno
appositamente inventato il politicamente corretto),
che esiste una forma di eredità culturale, genetica ed epigenetica, e
che è su questa eredità di base che si costruisce lo “stile” di ogni
popolo. Sono stati i Greci, i Romani, e poi gli
Italiani, i Tedeschi, i Francesi, a sviluppare costantemente,
attraverso i secoli, in confronto ad ogni altro popolo, l’atteggiamento
mentale di “domanda”, di “dubbio”, di “ricerca” verso i vari aspetti
della vita fino a portarlo alla Scienza. (Dal punto di vista culturale
non si ha ragione di parlare di “Europei” data la povertà della
produzione intellettuale di molte nazioni d’Europa. Questo tipo di
generalizzazione, del tutto erroneo, è stato inventato in funzione
dell’Unione Europea e fa il paio con un’altra stupida generalizzazione
priva di realtà, quella della cultura “mediterranea”. E’ vero che
Berlusconi ama svisceratamente Gheddafi, ma, per quanto bagnata dal
Mediterraneo, la Libia, come gli altri paesi della costa nordafricana,
mediterranea appunto, non ha ancora dato nessun contributo al
patrimonio di idee dell’umanità). Metodo scientifico significa
“dubbio”, certezza di non sapere. Sebbene la maggior parte delle
persone sia convinta che scientifico significhi ”vero”, “certo”, in
realtà invece lo scienziato è colui che sa che ciò che ha scoperto, pur
essendo prezioso per le scoperte future, è sempre provvisorio, e che
potrà essere contraddetto e superato da ciò che scoprirà domani. E’
questa la sua forza: poter andare sempre avanti con la sicurezza che il
suo sapere non è mai definitivo. Il “dubbio”, dunque, dovrebbe essere
la caratteristica di tutta la cultura europea. Purtroppo, invece,
facendosi dipendenti dall’America e omologandosi all’America, i
politici d’Europa hanno assolutizzato il proprio modello culturale,
assumendo un universalismo analogo a quello cristiano-cattolico.
Come dicevo, è un errore includere la cultura americana in quella
occidentale, anche se, a un primo sguardo, si notano le somiglianze
nelle scelte politiche, nel primato dato da qualche anno all’economia
di mercato, alla finanza, allo sviluppo tecnologico. Ma la “cultura”,
come spero che ormai sia chiaro, non è questo. Sono i popoli che creano
le culture.Gli Americani non hanno intellettualmente e moralmente quasi
nulla in comune con i popoli d’Europa, tanto meno con gli Italiani. Del
resto, non sarebbe sufficiente ascoltare la loro produzione musicale
per affermarlo? Non è possibile ovviamente analizzare in poche
parole la cultura americana, ma basterebbe il suo essere basata
sull’Antico Testamento (l’Ebraismo, le varie Chiese Riformate,
l’Islamismo) a far capire che c’è un abisso fra noi e loro. Per quanto
oggi piegati anche in Europa, praticamente costretti dall’America
tramite i banchieri messi a capo dell’Unione Europea, ad adorare il
Mercato, il Prodotto Interno Lordo (l’amabilissimo PIL), ad esaltare
finanzieri ed economisti, a credere ciecamente nel sacramento
onnipotente della democrazia, stenta molto a fare presa da noi
l’ossessione ritualistica, l’esaltazione mistica, stile New Age,
che contraddistingue la società americana. Ma soprattutto non riesce a
svilupparsi in Europa, malgrado i macroscopici sforzi economici e
politici compiuti dagli Americani in questa direzione, la fittissima
rete di Associazioni con le quali si mette in opera a poco a poco il
“sistema linfatico” del Potere Unico. Alle orecchie degli Italiani
suonano quasi del tutto sconosciuti nomi quali: Fabian Society, Aspen
Institut, Pilgrims’ Society, B’nai B’rith (l’ebraico “Figli
dell’Alleanza”), Anti-Defamation League, Bildelberg Conference, Council
of Foreign Relations, Trilateral Commission, Consiglio Mondiale delle
Chiese, tutte organizzazioni che, alimentate dalle Banche e dalle
Fondazioni più ricche del mondo, legano in un solido abbraccio di
fratellanza e di complicità , ramificandosi dagli Stati Uniti fino alle
più importanti nazioni del mondo, i “Grandi”, i “Potenti” nel campo
politico, economico, religioso. Sono Associazioni che hanno in comune
lo scopo di eliminare gli Stati Nazionali per consegnare la guida e il
governo di tutta l’Umanità nelle mani di poche centinaia di persone.
