eDITORIALE
La finta integrazione e il muro culturale
di Ida Magli Il Giornale | 17/09/2009
Cosa
può dire un antropologo di fronte ad una simile tragedia? La reazione
più immediata è la rabbia. La rabbia contro i politici, contro i leader
che, in Italia e in Europa, da anni si ostinano a parlare di
“integrazione”, con l’ottusa presunzione della loro ignoranza e la
freddezza di chi non prova neanche a immaginare le passioni, i
sentimenti, le ragioni di chi è “diverso”. La “superiorità” della
politica, ossia di coloro che detengono il potere, verso qualsiasi
scienza, soprattutto quando questa non serva a puntellare le mete che
si sono proposti, non si è mai manifestata con tale sprezzo e tale
ostinazione come in Europa negli ultimi anni. Il motivo non è difficile
da capire: dal momento in cui è stato deciso l’accoglimento di tanti
popoli diversi, si sono dovute cancellare, come se mai fossero
esistite, le conoscenze accumulate dalle scienze umane, a cominciare
dall’Antropologia culturale fino alla Fenomenologia religiosa, alla
Linguistica, alla Psicologia, alla Nuova Storia. Più queste rivelavano
l’importanza delle differenze culturali, più i politici decidevano
invece che siamo, che dobbiamo essere, tutti uguali. Vieni da un altro
paese, da un’altra cultura? Niente paura: ti insegno qualche briciola
della lingua, e via. L’aspetto più tragico di questo comportamento,
però, è quello che riguarda le religioni. I politici hanno trovato la
più semplice delle soluzioni: è sufficiente non parlarne. Anzi, l’hanno
trasformato in un ordine: quello del politicamente corretto. Nessuno si
azzardi a discuterle, a criticarle, a metterle a confronto. Le
religioni sono tutte alla pari e vanno rispettate tutte allo stesso
modo. Due secoli intensissimi di studi sul Sacro, sul significato
culturale globale che ogni religione porta con sè, sono stati spazzati
via, scuotendo le spalle, come un inutile fardello. Non soltanto non si
è voluto tenere conto del presente, ma di fatto non si è voluto
neanche riflettere sul “nostro” passato, quei secoli terribili in cui
la Chiesa, dimentica del Vangelo e spinta anche dalla presenza dei
musulmani in Europa, ha messo in atto le norme più rigide dell’antico
testamento. Abbiamo dimenticato le migliaia di ragazze condannate dai
padri al carcere monastico a vita, alla reclusione, a quello che
Arcangela Tarabotti chiamava “l’inferno monacale”; abbiamo dimenticato
gli innumerevoli duelli in cui ci si uccideva per difendere l’onore
offeso dal comportamento di una sorella, di una figlia; abbiamo
dimenticato le condanne al rogo per sodomia perfino nei confronti dei
coniugi (nella civilissima Repubblica di Venezia l’ultimo rogo di
questo genere si è tenuto nel 1717). Proprio noi, gli Italiani,
sottomessi per tanti secoli alla legge biblica invece che a quella
evangelica, avremmo dovuto mettere in guardia gli altri Stati d’Europa
sulle enormi difficoltà che avrebbe comportato l’ immigrazione
musulmana a causa, appunto, di una religione che è tutt’uno con il
modello culturale. Inutile dire che sono le donne –
mogli sorelle figlie – le vittime predestinate di tale modello. Nel
Corano le donne sono “di un grado inferiori agli uomini” (Sura della vacca, 228),
tenute all’obbedienza e al nascondimento, soprattutto sessuale, come è
facilmente comprensibile anche soltanto dal tipo di abbigliamento che
ne nasconde quasi del tutto il corpo. La loro funzione è quella di
servire nel matrimonio ai desideri del maschio, ai suoi bisogni,
mettendo al mondo il maggior numero di figli. E’ evidente che la
società occidentale odierna è in totale contrasto con i dettami del
Corano per moltissimi aspetti, ma soprattutto per i costumi femminili e
per i rapporti familiari. Chi può aiutare, non soltanto un padre
marocchino, ma anche una figlia musulmana di diciotto anni ad
affrontare una vita totalmente libera, senza norme religiose, quale
oggi si presenta in Italia? Chi se la sente di affermare che questo è
possibile senza terribili traumi? Certo, la tragedia di Pordenone è un
caso estremo, ma non è il solo e sicuramente altri se ne aggiungeranno
se i politici continueranno a credere che sia sufficiente affermare che
chi vive in Italia deve rispettare le leggi italiane.
Ida Magli Roma - 16 Settembre 2009
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