eDITORIALE
La Corte
di Strasburgo vieta l’esposizione a scuola. Una sentenza assurda. La
storia dell’Italia, la sua arte e la sua bellezza sono tutt’uno col
cristianesimo. Bruxelles deve rendersi conto che ogni popolo è
un’eccezione
L’inutile Europa ci toglie pure il crocifisso di Ida Magli Il Giornale | 4/11/2009
Le
religioni non sono monete. Fare l’unificazione europea a tavolino,
cominciando astutamente dall’economia e dalla moneta, ha permesso
finora di tenere basso lo scontro con ciò che veramente crea i popoli
ed è creato dai popoli: i loro sentimenti, le loro fedi, il loro
spirito, il loro passato, la loro storia, le loro tradizioni, i loro
valori, i significati che i popoli assegnano al loro «essere se
stessi». Le religioni praticamente sono il contenitore di tutto questo,
lo rispecchiano nel momento stesso in cui lo plasmano. Noi possiamo
cercare di spiegare in termini teologici le differenze fra la Chiesa
cattolica e quella ortodossa, oppure fra quella ortodossa e le varie
chiese riformate, ma che non sia stata la teologia a crearle si vede a
occhio nudo: il rituale ortodosso con la solennità dei suoi gesti, con
il calore dei suoi canti, con l’intensa calma passione delle sue icone,
è frutto dell’anima russa, di nient’altro che del popolo russo. Nessun
inglese, nessuno svedese avrebbe mai potuto produrlo.
I
politici che hanno progettato l’Unione europea hanno affermato che ci
univamo perché eravamo uguali; ma nelle religioni non si è, non si può
essere uguali, perché appunto, come le lingue, esse si differenziano in
funzione della diversità dei popoli. Adesso, dunque, è giunto per l’Ue
il momento più difficile: vivere l’unione senza isterilirci, senza
morire. Questo significa per prima cosa salvaguardare i segni visibili
dell’appartenenza religiosa. In Italia l’architettura, le
rappresentazioni pittoriche, i crocifissi, le innumerevoli Madonne,
fanno parte della storia, dell’arte, delle tradizioni di un paese che
si è talmente alimentato, lungo lo scorrere dei secoli, della bellezza
del Vangelo che sarebbe impossibile immaginare un S. Francesco senza il
dolce paesaggio dell’Umbria, un S. Benedetto senza l’ordinata gravità
del lavoro romano, un Raffaello senza l’innamorata contemplazione della
Vergine Maria. Oggi si vogliono togliere i crocifissi dalle aule nelle
scuole pubbliche; per proteggere, come si afferma, la libertà degli
studenti. Ma anche le migliaia di edicole della Madonna, che proteggono
i viandanti agli incroci delle strade, sono «pubbliche»; presto
qualcuno, giustamente, vorrà che vengano eliminate. Guardiamo bene in
faccia il prossimo futuro: se nell’Ue per essere liberi bisogna che in
pubblico vengano cancellati tutti i segni che indicano un’appartenenza,
questo significa che nessun popolo sarà più un popolo, salvo che si
ritenga che possa farci sentire «Popolo» l’esposizione nelle scuole e
agli angoli delle strade della faccia di Barroso. Il «privato» non crea
un popolo, ed è questo che succederà: tutte le differenze saranno
costrette a vivere, o a sopravvivere, nell’ambito del privato e
l’Europa sarà debolissima perché saranno a poco a poco cancellati,
anche nella memoria, i tratti distintivi che legano fra loro i popoli
che la compongono. Toccare
le abitudini religiose significa toccare l’anima dei popoli. Cosa
pericolosissima, anche là dove sembra, come in Europa, che le fedi
siano ormai sbiadite, la partecipazione ai precetti in declino. Questo
è un punto di cui i governanti, anche quelli ecclesiastici che hanno
aderito alla realizzazione dell’Unione europea, non hanno tenuto conto:
la scarsa aderenza visibile ai dettami delle Chiese, soprattutto
nell’area occidentale, non significa l’abbandono, ma piuttosto, insieme
allo sviluppo sempre maggiore del pensiero critico, un bisogno
religioso anch’esso critico, profondo, difficile da esprimere, ma
esigentissimo, «vero», che finora la chiesa cattolica non ha saputo
esaudire. Ma, proprio perché i cristiani oggi conoscono meglio il
significato di una religione, la loro ribellione scatterà di fronte
alla pretesa dei governanti di togliere i crocifissi dalle scuole più
che a un’imposizione di uguaglianza di carattere dottrinale. Perché
questo, in Europa, tutti lo sappiamo bene; sono stati i nostri più
grandi pensatori a insegnarcelo, da Platone a Cartesio a Leopardi:
«Essere, è essere diverso». I governanti italiani, dunque, si
muovano subito; nell’interesse dell’Italia, ma anche dell’Europa.
Bisogna istituire a Bruxelles l’abitudine a innumerevoli «eccezioni»... Ida Magli Roma - 3 Novembre 2009 © IL GIORNALE ON LINE S.R.L. - Via G. Negri 4 - 20123 Milano
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politici che hanno progettato l’Unione europea hanno affermato che ci
univamo perché eravamo uguali; ma nelle religioni non si è, non si può
essere uguali, perché appunto, come le lingue, esse si differenziano in
funzione della diversità dei popoli." |