Rimane il fatto, però, che l’idea di un Governo Mondiale è talmente
fuori della realtà da sembrare grandiosa e fattibile soltanto ai
potenti d’America (i loro accoliti europei li seguono soltanto per fame
di potere e di denaro). Si tratta di persone tanto ricche di dollari
quanto povere d’intelligenza. E’ l’intelligenza, infatti, ciò che più
manca agli Americani, cosa di cui non riescono a rendersi conto a causa
delle grandissime ricchezze naturali d’ogni genere di cui sono dotati.
Il fatto stesso di aver conquistato un immenso territorio, che si
affaccia su due Oceani, è sufficiente a dar loro il senso di una
superiorità donata da Dio allo scopo di dominare il mondo. Il Dio
dell’Antico Testamento, nel quale credono fermamente, e la loro
straordinaria capacità di accumulare enormi capitali, glielo
confermano. I simboli stampati sul biglietto da un dollaro lo gridano a
gran voce. La realtà, però, è molto diversa. Sebbene sia stato fatto
tutto il possibile per uccidere le intelligenze, in Europa e nel mondo
ne rimangono ancora a sufficienza per capire che, anche se si riuscisse
a realizzarli, il Governo Unico e la Cultura Unica non avrebbero
futuro. Una volta giunti alla meta, infatti, bisognerebbe fermare tutti
e tutto nell’immobilità dell’uguaglianza. Cosa evidentemente
impossibile. Non che gli uomini adibiti alla programmazione del Governo
Unico non abbiano provveduto anche alle eventuali ribellioni; ma, per
quanto si siano forniti di un sistema di controllo totale di ogni
singolo cittadino (già in atto anche da noi con la scusa del
terrorismo) e di un esercito (la NATO) pronto a domare ogni focolaio di
sommossa, è evidente che una qualsiasi mossa di questo genere
mostrerebbe subito alla luce del sole cosa si nasconda dietro lo
sbandierato ideale della Pace e della Democrazia Universale, mentre
sarebbe impossibile tenere a bada anche usando le armi, i sentimenti
nazionali che sussistono ovunque. Insomma, un’idea da
“troppo ricchi”, potenti e un po’ stupidi quali sono gli Americani, e
sulla quale presto qualcuno sghignazzerà.
Leggere il Sacro Io,
però, devo rispondere ad una domanda molto pertinente: se le culture
non si possono mettere a confronto e non si possono giudicare,
l’infibulazione andrà bene tanto quanto l’uguaglianza di diritti delle
donne. Non è facile spiegare il mio modo di procedere (che del resto
finora non è stato seguito da nessun altro antropologo), ma la
differenza fondamentale sta nel fatto che io ho applicato alla nostra
cultura lo stesso metodo di analisi che abbiamo applicato alle culture
“altre”. Ho sollevato scandalo e rifiuto, è vero, ma ho trovato in
questo modo straordinarie analogie, per non dire identità, nella
struttura di base del Potere, nel legame fondante fra la “potenza” del
Pene e la “potenza” del Sacro, comune a tutte le società e a tutte le
culture, inclusa la nostra. Una volta decodificato il primo fattore,
non è stato difficile “leggere”, semplicemente, nei loro significati
immediati, i testi sacri, scritti e non scritti, i quali dicono
esattamente quello che dicono, senza ricorrere a misteri o a
simbolismi, in quanto sono stati creazione del pensiero degli uomini.
