editoriale
Il rispetto di Gheddafi
di Ida Magli il Giornale | 14/06/2009
La
visita di Gheddafi a Roma è stata come minimo imbarazzante.
Imbarazzante per gli italiani, si intende. Da parte sua, Gheddafi ha
avuto tutto quello che si aspettava di avere (è stato lui a non volere
far visita al Presidente della Camera, quindi non possiamo neanche
consolarci con il fatto che Fini non l’ha aspettato oltre le due ore),
ma anche molto di più di ciò che noi crediamo di avergli dato. Questo è
il punto, infatti: non siamo in grado di valutare fino in fondo quello
che è successo perché c’è un’assoluta distanza fra il modello culturale
dell’Occidente, un Occidente come quello italiano, imbevuto di Storia,
della civiltà giuridica romana, di un cristianesimo e di un umanesimo
raffinatissimo in tutte le sue espressioni, assertore del valore e
della uguaglianza di ogni “persona”, e il modello culturale musulmano,
fedele alle leggi e ai costumi fissati da Maometto sulla falsariga di
quelli dell’Antico Testamento, ossia di circa 8000 anni fa. A questa
distanza bisogna poi aggiungere il gusto africano per l’esibizione, per
l’ampliamento del significato del proprio corpo attraverso abiti,
acconciature, colori, cui nessun uomo di potere, stregone, sciamano,
capo tribù rinuncerebbe mai in quanto ne certifica la dimensione
trascendente e la superiorità davanti ai sudditi. Bisogna supporre,
da quanto è avvenuto in questi giorni, che il nostro governo abbia
creduto che sotto le apparenze (per esempio, la pretesa installazione
della tenda da nomade), ci fosse comunque un normale Capo di Stato in
visita a Roma, per il quale quindi fosse un onore tenere una lezione
all’Università La Sapienza e affacciarsi dal balcone del Campidoglio ad
ammirare l’antica Roma. Nulla di più grottesco. O meglio, di più
grottescamente tragico per noi, gli italiani. Il signor Gheddafi
disprezza altamente, e ha ben ragione di farlo, la nostra storia, la
nostra civiltà, nella quale non vede nulla che gli sembri migliore di
quello che possiede lui, e i cosiddetti “onori” che ha ricevuto, gli
sono apparsi semplicemente il segno della sottomissione, della
piaggeria, della nostra debolezza nei suoi confronti. Insomma, non ha
bisogno di bombe o di missili per esibirci al popolo musulmano, a tutto
il popolo musulmano, non soltanto a quello africano, come suoi
accoliti, ed è questo che sta preparando da lungo tempo e che ha ormai
quasi ottenuto: aggregare l’Africa e diventare la guida politica dei
musulmani sparsi nel mondo. L’Italia (non dimentichiamocelo mai) è
stata sempre ed è ancora adesso la terra di conquista indispensabile
per la conquista dell’Europa. Naturalmente questo viaggio è stato
presentato come un grande affare economico, e può darsi che lo sia
(anche se sussiste qualche dubbio a rigor di cifre). Ma l’onore di un
popolo, la sua dignità, non possono essere scambiati con il denaro, e
credo che si possa essere sicuri che non era nelle intenzioni dei
nostri politici questo tipo di scambio. L’errore di non valutare le
differenze culturali è tipico di tutto l’Occidente, inclusa l’America.
E’ rimasto nella memoria dell’antropologo come prova di un madornale
errore di questo tipo, la precisa scadenza di tempo data dal Presidente
degli Stati Uniti a Saddam come “ultimatum” prima dell’attacco. Norme
di civiltà bellica prive di senso per popoli presso i quali è del tutto
diverso il senso del tempo e che non possono non considerare stupido
preavvertire di un attacco. Errori, però, che dipendono sempre dalla
nostra arroganza, dall’antica convinzione che la nostra sia l’unica
vera civiltà alla quale tutti dovrebbero conformarsi. Fa parte, poi,
di questa errata prospettiva anche farsi prendere in giro da un
dittatore che mantiene ferma la legge dell’antico testamento
sull’assoluto potere maschile, sull’inferiorità delle donne, sulla
lapidazione delle adultere, preparandogli un incontro con 700
rappresentanti delle nostre associazioni femminili. Certamente si sarà
molto divertito nell’affermare che ci vuole una rivoluzione, visto che
in Libia nessuno si può azzardare neanche ad aprire bocca, figurarsi le
donne. Possiamo soltanto sperare che l’esperienza di questa
umiliazione abbia aperto gli occhi ai politici, convincendoli a tenere
sempre presenti le differenze culturali e la difficoltà di superarne le
barriere.
Ida Magli
13 giugno 2009
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