editoriale
L'ipocrisia della tolleranza
di Ida Magli Il Giornale | 19/01/2009
Le
buone parole fanno sempre comodo; ma c’è una cosa fondamentale che i
cristiani non debbono dimenticare: la tattica di Gesù era quella di agire
prima di parlare. La sua forza era soprattutto questa, in un mondo in
cui predicatori e profeti abbondavano: rompere la consuetudine con il
gesto, non con le parole. Prima stacco il fico dall’albero, anche se di
sabato è un gesto che comporta la condanna a morte; poi ti spiego
perché l’ho fatto. Perché aveva scelto questa strategia? I motivi
sicuramente erano molti e noi oggi possiamo soltanto a fatica
comprenderli tutti. Però alcuni sono evidenti: le parole istituzionali
dei commentatori della Sacra Scrittura erano logore, lontane dalla
realtà della vita vissuta, dai bisogni degli uomini e delle donne,
ma soprattutto non colpivano più le orecchie di nessuno, non
“scandalizzavano”. Ci si abitua a tutto, anche alle buone parole. E’
necessario che gli scandali avvengano per scuotersi dalla routine
dello spirito e Gesù lo sapeva bene. Per questo la sua persona è
rimasta così viva e forte attraverso i secoli: le parole si possono
manipolare, le azioni no. Noi dunque ci dobbiamo scuotere dalla routine dello spirito, una routine
che ci sta uccidendo, sotto le spoglie della bontà, della tolleranza,
della carità, perché non corrisponde alla verità. Sopportare è più
comodo, è meno faticoso, non richiede coraggio; ma siccome della
tolleranza, della carità, della bontà non ne possiamo più, abbiamo
l’obbligo di suscitare scandalo gridando che non le abbiamo affatto
dentro di noi, che anzi siamo convinti del contrario. L’ipocrisia della
“tolleranza” è la peggiore di tutte. Andava bene ai tempi di Voltaire;
adesso è priva di senso. Gli immigrati, infatti, se ne infischiano di
convertirci: occupano la nostra terra, le nostre piazze, le nostre case
e il gioco è fatto. Dunque dobbiamo per forza scendere anche noi ad
occupare le nostre piazze semplicemente perché sono nostre e nessuno ha
diritto di togliercele. E’ questo che ci è richiesto per salvare la
nostra civiltà: il coraggio delle azioni. Le azioni di Gesù erano
violente proprio perché affermavano la verità che nessuno osava dire e
sfidavano le buone parole delle istituzioni. Non si tratta perciò di
imbracciare bastoni o fucili, ma di difendere i nostri beni; di sfidare
le istituzioni che non difendono la nostra verità o che si barcamenano
difendendola poco e male. Riflettiamoci bene: il Gesù “mielato” non è
il vero Gesù altrimenti non lo avrebbero ammazzato. E comunque, anche
per chi non è credente, si tratta di un momento decisivo per la
sopravvivenza della civiltà occidentale, europea, italiana. La
carta dei diritti universali, di cui fanno tanto vanto i nostri
governanti, afferma che non si debbono compiere azioni che peseranno
sulle generazioni future. Quali azioni peseranno sulle prossime
generazioni più di quelle che si stanno compiendo in questi giorni
trasformando il nostro paese in un paese musulmano? Il clero rivendica
l’universalità del messaggio cristiano. Sebbene si tratti di un assunto
che l’esperienza storica avrebbe dovuto costringere a rivedere, i
sacerdoti sono liberi di pensarlo. Ma i sacerdoti italiani, dato che
favorendo l’immigrazione si trovano ad operare contro gli interessi e
la vita stessa della società e della cultura italiana, debbono
onestamente rinunciare alla cittadinanza italiana prendendo quella
degli Stati che prediligono, oppure quella dello Stato del Vaticano.
Anche per loro si presenterà così il difficile compito di comprendere
ex novo il messaggio di Gesù, togliendosi dalla comoda abitudine delle
opere di bene con i soldi degli italiani. Si dice che “Dio vomita i tiepidi”. A noi deve averci vomitato da un pezzo.
Ida Magli
Roma, 18 Gennaio 2009
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| L’hypocrisie de la tolérance
di Espérance, lettrice che ha voluto generosamente collaborare alla nostra opera
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