Niente è impossibile capire di ciò che è umano. Dato che questo è
vero per qualsiasi testo sacro, di ogni tempo, di ogni cultura, non c’è
che procedere con la sicurezza del sistema logico (comune a tutti gli
esseri umani e che non viene mai meno) per capire, e per far capire,
a chiunque, il significato delle azioni che si compiono. E’ questa la
strada che io ritengo possibile attuare per mettersi in comunicazione
effettiva con i portatori di culture diverse, o almeno con alcuni,
quelli che (esistono in ogni luogo) non temono i tabù. Superare la
barriera del Sacro (tenendo presente, come ho spiegato in ogni mio
lavoro, che il Sacro esiste prima e al di fuori delle Religioni)
significa leggere il Sacro con semplicità in ciò che effettivamente
dice, guardando ai rituali, ai gesti tabuistici, alle invocazioni,
nella loro concretezza, priva di carica “magica”, e pertanto
grottescamente illogici. La maggiore difficoltà proviene dalla
“resistenza” che i detentori del potere oppongono sempre, e per ovvi
motivi, a qualsiasi forma di “de-sacralizzazione” ( è bene non farsi
illusioni in proposito: l’ossessività odierna del richiamo al rispetto
della Costituzione, per esempio, o la certezza continuamente inculcata
del Bene Democratico, sono fondamenti di sacralità che hanno preso il
posto, nel cosiddetto mondo laico, di quelli in precedenza inclusi
nelle religioni.) In Europa, poi, si è fatto anche di più: è stata
proibita per legge qualsiasi critica alle Religioni, quindi al Potere.
Sacro e Potere, infatti, si reggono l’uno con l’altro. Questo significa
in pratica che è già stato predisposto quel tempo “fermo”,
indispensabile allo stabilirsi del Governo Unico, di cui abbiamo
parlato: se le Religioni non devono cambiare, nulla può cambiare.
[Vorrei
aggiungere, a questo punto, una brevissima nota sull’eventuale analogia
fra le mie posizioni e quelle di Oriana Fallaci e di Magdi Allam, cui
si riferisce il signor P. Si tratta di un’analogia apparente, dedotta
dal rifiuto dell’invasione islamica. Con Oriana sono stata a lungo in
contatto nella speranza che potesse combattere, data la stima da cui
era circondata negli Stati Uniti, con molta maggior forza di quanto
potessi fare io, contro l’unificazione europea. Purtroppo non sono
riuscita a convincerla che l’Unione Europea era il passo fondamentale
per consegnarci agli islamici. Oriana, inoltre, era credente e si è
affidata al Papa, mentre, come tutti possiamo ben vedere, la Chiesa
odierna è succube dell’Ebraismo e dell’Islamismo e partecipa alla
costruzione del Governo Unico tramite l’Associazione Mondiale delle
Chiese, oltre ovviamente ad essere presente in quasi tutti gli altri
organismi dediti all’abbattimento delle diversità culturali. Per quanto
riguarda poi Magdi Allam, credo che ci sia poco da dire: è credente
nella Chiesa e parlamentare europeo.]
Garantirsi dall’Al di là
Devo venire adesso al punto più problematico: l’infibulazione. E’
chiaro che qui ci troviamo nell'ambito di quel rigore intellettuale cui
accennavo all’inizio. Sono convinta (non sarei uno scienziato
altrimenti) che esistono casi in cui la scelta intellettuale e morale è
affidata alla coscienza del singolo individuo, senza che questi possa
essere mai del tutto certo di trovarsi nel giusto. Così non ho
partecipato o dato il mio consenso alla decisione dei colleghi medici
di eseguire l’infibulazione negli ospedali occidentali esistenti in
molti paesi africani allo scopo di sottrarre il maggior numero di
vittime ai brutali interventi delle ”mammane” casalinghe, in condizione
igieniche spaventose e senza anestesia. Una scelta durissima e, lo
ripeto, senza la certezza morale che fosse quella giusta, cui però mi
sono sempre attenuta nell’intento di tener fermo il principio, davanti
a me stessa come davanti ai colleghi e alle popolazioni africane, che
l’infibulazione non si deve fare. Se non si tiene fermo questo
principio e ci rassegniamo a operare l'infibulazione anche noi, è
evidente che non possiamo neanche tentare di far capire agli Africani
quale ne sia il significato e convincerli che non v’è nessun motivo per
farlo. Insomma, ho messo in atto la strategia del ragionamento
logico. Prima, però, è necessaria una premessa. Affermare che le
culture non possono essere messe a confronto, non significa che non
