editoriale

I silenzi della Sinistra

di Ida Magli
Il Giornale | 21/02/2009

Questione di carismi, di leader, insomma di uomini, la causa della disfatta della sinistra? Si è trattato davvero d’incomprensioni o ripicche interne al Partito Democratico, di errori di comunicazione con i propri militanti, di battaglia fra le varie correnti, del non aver seguito la massima evangelica del “non fare agli altri…” ingenuamente citata da Veltroni mentre dava le sue  dimissioni? La cosa che sorprende, ma soprattutto preoccupa chi osserva la drammatica crisi della sinistra, è l’assoluta mancanza di riflessione critica sul contenuto ideale del partito, sulle mete che si prefiggeva e che Veltroni, stando a quanto ha detto in conferenza stampa, continua a ritenere che si debbano perseguire. Perseguirle – ha detto – mantenendo unito il partito, innaffiando la pianta con nuove energie, stando più vicini alla vita reale dei territori, combattendo contro “i disvalori di Berlusconi”. Ebbene non c’è una sola di queste affermazioni che non sia errata.
Il Partito è dilaniato da divisioni perché (a parte le inevitabili lotte per la supremazia fra i vari leader) di fatto non è un “partito”. Diciamo meglio: è un partito sovietico, un partito pensato come unico contenitore di tutto un popolo, il proprio popolo, e non come una parte indispensabile dell’insieme nella organizzazione politica di una democrazia. Fin dal suo nome di “democratico”, infatti, ricorda l’Est marxista che applicava questa sacramentale etichetta di riconoscimento a tutti i suoi Stati e a tutte le sue organizzazioni. Questo è il principale motivo della lontananza dalla “vita reale dei territori” di cui parla Veltroni, perché le strutture formali delle primarie, delle assemblee, dei referendum, non creano la partecipazione affettiva della gente, ma al contrario rafforzano, com’è sempre avvenuto nei paesi marxisti, la rigidità del potere, dando spazio così al più duro degli scontri interni.

Se poi si guarda a ciò che ha fatto il PD dalla sua nascita ad oggi, ci si accorge (e gli Italiani se ne sono più che accorti) che si è lasciato sfuggire tutte le occasioni per “dire qualcosa di sinistra”; occasioni che, per giunta, mai in come in questo periodo gli si sono presentate su di un piatto d’argento. Non sarebbe spettato, forse, alla sinistra denunciare, biasimare, condannare il capitalismo criminale che ci ha condotto alla crisi economica odierna? Non sono stati sempre i comunisti a considerare le Borse, l’accumulo di denaro attraverso il gioco di Borsa come il peggiore degli sfruttamenti, il più orrido dei vizi? Sono stati i più grandi capitalisti d’America, i maggiori finanzieri di Wall Street a gettare al vento i risparmi di tutti, a ridurre alla disoccupazione milioni  di lavoratori, a privare anche del più piccolo finanziamento chi non ha i soldi per comprarsi una casa. Eppure niente, silenzio. Per anni la sinistra ha gridato contro l’imperialismo statunitense. Come mai ha taciuto di fronte all’imperialismo capitalistico, alla catastrofe economica provocata dall’America? Ci pensi bene Veltroni: è questo che si aspettavano gli elettori e probabilmente molti, anche non di sinistra, avrebbero votato volentieri qualcuno che li aiutasse almeno a sfogare la propria rabbia contro i maggiori ladri che si siano mai visti al mondo e che rimangono ricchi e impuniti. Si può dire la stessa cosa per quanto riguarda il primato dei mercati e la globalizzazione, tutti temi di discussione e di battaglia che appartengono alla sinistra e dei quali il partito democratico ha taciuto. Forse sono questi i “disvalori” di cui Veltroni accusa Berlusconi. Ma non l’ha per nulla detto chiaro e dato che si tratta di “disvalori” comuni a tutto il mondo capitalista, la sinistra dovrà decidere se rimanere attaccata alle proprie antiche teorie contro il capitalismo oppure cominciare a riflettere seriamente a quali possano essere oggi i fondamenti teorici di una sinistra che non per nulla è in crisi ovunque, non soltanto in Italia.

E’ chiaro che se la maggioranza dei cittadini non ha votato per la sinistra in tutte le occasioni che si sono presentate durante un periodo di grave sofferenza sia per l’economia sia per le conseguenze dell’immigrazione, questo significa che non è stato ravvisato nessun vantaggio nelle azioni che la sinistra ha compiuto. Abbiamo già visto che i cittadini non si sono sentiti sufficientemente rappresentati nel loro risentimento contro la criminalità finanziaria. Anche la sbandierata  difesa della Costituzione, però, non è servita a infondere un po’ di entusiasmo. Di fatto oggi perfino il concetto di “costituzione” appare superfluo, o almeno vecchio. La costituzione italiana, poi, è drammaticamente più “vecchia” dei suoi anni in quanto è stata redatta in un momento di profondo sbandamento ideologico, il meno adatto ad una serena e ponderata riflessione. Basterebbe il suo incipit a comprovarlo. E’ ovvio che gli uomini sono fondati su se stessi e, tranne che si voglia riferirsi al lavoro come ad una divinità, è offensivo affermare che gli Italiani vi sono fondati. Anche se accantoniamo le questioni di principio, tuttavia, gli Italiani hanno capito bene durante lo scorrere degli anni che i politici interpretano, piegano, dribblano, aggirano, forzano la Costituzione tutte le volte che gli fa comodo. Nella Costituzione non c’è nulla di ciò che ha completamente trasformato l’organizzazione politica e la vita quotidiana degli italiani.  Non c’è l’Europa, non c’è il parlamento europeo né la bandiera europea; non c’è la perdita della sovranità monetaria, non c’è la rinuncia all’indipendenza, non c’è l’eliminazione dei confini, non c’è il nostro essere “romeni”… o bulgari o tedeschi e così via. Una volta fissato in Costituzione che i cittadini non possono mettere bocca nella politica estera, tutto è passato di lì, senza neanche un dibattito, senza un referendum. La sinistra ha sempre votato compatta a favore di tutte le decisioni riguardanti l’unificazione europea e dunque porta la maggiore responsabilità davanti agli occhi dei cittadini delle sue conseguenze negative. Spetta alla sinistra, infatti, in ogni democrazia, essere la più vicina agli interessi concreti dei cittadini. L’impossibilità di mettere un freno all’immigrazione è una delle peggiori conseguenze dell’unificazione europea, se non altro perché nessun territorio può apparire intangibile, quando è privo di confini, ed è la conseguenza che ora provoca le maggiori sofferenze agli Italiani. Ma la sinistra ha sempre difeso gli immigrati lasciando che crescesse negli Italiani il senso di essere abbandonati proprio da coloro nei quali avevano riposto maggiore fiducia. E’ su questi gravissimi problemi che il partito democratico deve interrogarsi, accantonando la speranza che la crisi possa essere risolta sfogliando con attenzione l’elenco degli eventuali nuovi dirigenti.

Ida Magli

Roma, 19 Febbraio 2009

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