editoriale
Un diritto naturale difendere il proprio territorio
di Ida Magli Il Giornale | 09/08/2009
Oggi
è una di quelle giornate, a lungo desiderate, in cui gli Italiani hanno
finalmente potuto rallegrarsi riconoscendo che qualcosa comincia a
funzionare. Troppo a lungo è durato il disordine, l’insicurezza,
l’angoscia di non sentirsi a casa propria, di non avere il diritto, cui
ogni uomo ha sempre e dovunque aspirato, di chiudere la porta alle
proprie spalle lasciando fuori, concretamente e simbolicamente, ciò che
è estraneo. Non avrebbe dovuto essere necessaria una legge per
stabilire che è reato entrare di nascosto in casa altrui: il possesso
del proprio territorio è un diritto istintivo, che tutti gli animali
possiedono e che nell’uomo, come per tutti gli altri istinti, è molto
più forte perché ha assunto innumerevoli dimensioni significative.
Dimensioni analoghe, al di là del tempo e dello spazio, presso tutti i
popoli: da quelli di livello etnologico a quelli delle più mature
civiltà, dall’India alla Cina, alla Grecia, a Roma. Gli antropologi,
gli archeologi, gli storici hanno raccolto e messo a confronto i riti
territoriali nei luoghi più diversi e non hanno mai mancato di rilevare
la presenza profonda del ”Sacro” che lega e sostanzia l’identità di un
gruppo, formandolo come gruppo sempre e soltanto in quanto si riconosce
appartenente ad una stessa terra. Il gesto di Romolo che solca con
l’aratro il perimetro del territorio di Roma è appunto un gesto
sacrale, con il quale il Fondatore ne identifica l’appartenenza ai
Romani. E’ un’appartenenza biunivoca: quel territorio è sacro in quanto
appartiene al Popolo Romano; il Popolo Romano è tale in quanto
custodisce quel territorio. Ma ogni popolo si trova nella stessa
condizione, psicologica oltre che sociale: il territorio sacro della
patria è il legame fondante del gruppo, tanto che anche presso i popoli
più “primitivi”, così come nell’antica Grecia, sebbene viga per molti
reati la pena di morte, colui che uccide un suo concittadino riceve
l’unica condanna pari al suo delitto: viene espulso dal territorio.
L’ha “profanato”, non perché ha versato del sangue (come spesso è stato
affermato), ma perché, avendo ucciso uno dei propri confratelli, ha
rotto il sacro legame che lo unisce a quella terra. Del resto chi non
ricorda la sacralità del gesto di Papa Wojtyla di chinarsi, scendendo
dalla scaletta dell’aereo, a baciare la terra di ogni Paese dove
giungeva? Oggi, dunque, l’ordine che viene
ripristinato in Italia è un ordine primario essenziale. Ed è su questo
fatto, su nient’altro che su questo fatto che siamo tutti chiamati a
riflettere. Non si tratta di fornirsi di un supplemento di generosità,
di compassione, di tolleranza; né di problemi contingenti che possano
essere risolti con la buona volontà; ma di chiedersi realisticamente,
senza veli ideali, in quale modo potrebbe sussistere un mondo nel
quale, come auspicano i fautori dell’uguaglianza universale, non
esistano più patrie, popoli, religioni, costumi, governi diversi. Non
fingiamo di non saperlo: la pressione che ormai da diversi anni viene
fatta dai governanti, dai politici, dai leader religiosi di tutte le
Nazioni dell’Occidente affinché milioni di stranieri vi si riversino
abbandonando la propria terra, è dovuta soltanto in minima parte alla
povertà o ai disordini tribali; anzi, per essere più precisi, bisogna
dire che si spendono inutilmente cifre enormi e spesso si finisce con
l’aumentare i problemi del Terzo Mondo con le spericolate avventure del
commercio mondiale e delle coltivazioni programmate dell’Europa,
proprio per indurre i popoli ad emigrare, e per convincere l’opinione
pubblica che l’unica soluzione sono le migrazioni. Di fatto è questo
che si vuole: un mondo tutto uguale, privo di conflitti, e che sia
perciò possibile governare democraticamente attraverso istituzioni
mondiali simili a quelle che già in parte sono state organizzate come
l’ONU, il Fondo Monetario mondiale, il Tribunale Penale Internazionale.
C’è una crudeltà, una spietatezza
terribile in questo progetto, che pur sembra a primo sguardo tanto
bello. Prima di tutto, naturalmente, proprio verso i popoli che
emigrano. Anche per loro rinunciare alla patria, alla lingua, ai
costumi, alla storia è un’esperienza dolorosissima e, checché ne
pensino i fautori dell’integrazione, questa è una chimera. Ogni essere
umano cerca la compagnia dei suoi simili, e in ogni paese gli emigrati
hanno ricreato il loro territorio: la “Little Italy”, la “ Little
China” e così via. Questo però è successo negli immensi paesi come gli
Stati Uniti d’America, come l’Australia dove c’è una tale abbondanza di
spazio che l’immigrazione era indispensabile per poter far sviluppare
una civiltà, pur addensandosi in rapporto al proprio gruppo di
provenienza. In Australia ancor oggi c’è una densità di 2 abitanti per
chilometro quadrato; in America di 24 abitanti per chilometro quadrato.
Gli Europei, gli Italiani che sono emigrati, sapevano bene che andavano
alla conquista di un “Nuovo Mondo”. Ma la crudeltà, la spietatezza
di questo progetto riguarda soprattutto noi, coloro che tutti i giorni
vengono spronati a suicidarsi, a conculcare i propri diritti, i propri
sentimenti, a calpestare la propria storia, la propria intelligenza. In
Europa, infatti, in Italia, lo spazio è pochissimo, occupato da strati
su strati di antichissimi insediamenti e la densità demografica è al di
sopra di qualsiasi livello di guardia. Non c’è posto per nessun tipo di
separazione, per nessun quartiere etnico. Inoltre la pressione numerica
degli immigrati è diventata subito pressione di culture, di costumi, di
lingue, di cibi, di riti, di religioni. E’ forza di conquista, non di
sudditanza. Essi sanno bene che i numeri sono dalla loro parte, che i
leader sono dalla loro parte. Malgrado quindi l’ottimismo che
sociologi, psicologi, economisti, politici, giornalisti, si sforzano di
inculcare nei popoli d’Europa, si sente bene che si respira aria di
morte. Forse la ricerca così affannosa e vuota di divertimento, di
sfrenatezza, di droghe, di inutile movimento, ne è la conseguenza;
segnale della volontà di stordirsi, di non fermarsi neppure per un
attimo a pensare quale sarà il prossimo futuro. I governanti ritengono
che almeno per loro andrà bene? Può darsi; anzi si è costretti a
crederlo altrimenti non si riesce a capire quale sia la logica che
guida il loro comportamento. Le Sinistre, però, massime propugnatrici
del nuovo ordine mondiale, stanno perdendo consensi ovunque; e se
continuano a lavorare contro gli interessi dei popoli, finiranno, come
è successo ad alcuni gruppi di sinistra in Italia, con lo sparire dalla
vita politica. C’è la possibilità di reagire, quindi; ed per questo
motivo che le nuove norme da oggi in vigore appaiono, per quanto
piccolo sia il loro raggio d’azione, cariche di grande speranza.
Ida Magli 8 agosto 2009
|
|