sono inventate dagli uomini. Come ha ritenuto necessario affermare
Margaret Mead, proprio perché gli antropologi sembravano essersene
dimenticati, in nessuna società è lecito uccidere all’interno del
gruppo. Di solito questa norma non è neanche espressa, tanto meno
codificata, in quanto è naturale, è implicita all’esistenza stessa del
gruppo. Formare un gruppo significa appunto delimitare l’ambito nel
quale si è al sicuro da qualsiasi aggressione da parte dei membri,
concorrendo tutti alla vita del gruppo stesso e alla sua sopravvivenza
con la tutela di un’ordinata procreazione e dei nuovi nati. Detto
questo, però, c’è da aggiungere, per quanto ci riguarda, che il medico
occidentale è tenuto dall’antico e sempre valido giuramento d’Ippocrate
a non portare in alcun modo danno al paziente, salvo che sia allo scopo
di impedire un danno maggiore. Posizione delicatissima e di estrema
problematicità nel caso dell’infibulazione, sulla quale fra medici e
antropologi si sono svolte accesissime discussioni (anche se quasi
nulla è trapelato all’esterno) senza riuscire a trovare una soluzione
che mettesse in pace la coscienza di tutti. La tentazione di salvare
la vita a molte di queste bambine (l’età in cui di solito è attuata
l’infibulazione è di circa 8 anni, ossia prima della pubertà),
operandole con le garanzie tecniche e igieniche della nostra chirurgia,
è fortissima. Questo risultato immediato, però, dove porta? Ci sono
paesi (la Somalia, per esempio) dove la “cucitura” (è così che vengono
chiamate: “donne cucite”) viene ripetuta dopo ogni parto, ossia cinque,
sei volte fino a quando non ce n’è più la possibilità tecnica, eseguita
anche nei nostri ospedali in base alla volontà espressa dal marito o
dal padre. Le conseguenze: ritenzione del mestruo, infezioni urinarie,
cicatrizzazioni anomale, ecc., sono talmente gravi e inevitabili che
nell’ Egitto “moderno” le autorità sanitarie hanno predisposto degli
ospedali dedicati esclusivamente alla cura delle donne infibulate.
Stiamo parlando, come si vede, soltanto delle malattie fisiche. Non mi
posso soffermare sulle malattie psichiche (un antropologo italiano ha
ipotizzato che la maggiore incidenza della schizofrenia nelle donne
somale, in confronto alla media africana, sia conseguenza del “vissuto”
dell’infibulazione, del tutto incomprensibile per loro), sulla “visione
del mondo” e di se stesse che la trasformazione del proprio corpo, con
la totale scomparsa della zona genitale, comporta per le donne che vi
sono sottoposte. Il fatto stesso che la bibliografia in proposito sia
scarsissima, e che, malgrado io abbia tentato per tanti anni di
stimolare l’interesse a degli studi approfonditi in proposito, vi sia
stata sempre opposta, non soltanto da parte dei maschi, una silenziosa,
insuperabile resistenza, deve indurre a capire che ci si trova di
fronte ad un fenomeno “temibile” per tutti. Quale
può esserne, dunque, la spiegazione? La risposta è sotto i nostri occhi
ed è presente, in modo più o meno simile, in tutte le società e in
tutte le culture. Può cambiare di volta in volta il passaggio dal
concreto al simbolico o viceversa, ma il risultato è sempre lo stesso.
Il corpo femminile è pericoloso perché canale di comunicazione con il
trascendente. E’ attraverso il corpo femminile che giunge, dal mondo
“di là” al mondo “di qua”, il nuovo nato. L’apertura del corpo della
donna è, perciò, apertura alla Potenza del mondo della Morte: mondo
della Vita prima della vita e mondo della Vita dopo la morte. Come può
il maschio affrontare senza timore la penetrazione nel suo interno? Far
venire a contatto l’organo stesso della sua potenza con la potenza
“altra” che vi è contenuta? Sappiamo dell'esistenza di varie
“tecniche”, quasi del tutto simili in ogni parte del mondo, che servono
ad aiutare lo sposo a superare indenne l’orrendo (nel senso primario
del termine) pericolo. Una delle più diffuse è quella di “mandare
avanti” il pene di qualcuno più “forte”, più “potente”, quale lo
Stregone, o lo Sciamano, o il Capo della Tribù, o il Padre di lui, o il
padre stesso della sposa, affinché la “decontaminino”, si carichino
dell’eventuale presenza trascendente e assicurino così che la strada è
sicura. Ma quale maggiore garanzia che averla chiusa concretamente,
questa strada, prima ancora che vi possa passare la potenza
dell’“al-di-là”? Chiuso vuol dire “chiuso”. Soltanto se si ha sotto
gli occhi il risultato della cucitura, ci si rende conto che lo scopo è
una saldatura precisa. Il minuscolo foro lasciato per necessità al
deflusso del mestruo, è inadeguato per la sua piccolezza e del tutto
invisibile. L’asportazione di gran parte dei genitali esterni serve
esclusivamente a poter eseguire, con l’eliminazione delle sporgenze, la
migliore cucitura. Tutto quello che è stato detto a proposito delle
mutilazioni genitali femminili è una fantasticheria degli studiosi
occidentali, alla ricerca di “giustificazioni” di tipo rituale o
iniziatico; oppure, come hanno affermato le femministe, un modo per
impedire il piacere sessuale femminile; oppure, ancora, per la
sicurezza sessuale dei maschi durante le lunghe assenze per la caccia o
per la pesca. Ma è molto significativo che uomini e donne fissino
l’attenzione sulle mutilazioni, evitando accuratamente di fissarla
sulla “chiusura”. La verità è che gli studiosi occidentali non riescono
a convincersi che le innumerevoli norme nei confronti del comportamento
femminile non hanno mai come scopo la donna, ma sempre il maschio, e la
tutela del maschio dalla sua trascendente pericolosità. D’altra parte,
com’è possibile ritenere che un’operazione che costringe il marito ad
impugnare il coltello, la notte delle nozze, per riuscire a penetrare
nel corpo della moglie; e che costringe la mammana, o il chirurgo che
assiste al parto, ad impugnare nuovamente il coltello per permettere il
passaggio della testa del neonato, sia un “rito d’iniziazione al
matrimonio”? Come ho già detto, è stato l’aver dedicato
i miei studi e le mie ricerche a “noi selvaggi” ciò che mi ha permesso
di capire con una certa facilità i tanti “selvaggi” sparsi dappertutto.
Dovevo per forza, dunque, cercare di comprendere le fantasie maschili
intorno al corpo femminile per eccellenza, quello della Madonna, e il
risultato si trova in tre saggi (uno più sfortunato dell’altro in
quanto a critiche): “ La Madonna “, “Storia laica delle donne religiose
“, “Sulla dignità della Donna “. Devo rinviare i Lettori a questi
libri perché neanche io sono in grado di riassumere il vastissimo
ambito di scoperte e di riflessioni suscitate da questo tipo d’analisi.
Voglio, però, richiamare l’attenzione dei Lettori almeno su un fatto
evidente e che pure non sembra “impaurire” nessuno: l’inesausta
affermazione della “verginità” della Madonna - una “verginità-chiusura”
concreta, come assicura la teologia esaltandone il corpo “chiuso,
prima, durante, e dopo il parto” – è una terribile prova della paura
nei confronti dell’apertura del corpo femminile che ossessiona i maschi. Molte
delle scelte “ascetiche” maschili dell’antichità e del medioevo sono
dipese da questa paura. Molta dell’omosessualità attuale probabilmente
dipende da questa paura. Tanto più le donne, finalmente liberate, si
“aprono” all’avventura sessuale, tanto più i maschi si arroccano nel
gruppo maschile, proteggono il proprio pene “evitando” (nel senso
tecnico del termine) l’apertura femminile. La paura, però, non si
vince così. I maschi si facciano coraggio; la guardino in faccia. Il
futuro dell’Occidente dipende da loro.
Nota bibliografica:
Benedict, Ruth: Modelli di cultura - Milano, Feltrinelli 1960 (orig. 1934) Boas, Franz: L’uomo primitivo - Bari, Laterza 1979 (orig.1911)
Costanzo, Giorgio: La circoncisione in Somalia (Relazione per il III Convegno Nazionale di Antropologia Culturale) Perugia, 1968
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Hanry, Paul: La clitoridectomie rituelle en Guinée. Motivations, Conséquences , in “Psychopathologie Africaine”, I (1964), n.° 2 pp. 261-67
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Magli, Ida: Antropologia della morte
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(orig.1984) “ Gli
Uomini della Penitenza – Lineamenti
antropologici del Medioevo
Italiano - Milano:Garzanti,1978
Moncomble, Yann: Les Professionnels de l’anti-racisme - éd. Moncomble, 1987 Orwell, George: 1984 -Milano: Mondadori, 2002 (orig.1949) Pribram, Karl H.: I linguaggi del cervello - Milano, Angeli 1980 Tylor, Edward B.: Primitive Culture - London, Murray 1871 Verdi, Giuseppe: Autobiografia dalle Lettere - Milano: BUR2001
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Ida Magli Roma - 17 agosto 2009
| LETTERE
Oggetto: Perplessità
14 Agosto 2009 di R.P.
Leggo
sempre con molto interesse gli articoli che lei scrive nel suo sito, e
devo dire che libri come "Contro l'Europa" hanno inciso profondamente
nel mio modo di ripensare la realtà che ci circonda. Considero
allucinante che un' intellettuale e una studiosa della sua levatura sia
stata emarginata dal dibattito culturale e giornalistico contemporaneo
italiano solo perché non è ossequiosa verso quella diffusa melassa
incensatoria filo-europeista che attualmente caratterizza e domina
l'informazione. Detto questo, devo ammettere la mia perplessità nel
riscontrare una sorta di incompatibilità tra la sue lucidissime analisi
di quella deriva antioccidentale che ormai accomuna tanti fatti e tante
idee oggi predominanti in Europa, e i presupposti epistemologici e
filosofici di queste analisi: mi riferisco soprattutto al suo
relativismo radicale in campo antropologico e filosofico. E' proprio il
relativismo uno degli elementi caratterizzanti di una molteplicità di
approcci filosofici oggi di moda tra i quali è possibile individuare
una sorta di "aria di famiglia": post-strutturalismo, filosofie
post-moderne, pensiero post-filosofico: tutte queste correnti
filosofiche, sono caratterizzate dal fatto che possono funzionare come
formidabili macchine concettuali per generare odio contro l'occidente,
ed è proprio il relativismo radicale che permette a queste teorie
filosofiche di funzionare in chiave antioccidentale: se qualsiasi
civiltà definisce in modo totalizzante i paradigmi descrittivi e
interpretativi della realtà e se i diversi paradigmi delle culture sono
tra loro incommensurabili, nessun giudizio di valore sarà possibile in
campo scientifico, filosofico ed etico, di modo che, ad esempio,
l'emancipazione delle donne in una cultura, e l'infibulazione delle
donne in un'altra, saranno due fatti equivalenti dal punto di vista
etico e politico, ciascuno perfettamente coerente e "giusto" rispetto
al proprio paradigma antropologico, e tutti i più sacrosanti valori
etico-politici elaborati dall'occidente (il concetto di libertà,
individuale e politica - la democrazia - i diritti dell'uomo) nella
loro pretesa universalistica appariranno come la falsa coscienza di una
civiltà arrogante e predatrice e qualsiasi posizione o azione
antioccidentale (guai a chiamarla criminale o terroristica) come una
giusta reazione a qualsiasi pretesa eurocentrica. Libri come
"Orientalismo" e “Umanesimo e critica democratica” di Edward Said
appaiono come esempi paradigmatici di questa impostazione filosofica,
vere e proprie macchine-desideranti odio anti-occidentale e
anti-americano. Il punto è questo: se penso ad alcuni intellettuali
le cui idee siano, almeno in parte, compatibili con le sue, mi vengono
in mente Oriana Fallaci e Magdi Allam in campo giornalistico, Bernard
Lewis in campo storico, Roger Scruton ("Manifesto dei conservatori") in
campo filosofico, Giuseppe Sartori (quello di "Pluralismo e
multiculturalismo") in campo politologico; tutti questi intellettuali,
al di là delle loro differenze spesso profonde sono tuttavia accomunati
proprio dall'aver preso la distanze dal relativismo filosofico, tutti
tranne Lei; pertanto le sue critiche spesso implacabili verso gli
atteggiamenti antioccidentali imperanti in Europa condividono tuttavia
gli stessi presupposti teorici di quelle filosofie che hanno generato e
sostengono quegli atteggiamenti. Ho l'impressione che nel suo pensiero
convivano un atteggiamento politico-culturale e una posizioni
filosofica apparentemente incompatibili fra loro, e trovo che questa
incompatibilità sia tragica ed enigmatica ad un tempo; trovo che si
tratti di una scelta intellettuale che per quanto sviluppata con
l'acutezza che l' ha sempre contraddistinta, la destini
ineluttabilmente, pur nel suo riconosciuto magistero intellettuale, ad
un destino di solitudine in campo culturale. ___
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